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Il grano diventa un’arma nella guerra Russia-Ucraina. Ecco perché, cosa sta succedendo e quali sono i rischi

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Mentre le truppe russe cominciavano ad invadere l’Ucraina, puntando direttamente verso la capitale Kiev, da Pechino è arrivato un annuncio che ha destabilizzato, e non poco, i mercati occidentali: la Cina ha deciso di comprare il grano russo. Una decisione che rischia di creare non pochi problemi all’Europa, Italia compresa, ma che mostra anche abbastanza chiaramente quale sia la posizione che il Governo cinese intende prendere sulla guerra tra Russia e Ucraina. 

La Cina compra il grano russo

Pechino ha dato il via libera alle importazioni di grano da tutte le regioni russe. L’annuncio dell’amministrazione generale delle dogane cinese è arrivato poche ore di distanza dall’invasione russa dell’Ucraina, diventando un ostacolo non di poco conto per l’Unione Europea che ha invece annunciato sanzioni pesanti contro Mosca nel tentativo di spingere il presidente russo, Vladimir Putin, a fermarsi.

L’Intesa sul grano tra le due superpotenze era stata firmata lo scorso 8 febbraio durante la visita di Putin a Pechino in occasione dei Giochi Olimpici invernali. Da quel momento in poi però di quell’accordo non si era saputo più nulla. Almeno fino al 24 febbraio, quando con un tempismo che non lascia spazio a dubbi e dietrologie è arrivata la conferma cinese. 

Russia e Ucraina potenze del grano

La Russia è il primo produttore ed esportatore di grano al mondo. Poco dietro, al quarto posto, c’è l’Ucraina. Insieme, le due Nazioni, coprono il 29% del fabbisogno del commercio mondiale di grano, il 19% dell’export di mais e l’80% di quello di olio di girasole. 

Non è dunque difficile capire i motivi per cui ieri sulla Borsa merci di Chicago i prezzi del grano abbiano raggiunto i massimi da 9 anni, a 9,34 dollari a bushel (oggi si aggirano intorno agli 8,86 dollari), toccando gli stessi livelli raggiunti durante le rivolte del pane del 2011. “L’aumento delle quotazioni delle materie prime – ha sottolineato la Coldiretti – ha interessato anche i prodotti base per l’alimentazione degli animali negli allevamenti come la soia che ha raggiunto il massimo dal 2012 e mais che è al massimo da otto mesi”.

Nonostante il primato sul grano, fino ieri la Russia non era però mai riuscita a “conquistare” il mercato di cinese, con Pechino che ha sempre centellinato gli acquisti a causa dei timori relativi a possibili funghi e altre contaminazioni nelle colture. Solo quattro mesi fa la Cina ha ripreso ad importare grano, comprandone 667 tonnellate dalla Russia, un quantitativo minimo. 

Come spiega Repubblica, “nel 2021, a causa delle restrizioni cinesi, l’agroalimentare russo nel suo insieme esportato in Cina segnò un segno meno del 13% rispetto all’anno precedente (3 miliardi e mezzo di esportazioni, il 9,8% del totale russo)”.

Perché l’apertura cinese è un problema per l’Ue 

Adesso che però Pechino ha deciso di aprire i suoi confini al grano proveniente da Mosca, le cifre e le percentuali potrebbero cambiare radicalmente, salendo a livelli mai visti prima.

Perché è un problema per l’Ue? I motivi sono essenzialmente due: da un lato perché, a causa della guerra e delle conseguenti sanzioni, nei prossimi mesi la Ue potrebbe essere costretta ad affrontare una carenza di grano e cereali e un forte aumento dei prezzi (che si aggiungono a quelli di gas e petrolio). Dall’altro perché i soldi provenienti dalla Cina aiuteranno la Russia ad affrontare le dure sanzioni imposte dall’Occidente dopo l’invasione dell’Ucraina, spingendo Putin ad andare avanti per la sua strada. Un aiuto prezioso, arrivato per di più da una delle più grandi superpotenze mondiali.

Non a caso dall’Australia sono già arrivate dure critiche nei confronti del Governo cinese: “Non si va a lanciare un’ancora di salvezza alla Russia nel momento in cui sta invadendo un altro Paese”, ha detto il premier Scott Morrison che, al contrario, ha annunciato sanzioni nei confronti degli oligarchi moscoviti e di altri esponenti dell’establishment russo. 

Le difficoltà dell’Italia sul grano

L’Italia importa il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti. Lo scorso anno, secondo i calcoli della Coldiretti, il nostro Paese ha importato oltre 120 milioni di chili grano dall’Ucraina e 100 dalla Russia. 

Un livello di esposizione enorme che dunque ci rende ancora più vulnerabili degli altri Paese ai rischi della guerra in corso. I primi effetti concreti della crisi, d’altronde, si sono già visti. Non a causa – per il momento – dell’incremento dei prezzi del grano, ma di quelli del gas, il famoso pastificio La Molisana ha deciso di fermare la produzione.

“Occorre impegnarsi per evitare che questa crisi colpisca consumatori e agricoltori, anche a causa di possibili manovre speculative finalizzate a costringere i produttori a vendere sotto la soglia degli enormi costi di produzione sostenuti in questo periodo per il caro energia. È chiaro che, visto lo scenario in evoluzione, non sono da escludere rincari dei prodotti finali come pane, farina, biscotti o mangimi per animali che però dobbiamo limitare evitando proprio le speculazioni nella filiera”, ha dichiarato Gianluca Lelli, Ad di Consorzi Agrari d’Italia (Cai).

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