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Il Governo sovranista e l’opposizione che non c’è

Di fronte all’inedita nascita di un governo sovranista e populista colpisce l’assenza di una vera opposizione ma Forza Italia vive una fase di straniamento e il Pd una crisi esistenziale profonda – Lo spartiacque non è tra popolo ed elites ma tra l’Europa e le riforme e la deriva di Visegrad – Forse Renzi dovrà fare qualcosa di simile a ciò che hanno fatto Macron e Milliband

Il Governo sovranista e l’opposizione che non c’è

A meno di sorprese dell’ultima ora, per il governo sembrerebbe cosa fatta. Avremo con ogni probabilità un governo sovranista-populista presieduto da un avvocato esperto di contrattualistica ma privo dell’autorità e della autonomia necessarie per svolgere questo ruolo. Un inedito nella Storia dell’Italia repubblicana, che non promette nulla di buono per il Paese.

Il riferimento al governo Monti come ad un precedente (entrambi non eletti, entrambi dei tecnici) non regge e non solo per la diversa statura dei due uomini (ex commissario europeo il primo, senza alcuna esperienza politica il secondo ) ma, soprattutto, perché Monti il programma del suo governo non se lo è fatto dettare da nessuno, mentre Giuseppe Conte è chiamato a dare esecuzione ad un contratto che altri hanno scritto e sottoscritto per lui senza nemmeno consultarlo.

Ma, più che l’anomalia del governo che sta per nascere (vedremo poi la lista dei ministri, anche se l’idea di mettere alle Infrastrutture una No Tav, No Triv e No Tap non lascia presagire nulla di buono) ciò che deve maggiormente preoccupare è la mancanza di una vera opposizione a questo governo. La cosa è molto seria e anche molto pericolosa.

In Inghilterra accanto al “governo della Regina” deve esserci anche “l’opposizione di sua Maestà”, il cui ruolo non è meno importante di quello del governo. Senza opposizione la democrazia semplicemente non funziona. L’urgenza politica di oggi è dunque quella di costruire una opposizione al governo populista-sovranista che sia la più forte, la più chiara e la più determinata possibile.

Forza Italia vive una fase di straniamento. Salvini, leader della coalizione di centro destra, ha abbandonato la sua coalizione per mettersi in proprio. Come ha fatto dire ai suoi, lo scontro oggi non è più fra centrodestra e centrosinistra ma fra il Popolo e le élites e lui, Salvini, intende rappresentare, insieme ai 5 stelle, il Popolo, mentre a Forza Italia e al Pd lascia quello di rappresentare le élites.

Dunque, addio a Berlusconi, il quale, se non vuole scomparire, deve ora cercare di ricollocare la destra moderata, popolare ed europeista sul terreno che le è proprio che è poi quello del Partito Popolare Europeo.

Ma anche il Pd vive una crisi esistenziale profonda e, se possibile, ancora più difficile da superare che non quella dei moderati. Il voto lo ha collocato all’opposizione. Per sua fortuna, l’intervento a gamba tesa di Renzi gli ha impedito di suicidarsi, cosa che sarebbe certamente avvenuta se avesse accettato di assecondare il tentativo dei 5 stelle di formare il governo. Ma, adesso, il Pd deve dire con chiarezza che tipo di opposizione vuole fare e con chi intende farla.

A questo i dirigenti del Pd non hanno ancora dato una risposta chiara e il tempo per darla (anche dopo il flop dell’assemblea nazionale) sta per scadere. Eppure dovrebbe essere chiaro ai dirigenti di quel partito che l’unica opposizione possibile ad un governo populista, euroscettico e giustizialista è una opposizione europeista, riformista e garantista.

Lo spartiacque non è, come pensano Salvini e di Maio, fra il popolo e le élites e neppure fra il centrodestra e il centrosinistra. Lo spartiacque è fra la società aperta e quella chiusa, fra l’Europa della Francia, della Germania e della Spagna e quella di Visegrad, fra il libero mercato e lo statalismo, fra l’apertura delle frontiere e il protezionismo, fra il garantismo e il giustizialismo, fra le riforme economiche e sociali e l’assistenzialismo, fra le politiche per la crescita e la “decrescita felice”, fra l’innovazione e il rifiuto della modernità, fra la democrazia rappresentativa e il plebiscitarismo, fra l’autonomia del Parlamento e dei Parlamentari e la loro subordinazione ai capi partito se non addirittura a forze esterne al Parlamento stesso.

È certamente vero che le categorie politiche del ‘900 non definiscono più la realtà attuale e non ci aiutano a decifrarla, ma vi sono principi e valori come la “Rule of law”, come “l’Habeas corpus”, come i diritti dell’uomo, come le regole della democrazia, come la separazione dei poteri, come il valore dell’educazione e della scienza e altri ancora che sono imprescindibili per fare politica e per compiere le scelte necessarie ai fini dello sviluppo e di una maggiore eguaglianza sociale.

Il disprezzo per i partiti e per le ideologie si è tramutato, nel linguaggio di Salvini e di Di Maio, nell’odio per la politica in quanto tale, nel rifiuto del confronto e della mediazione e nella indifferenza per il merito (uno vale uno). In questo modo essi aprono la via a politiche demagogiche che, sempre nella storia, hanno portato alla rovina i paesi che le hanno adottate.

L’opposizione deve collocarsi in modo chiaro sul terreno della lotta conto questa deriva antidemocratica, deve ergersi a difesa di quei valori che il populismo minaccia. Il Pd, se non vuole scomparire, deve rapidamente scendere su questo terreno e farsi promotore della nascita di un movimento politico che incarni la volontà di riscossa democratica e riformista che nel paese è tutt’altro che scomparsa.

Vuol dire questo che sarà necessario superare il Pd? Che si dovrà fare in Italia qualcosa di simile a quello che Emmanuel Macron ha fatto in Francia e David Milliband sta cercando di fare in Inghilterra? Probabilmente sì. I partiti tradizionali hanno rappresentato il veicolo che ha consentito alla politica di esprimersi (come dicono gli americani: no democracy without politics, no politics without parties) ma quello che era vero ieri può non esserlo più oggi. Uno strumento valido nell’Italia del dopoguerra oggi potrebbe non esserlo più.

Le forme nelle quali la politica si estrinseca possono mutare, ma quello che non potrà mai venire meno è la necessità della politica. Quello che le forze politiche e culturali democratiche debbono perciò cercare di fare è di trovare le forme istituzionali ed organizzative che consentano alla Politica riformista di esprimersi al massimo delle sue possibilità.

Senza politica non c’è democrazia, ma senza riforme non c’è sviluppo. Solo se si colloca su questo terreno il Pd può ancora dare un valido o contributo al superamento della crisi politica nella quale siamo precipitati e che il nuovo governo non sembra potere essere in grado di garantire.

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