Se il ciclismo fosse la boxe, con le tappe trasformate in round e i giudici che assegnano punti a ogni frazione-ripresa, Simon Yates avrebbe da giorni già in tasca il Giro. Gli basterebbe arrivare a Roma che nessuno glielo potrebbe sottrarre tanto evidente è stata la sua superiorità a partire dalla sesta tappa dell’Etna che gli ha consegnato la maglia rosa. Tre vittorie, una più entusiasmante dell’altra, tre secondi posti, primo in classifica da due settimane, maglia azzurra anche di leader degli scalatori, un dominio da autentico padrone del Giro: nemmeno la temuta crono di Trento aveva fatto vacillare il suo trono, con il britannico bravo a contenere e respingere l’assalto di Dumoulin.
Tutti pronti a celebrarne il trionfo, cercando nella storia centenaria del Giro situazioni del passato cui collegare il primo successo di un corridore di Sua Maestà al Giro. E la tappa conclusiva nella Capitale, con Roma per la terza volta punto terminale del Giro, richiamava un’altra prima vittoria, quella in assoluto di un corridore straniero, merito dello svizzero Hugo Koblet, 25enne allora come lo è oggi Yates.
Era l’edizione del 1950, quella segnata dalla caduta di Fausto Coppi a Primolano. Anche l’arrivo a Prato Nevoso pareva non riservare nulla di nuovo nei quartieri alti del Giro, tutti sotto il controllo di Yates, con il gruppo che stava salendo quasi in parata, disinteressato di quanto avveniva una dozzina di minuti davanti tra i superstiti della fuga del giorno a caccia di una vittoria.
Ma è bastato un km e mezzo, quello conclusivo, per mettere in forse tutto, facendo vacillare molte certezze e previsioni: Yates per la prima volta accusava un improvviso cedimento, incapace di rispondere prima all’allungo di un Froome , non ancora rassegnato a perdere questo Giro. Peggio la maglia rosa era poi impotente anche di fronte alla pronta reazione anche di Dumoulin e Pozzovivo che riuscivano ad agganciare le ruote del quattro volte vincitore del Tour.
Il Giro in quel momento si riapriva. Yates vedeva allontanarsi i rivali che in poco più di mille metri gli rosicchiavano 28”. Il piccolo inglese di Bury riusciva a conservare la maglia rosa ma Dumoulin ha di fatto dimezzato a 28” il suo distacco. Un’azione che incoraggia l’olandese a nuove imboscate nel tentativo in extremis di riconquistare quella maglia rosa indossata un sol giorno dopo la crono vittoriosa di Gerusalemme. Un po’ meno lontano, sempre sul podio, terzo a 2’34”è anche Pozzovivo, che alle soglie dei 35 anni sta correndo il suo più bel Giro.
Quarto a 3’22” è Froome, pronto a giocare le proprie carte nelle due tappe di terribili di oggi con 4 Gpm tra cui il Colle delle Finestre e quella di domani a Cervinia. Due frazioni che fino a Iseo davano più certezze che timori a Yates, vista la sua superiorità in montagna ma che alla luce di quanto è avvenuto nel finale di Prato Nevoso pongono ora interrogativi sulla tenuta fisica e anche nervosa della maglia rosa.
Yates nel dopo tappa ha cercato di minimizzare il passo falso: “Non ho mica perso il Giro”, anche se ha ammesso di essere solo un po’stanco. Ma i suoi rivali, da Dumoulin e Froome, hanno capito che non è imbattibile. E il terreno per attaccarlo non manca.
La prima crepa nel motore fin qui perfetto di Yates ha fatto passare in secondo piano la vittoria di Maximilian Schachmann, che sul rettilineo di arrivo in salita riusciva a staccare di una manciata di secondi lo spagnolo Ruben Plaza e l’italiano Mattia Cattaneo, i superstiti della fuga di una dozzina di corridori iniziata subito dopo la partenza da Abbiategrasso.
È la prima tappa che vede un successo dei fuggiaschi. Per il ventiquattrenne tedesco è il primo importante successo della sua carriera che va ad arricchire il bottino di vittorie della sua squadra, la QuicK-Step Floors già forte del poker fin qui realizzato da Elia Viviani.