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Il Green Deal di von der Leyen bis ha grossi limiti ma non giustifica la sbandata di Meloni che isola l’Italia

Meloni ha perso l’occasione di abbondare la foresta sovranista per diventare una moderna leader Conservatrice ma avrà calcolato le vere conseguenze delle sue mosse sul futuro dell’Italia?

Il Green Deal di von der Leyen bis ha grossi limiti ma non giustifica la sbandata di Meloni che isola l’Italia

Il nuovo Green Deal presentato al Parlamento europeo nella piattaforma programmatica con cui Ursula Von der Leyen ha chiesto e ottenuto il voto di riconferma alla Presidenza della Commissione europea ha certamente limiti evidenti ed è più ideologico e politico che realistico e pragmatico. L’accelerazione della riduzione degli emissioni rischia di rivelarsi impossibile ed è del tutto ovvio che la scelta di Ursula avesse il solo scopo di catturare il voto dei Verdi per evitare le trappole dei franchi tirati nella votazione finale sulla sua candidatura. Ma, da qualunque parte si guardi la questione, questo non giustifica la sbandata della premier Giorgia Meloni e il suo No alla Von der Leyen che per la prima volta isola l’Italia e la manda all’opposizione del Governo europeo. Come una persona non si può giudicare da un atto singolo, salvo nei casi estremi, così un programma di governo non si può giudicare da un solo capitolo, per importante che sia. E non si può far finta di dimenticare le vere origini del No della Meloni e i suoi effetti.

Il NO di Meloni a Von der Leyen: le vere origini e i suoi effetti

Malgrado i suoi sostenitori si arrampichino sugli specchi per spiegare la mossa della premier, visibilmente il Green Deal non è la causa ma il pretesto del No a Von der Leyen. Un No che nasce da una logica di parte e non dalla difesa del nostro interesse nazionale. Per tutta la vicenda delle nomine europee la Meloni è sempre apparsa ambidestra, un po’ leader della destra e un po’ premier dell’Italia. La speranza era che alla fine facesse per davvero la statista mettendo in secondo gli interessi di parte. Purtroppo non è stato così. Meloni ha preferito privilegiare le pulsioni di Ecr, il gruppo dei Conservatori europei di cui è leader e che è uscito azzoppato dall’Opa lanciata da Victor Orban e Marine Le Pen, e non lasciare spazio in Italia alla Lega di Matteo Salvini che però non si fermerà qui e continuerà a incalzarla da destra. E’ un prezzo altissimo quello pagato da Meloni che ha perso l’occasione della vita di voltare pagina e di non ascoltare i richiami della foresta sovranista per diventare una autorevole leader non più populista e una statista, di destra finché si vuole, ma rispettata da tutti sulla scena internazionale. Meloni ha fallito la prova di maturità rinunciando a un atteggiamento più duttile e più lungimirante rispetto a Ursula e alla maggioranza di governo europea e ha offuscato così tutti i passi avanti compiuti nella prima parte del suo mandato di premier per legittimarsi sul piano europeo. Dirà, come ha già fatto, che Popolari, socialisti e liberali europei l’hanno esclusa dalla maggioranza e l’hanno messa davanti al fatto compiuto ma, cara Giorgia, se metti un giorno sì e l’altro pure le dita negli occhi a Emmanuel Macron, se susciti la diffidenza del Cancelliere tedesco Olof Scholz con la mancata adesione dell’Italia al Mes e se vai a infastidire il premier spagnolo Pedro Sanchez in campagna elettorale sostenendo gli estremisti di Vox, che cosa ti aspettavi? Che ti porgessero l’altra guancia?

Il No di Meloni che cosa comporterà per Pnrr e piano di rientro del deficit?

Ma il destino personale di Meloni riguarda lei e il suo partito. Quel che più importa è quello dell’Italia. Un grande statista repubblicano come Bruno Visentini diceva sempre che un politico di razza deve meditare bene le sue scelte e calcolare in anticipo quali siano gli effetti di ogni sua mossa. Non sarà l’attribuzione, scontata, di un eurocommissario ad attenuare l’isolamento dell’Italia. La Meloni ha calcolato che cosa comporterà per il nostro Paese il suo doppio No, al Mes e alla Von der Leyen? Pensa che l’Europa chiuderà gli occhi di fronte ai pesanti ritardi nell’attuazione del Pnrr e che la trattativa con Bruxelles sul nostro programma di rientro del deficit previsto dal nuovo Piano di Stabilità sarà una passeggiata? E crede che sul piano interno il divorzio da Forza Italia in un passaggio cruciale come la votazione dei nuovi vertici europei passerà davvero in cavalleria e non lascerà strascichi nel Governo? Meloni ha sempre sostenuto, con un po’ di supponenza, che il suo Governo durerà cinque anni ma dopo la disfatta di Strasburgo sarà davvero così? La luna di miele è finita. Buona fortuna, Giorgia, ma soprattutto buona fortuna Italia.

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