Un grande regalo energetico è all’orizzonte. Anzi, su in cima ai nostri sguardi, nello spazio dove volano i satelliti. Ci piacerebbe davvero recuperare praticamente gratis almeno 80 miliardi di metri cubi di gas metano l’anno che ora vengono dispersi con le cattive pratiche di estrazione e di trasporto, più di quanto consuma un paese decisamente ingordo di metano come l’Italia, più della metà del gas che l’intera Europa ha importato dalla Russia nel 2021, prima della tragedia dell’Ucraina. Ci piacerebbe tagliare in questo modo mezzo grado di riscaldamento globale del pianeta: un passo importante anche se non risolutivo nella lotta alle devastazioni del cambiamento climatico dovuto all’”effetto serra”. A trasformare in realtà tutto ciò potrebbe essere il lancio a giorni del satellite di sorveglianza e monitoraggio MethaneSAT, concepito dall’ Environmental Defense Fund (EDF), finanziato da una buona combinazione di investimenti e donazioni e allestito, e a breve lanciato (entro questo mese, stando agli annunci) grazie a un consorzio capeggiato dall’EDF e in collaborazione con l’Agenzia spaziale della Nuova Zelanda, l’università americana di Harvard, Ball Aerospace, Blue Canyon Technologies ed altri partner.
Un guadagno non solo ambientale
“Una sfida impegnativa, ma alla fine scopriremo non solo che i benefici ambientali saranno significativi ma anche il saldo economico dell’operazione sarà in netto vantaggio, generando profitti maggiori rispetto alla spesa sostenuta” azzarda Flavia Sollazzo, direttore senior per la transizione energetica dell’Unione europea per conto di EDF Europe.
L’operazione parte con buoni auspici. Alla Cop28 i leader mondiali hanno messo sul tavolo un nuovo finanziamento da oltre un miliardo di dollari per rafforzare le strategie anti-emissioni di metano, sull’onda dell’impegno di oltre 50 compagnie di estrazione mondiali, responsabili di poco meno della metà della produzione di idrocarburi per ridurre entro il 2030 ad appena 0,2% le dispersioni ora attribuibili direttamente al metano diffuso in atmosfera e a quello inutilmente bruciato (flaring) negli impianti di estrazione rispetto a dispersioni che oggi è difficile censire con sufficiente precisione ma che si stima vadano dallo 0,5% negli impianti più efficienti fino a oltre il 10% in quelli più sgangherati.
Un progresso gigantesco, come altrettanto gigantesco è il beneficio atteso, se pensiamo che solo basandosi su ciò che viene ufficialmente accertato (e che rappresenta ben di meno delle quantità reali) ben “112 miliardi di metri cubi di gas – afferma Flavia Sollazzo – vengono dispersi in atmosfera nel mondo ogni anno” e di questi ”almeno 80 miliardi di metri cubi possono essere recuperati e portati sul mercato con un maggiore introito per le compagnie petrolifere che stimiamo superiore al costo dell’operazione”.
Impianti vecchi da sostituire integralmente? Non è sempre così. A causare dispersioni e a indurre le compagnie a bruciare direttamente il gas che fuoriesce negli appositi “camini” per controllare il pericolo di accumuli e di esplosioni spesso sono sufficienti opere limitate nell’impatto e nei costi. Il problema, come spesso succede in questi casi, riguarda le normative e relativi obblighi ma anche un buon monitoraggio delle situazioni esistenti.
Cosa farà la sentinella dallo spazio
Un tempo, quando la componente dei costi al pozzo del metano erano irrisori rispetto le quantità, il problema veniva praticamente ignorato. Oggi non è più così, un po’ in ragione della progressiva scomparsa del gas “facile” in termini di giacimenti e un po’ (molto) appunto per le implicazioni ambientali, se consideriamo – rimarca Flavia Sollazzo – che il gas metano ha un impatto sull’effetto clima a 20 anni 80 volte maggiore rispetto all’emissione diretta di anidride carbonica” e che a fronte di ciò “solo il 13% delle emissioni di metano sono coperte da politiche di mitigazione e gli operatori degli idrocarburi dedicano alle nuove tecnologie pulite appena il 2,5% della loro spesa”.
Naturalmente ci sono anche qui i buoni e i cattivi. Il nostro gruppo Eni, che opera praticamente in tutto il globo, è considerato all’avanguardia nell’aggiornamento tecnologico e nella ricerca delle migliori soluzioni ambientali, ma “ci sono paesi come la Romania dove si stima che le emissioni reali siano tre volte più alte del dichiarato e censito”.
D’ora in poi il satellite ci darà una mano (per parafrasare la vecchia pubblicità “il metano ci dà una mano”, oggi un po’ fallace). MethaneSAT scruterà il pianeta con una risoluzione di pochi metri, ma soprattutto con sensori in grado di discriminare tra aria pulita e area satura di metano o di combustione da metano, indicando con precisione quantità, persistenza e soprattutto le zone esatte dove si verificano i fenomeni. Tutto verrà trasformato in un database temporale. L’unica e risolutiva (si spera) soluzione per mettere davvero i colpevoli del fenomeno non solo davanti alle loro responsabilità ma anche davanti all’opportunità – se Flavia Sollazzo ha davvero ragione – di trasformare l’operazione “metano pulito” non in un costo ma in una gradita occasione di profitto.