All’assemblea dell’Assonime, è andata in scena l’ennesima replica del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di una piece teatrale basata sull’ottimismo delle mezze verità calate in un mondo immaginario. Il presidente dell’Associazione tra le società per azioni, Innocenzo Cipolletta, aveva riassunto in tre NO il messaggio netto e chiaro delle imprese: non si deve uscire dall’euro, non si deve litigare con l’Europa, non si deve far arrivare la Troika a causa della violazione delle regole. È giunto il momento di fare una politica realista e ciò non solo e non tanto perché ce lo chiede Bruxelles, ma perché altrimenti i mercati finanziari ci imporranno prezzi sempre più alti per finanziare il nostro debito pubblico e gli investimenti privati aggravando la crisi generale.
Il premier Conte ed il ministro dell’Economia Tria hanno risposto che non c’è da preoccuparsi, che l’Italia ha una solida struttura economica e che loro sono intenzionati ad andare a spiegare a Bruxelles le nostre ragioni, e che comunque è nostra ferma intenzione tener fede agli impegni presi in dicembre sia per in deficit che per il debito. E cioè che per entrambi sarà predisposto e garantito un piano di rientro che assicuri una graduale riduzione del deficit annuale verso l’azzeramento e del debito verso livelli di sicurezza.
Ma sia Conte che Tria non hanno spiegato come si intende arrivare a questi positivi risultati. Anzi Conte ha rivendicato per il suo esecutivo l’appellativo di “ governo del cambiamento” difendendo le cose finora fatte che, a suo parere, sono andate nella direzione di stimolare la crescita ripristinando la fiducia dei cittadini, ed in particolare di quelli più colpiti dalla crisi, verso lo Stato e le sue capacità di ritornare a livelli di sviluppo e di occupazione adeguati alle nostre esigenze. Ma nessuno ha fatto il sia pur minimo cenno di autocritica sugli effetti delle misure finora adottate, misure che hanno comportato un aumento degli spread di oltre un punto percentuale, un blocco degli investimenti produttivi delle imprese, ed una stasi dei consumi dato che in una situazione di incertezza i prudenti italiani tendono a risparmiare invece che a consumare.
Un governo che aveva come obiettivo quello di crescere di più ci ha spinto invece verso una recessione che poi, all’inizio di quest’anno, è diventata una triste stagnazione, ma non per questo si può gioire affermando che siamo usciti dalla crisi. E la colpa non può essere solo del rallentamento congiunturale dell’Europa, dato che noi siamo quelli che stanno peggio di tutti. Una responsabilità quindi deve essere attribuita anche alle misure del governo, e non solo quota 100, e reddito di cittadinanza, ma anche al blocco delle opere pubbliche, allo stop alle trivelle ed agli investimenti petroliferi in Basilicata, alle nuove tasse sulle auto “inquinanti“, messe in maniera quantomeno intempestiva ecc. ecc.
In più non si capisce come potremo conciliare per il prossimo anno le nuove spese per la flat tax voluta da Salvini, con la sterilizzazione dell’Iva e gli altri fabbisogni correnti dello Stato. E se non si scioglierà questa incertezza difficilmente i tassi d’interesse scenderanno e potrà realizzarsi l’auspicata ripresa dell’economia. Anzi se poi si continua a giocare con i Minibot o con il reddito minimo anche quel residuo di credibilità e di fiducia di cui ancora godiamo perché in fondo siamo il terzo più grande paese dell’Europa, rischia di svanire completamente.
Conte andrà a trattare a Bruxelles. Ma a guardare le proposte di questo governo con realismo e senza preconcetti, bisogna dire che non c’è una sola idea sensata che circola nelle teste dei ministri e dei parlamentari pentaleghisti. I Minibot, ad esempio, o sono una presa in giro, uno strumento di distrazione di massa, oppure sono il primo passo per portarci fuori dall’euro. Nel primo caso continueremo lungo la china della progressiva perdita di credibilità, nel secondo precipiteremo direttamente in un profondo burrone. Il salario minimo andrebbe studiato bene perché potrebbe avere anche effetti positivi per il nostro mercato del lavoro, ma se lo faremo in maniera affrettata ed abborracciata, come abbiamo fatto il reddito di cittadinanza, allora potremo avere effetti devastanti per le nostre imprese, specie piccole, e per i lavoratori che saranno costretti ad accettare un salario in nero se vorranno continuare a lavorare.
Finora questo “governo del popolo” ha ottenuto risultati opposti a quelli desiderati, dimostrando che le promesse fatte in campagna elettorale ,se non attuate in maniera da conciliarle con la realtà, sono scritte sull’acqua. Ora Conte promette una fase due. Ma ci sono forti dubbi sulla possibilità che sia migliore della uno. Anzi, a sentire quello che dicono sui social i due veri premier, potrebbe essere peggiore.