Quando tutto sembra essere a posto, i dubbi prendono il loro spazio. Non se ne scorgono, ovviamente, nel comunicato finale del G20 sul clima di Napoli. Resta, pero’, la vigilanza su quello che si è firmato. Almeno fino alla conferenza internazionale Cop 26 di Glasgow a novembre. Il vertice napoletano è stato utile per avere la firma dei Grandi su un documento che riconosce l’impegno per “una società prospera, inclusiva, resiliente, sicura e sostenibile che non lasci indietro nessuno”. Ma il contesto resta sostanzialmente quello degli accordi di Parigi del 2015. A partire dall’impegno finanziario da 100 miliardi di dollari come base aumentabile fino al 2025 con l’apporto dei singoli Paesi. E’ stata riconosciuta la sintesi tra energie rinnovabili e cambiamenti climatici con l’aiuto della scienza e della ricerca. Dappertutto nel mondo, abbiamo sentito nelle incantevoli stanze del Palazzo Reale di Napoli. Ma la strada è in salita, nonostante “si è firmato il migliore accordo possibile”.
Tutti hanno concordato che dopo la pandemia la transizione energetica verso le energie rinnovabili è “uno strumento per la crescita socio-economica inclusiva e veloce, la creazione di posti di lavoro”. Le emissioni globali dovranno diminuire e migliorare l’adattamento al cambiamento climatico come impegno universale. Anche Russia e Cina si sono dette favorevoli ad eliminare gradualmente la produzione di energia dal carbone. E’ vero, ad ogni modo, che le loro economie hanno bisogno di tempo. La dicotomia temporale green con Europa ed USA richiede altri passaggi non dettagliati a Napoli. E non si va fuori tema se si ricorda che nei due Paesi l’energia è molto più interconnessa con la politica di quanto non si dica nei vertici internazionali.
L’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi è stato centrale, ma l’intesa plenaria non c’è. “Quattro o cinque paesi, fra i quali Cina, India e Russia, hanno detto che non se la sentono di dare questa accelerazione, anche se vogliono rimanere nei limiti dell’Accordo di Parigi” ha spiegato il ministro della Transizione ecologica italiano, Roberto Cingolani. Si è calcata, tuttavia, la mano sulla necessità di aiutare i Paesi in via di sviluppo. Sarà interessante vedere nei prossimi anni come si comporteranno quelli che tra i Grandi stanno investendo in nuove centrali a carbone in Africa. Il passaggio da un’economia preindustriale ad una post industriale non si compie in pochi anni e molti governi a livello locale non hanno strategie convergenti con gli obiettivi di salvezza del pianeta. Le materie prime sono in loco, i soldi arrivano in grande quantità. L’aiuto di quelli che sono messi meglio sarà determinante, soprattutto per fermare quegli investimenti poco verdi che nessuno vuole più. D’altra parte l’aumento della produzione di greggio e i prezzi che salgono avranno pure una loro ragione macroeconomica. Poi vedi che la pandemia nei Paesi ricchi ha prodotto piani di ripresa importanti, per cui è utile- come ha fatto l’Italia del resto- prelevare risorse anche da li’. Un po’ vuol dire stare con i piedi ben piantati, sfruttando le arretratezze delle città per le quali le smart city possono essere la soluzione vincente. Nell’Occidente maturo, evidentemente, infestato da scarichi di ogni tipo e mortalità da smog e polveri sottili.
Gli impatti del cambiamento climatico sono già stati sperimentati in tutto il mondo, dimostrando la necessità di implementare le azioni di adattamento. Questo almeno lo hanno chiaro tutti. Soldi ? Quelli del Climate Investment Funds (CIFs) pari a 2 miliardi di dollari sono in circolo. E nel summit è stata ribadita la loro utilità in rapporto alle rinnovabili offshore, all’energia oceanica e alla possibilità di implementare questo tipo di tecnologia. L’idrogeno verde val bene nuovi investimenti e progetti, parallelamente alla riduzione dell’uso del metano. Cosa nei sarà dei gasdotti in costruzione ? Trasporteranno tutti idrogeno buono? Sui giacimenti mondiali ci aspettiamo studi, piani di dismissione e banche in ritirata? Gli investimenti pubblici e privati- hanno concluso i Grandi- dovranno avere altre connotazioni. Integrarsi tra loro per entrare “in tutte le agende di investimento e politiche, verso lo sviluppo di standard di riferimento globali di rendicontazione.” Lavoro in progress, insomma. Quanto il documento finale resisterà, si sostanzierà, nel tempo che ci separa dalla Cop 26 è la scommessa più grande fatta dagli esperti alla fine della due giorni italiana. I dubbi, per l’appunto.