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Il Fiscal Council italiano sta per nascere: o sarà davvero indipendente, o non servirà a nulla

FIRSTonline

Di Fiscal Council italiano si parla da molti anni. Come spesso accade, l’idea di creare un’autorità indipendente per certificare i conti pubblici nostrani ha pro e contro. Tra i pro, è chiaro che per un paese ad alto debito pubblico come l’Italia è fondamentale che i propri conti siano credibili e assoggettarli a un ulteriore vaglio indipendente può dare benefici ben maggiori dei costi. Di contro si può invece obiettare che si costruirebbe una nuova duplicazione di funzioni rispetto alla Corte dei Conti, pure essa indipendente dal potere legislativo ed esecutivo. E ancora, si potrebbe ricordare che l’esperienza delle autorità di settore in Italia non è lusinghiera come testimoniano, a vario titolo, lo scarso successo delle privatizzazioni in termini di miglioramento di performance di aziende spesso inefficienti e, talora, la conformazione di autorità povere di tecnici competenti e indipendenti e colonizzate da politici trombati.

E, tuttavia, a prescindere da questi ragionamenti di merito, il Fiscal Council italiano sta per nascere con parto cesareo. La gravidanza è partita con l’approvazione della legge costituzionale numero 1 del 2012, quella che ha introdotto nella Carta il pareggio di bilancio. Il Council si comporrà di tre figure – un presidente e due membri – e sarà corredato da una ricca schiera di funzionari di supporto. La finalità essenziale non è tanto fornire un’aggiuntiva certificazione indipendente ma di farlo di concerto e per conto degli organi UE incaricati di gestire il rispetto degli impegni assunti: in primis la Commissione Europea, ma anche la BCE esposta in vari modi nei confronti dei paesi in crisi.

Da quanto risulta, le commissioni Bilancio di Camera e Senato dovranno scegliere dieci dei 66 CV ritenuti idonei. Successivamente, tra i dieci, il Presidente del Senato e quello della Camera dovranno identificare i tre candidati selezionati. La selezione dei tre commissari è cruciale per far nascere bene la nuova autorità. Serve una buona levatrice.

Penserebbe male chi ritenesse che il Fiscal Council dovrebbe aiutare a “massaggiare” i conti pubblici italiani per agevolare il raggiungimento degli obiettivi sottoscritti dal nostro paese nel rispetto del Fiscal Compact. Rispettare quegli impegni sarà improbo, forse impossibile, ma di ciò dovrà farsi carico un percorso di rinegoziazione ottenuto a Bruxelles dal governo italiano. Sarebbe improvvido pensare che a tale scopo possa giovare l’introduzione di elementi di sensibilità politica all’interno del Fiscal Council. In tal caso, il risultato sarebbe verosimilmente un autogoal: indebolendo la credibilità della nuova autorità, la rinegoziazione diverrebbe ancor più impervia.

E, dunque, sarà bene che le commissioni Bilancio, prima, e i Presidenti delle camere, poi, mantengano la schiena dritta e scelgano tecnici irreprensibili, più possibile distanti dalla politica nostrana e più possibile familiari con gli ambienti di Bruxelles, di Francoforte e di Berlino. Come ho detto, il ruolo della politica sarà anch’esso necessario, ma va tenuto ben distinto dai ruoli tecnici.

Chi non sia sordo percepisce oggi chiari gli scricchiolii attorno alla costruzione europea. Dobbiamo tenere a mente che l’Italia è il più grande tra i paesi entrati in crisi del debito sovrano. Perciò, con un’Italia salvata è mezza salvata l’Europa. Ed è anche il caso di compiacerci del fatto che, esportando a Francoforte Mario Draghi, il nostro più fine tecnico, dall’Italia è già venuto un contributo importantissimo a salvare la casa comune europea. È quella la strada da seguire anche per i membri del Fiscal Council: solo tecnici ben distanziati dalla politica e magari con segni di ringiovanimento e attenzione alle differenze di genere.

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