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Il gas dell’Azerbaigian sulla partita per la nuova Commissione europea. Primo colpo al Green Deal?

Imagoconomica

Il Green Deal della Commissione europea sarà quasi certamente tra le vittime sacrificali della nuova leadership dell’Ue. Molti aggiustamenti che potevano essere fatti sono stati ritardati o trascurati del tutto, con il risultato che destre e conservatori hanno avuto facile terreno di attacco durante la campagna elettorale. Transizione energetica ambiziosa, imprese in difficoltà, tempi troppo stretti, investimenti privati non adeguati, come ha ricordato il Commissario Paolo Gentiloni e tanto altro, hanno appannato il grande progetto.

La configurazione di un nuovo modello economico non è in discussione perché i cambiamenti climatici sono impetuosi e travolgenti al punto che solo pochi sparuti gruppi ne negano l’evidenza. Un perno della strategia, il target di riduzione del 90% delle emissioni di CO2 entro il 2040, sarà sicuramente rivisto. Clima e ambiente sono condizionati dall’uso di energia senza la quale nulla si tiene.

Gli errori di von der Leyen

Il Green Deal per arrivare alla decarbonizzazione ha stilato il certificato di morte di gas e petrolio con scadenza finale al 2050. Nel prossimo quarto di secolo, insomma, tutta l’Europa (oggi a 27) dovrebbe riconvertire produzione, consumi, commercio, stili di vita. Quello che la Commissione presieduta da Ursula von del Leyen non ha saputo cogliere, quando ne aveva il tempo, è ciò che è accaduto, invece, alla fine del mandato. L’Europa ha bisogno di gas paradossalmente proprio per sostenere la decarbonizzazione e cosa ha fatto? Lo ha chiesto a chi ne ha in abbondanza, dopo le sanzioni alla Russia. Fotovoltaico, eolico, progetti per il nucleare, biomasse, tassonomia: va bene tutto ma il gas serve.

A Baku, capitale dell’Azerbaigian che in autunno ospiterà la prossima Conferenza Onu sul clima, pochi giorni fa si è svolta la Settimana dell’Energia. In quell’occasione sono stati annunciati i nuovi accordi di fornitura di gas all’Europa. Nello specifico, una fornitura straordinaria di 20 miliardi di mc all’anno entro il 2027. Di più, il 6 giugno – pochi giorni prima delle elezioni – la Bulgaria ha firmato due contratti per ampliare il Gasdotto Trans-Adriatico (Tap)che attraversa il paese. Il gas che transiterà non si fermerà lì ma arriverà nel resto d’Europa creando un nuovo corridoio. La Bulgaria nei fatti è il paese apripista per rafforzare il sistema delle imprese che chiede tempo per riconvertirsi.

Il gasdotto Tap sempre più strategico

In soldoni l’Unione, nonostante la strategia del 2019, deve sostituire 100 milioni di metri cubi in meno importati dalla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Il Tap che arriva in Puglia trasporta 10 miliardi di metri cubi l’anno, ma va ingrandito per rispondere alle esigenze italiane e di riflesso dei paesi connessi con il sistema dei gasdotti. Per l’Italia si aprono nuove prospettive nella irrinunciabile transizione e con l’ipotesi che l’Azerbaigian passi da secondo a primo fornitore. Se ne facciano una ragione i verdi intransigenti e gli strilloni populisti Cinquestelle.

Si poteva prevedere un tale scenario dopo l’invasione di Vladimir Putin all’Ucraina? Il certificato di morte delle vecchie fonti energetiche non è stato stilato troppo in fretta? Sì, e molti osservatori lo avevano previsto. “Dobbiamo aspettarci azioni più coordinate che scaturiscano da buone analisi dei problemi e vadano in una pluralità di direzioni”, ci aveva detto un esperto come il Professore Alberto Clò. Per fortuna molti provvedimenti del Green Deal contengono clausole di revisione e aggiornamento. È giunto il tempo per farlo. Fosse anche con una presidenza von der Leyen bis.

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