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Il filosofo De Giovanni: “Per Conte piena bocciatura ma il Pd non c’è”

Imagoeconomica

Il filosofo Biagio De Giovanni, una carriera trascorsa a studiare e a trasmettere conoscenze nelle università italiane, già politico e europarlamentare dell’area che dal Pci ha portato al Pd, è noto per essere un osservatore acuto della realtà. Da anni accompagna con le sue analisi mai accondiscendenti le fasi storiche vissute dal nostro Paese. Gli abbiamo chiesto di descrivere quell’attuale. Ecco le sue risposte a FIRSTonline.  

Che cosa resterà dell’esperienza vissuta durante e dopo la pandemia di Covid 19? Tutto come prima e peggio di prima, come ha pronosticato lo scrittore francese Michel Houellebecq?    

“La società italiana cambierà perché c’è stata e c’è una crisi gravissima. Non è questione di natura. Non credo a quelle massime tipo “saremo migliori” eccetera eccetera. La natura umana resta immobile nel tempo. Invece di sicuro questa modalità che abbiamo vissuto durante la quarantena e in parte ancora viviamo avrà conseguenze. Penso al distanziamento sociale, al lavoro e lo studio da casa, alla comunicazione attraverso la via telematica: sarà questo a cambiare nei fatti la società italiana. Non credo che tutto ciò diventerà stabile, ma molto resterà e così facendo diminuiranno ulteriormente gli elementi di socializzazione. E questo non potrà che avere un effetto dirompente nel futuro costringendo la società a rivedere alcuni aspetti del suo funzionamento”.

Chi esce meglio da questa esperienza: il governo centrale o le Regioni? E a suo parere i partiti, sono stati cambiati da questa esperienza? C’è più populismo o riformismo dopo la pandemia?  

“Andrebbero operate delle distinzioni. Non si possono accorpare da una parte il governo e dall’altra le Regioni. Ci sono state differenze fra le Regioni, alcune hanno funzionato bene, tipo il Veneto. Non parliamo del Mezzogiorno perché il virus nel Mezzogiorno non è arrivato devastante come nel Nord del Paese, ci sono stati morti, è vero, ma niente a che vedere con il disastro di Milano, Bergamo, Torino etc. Non mi sentirei quindi di dire: Regioni o governo. Piuttosto la domanda vera è quale rapporto ci sia stato e debba esserci sulla sanità fra Regioni e governo. E’ stato messo in evidenza e rimane il problema istituzionale: come deve funzionare il rapporto fra Stato e Regioni sulla sanità? Ritengo che uno dei difetti delle Regioni in cui il virus si è scatenato sia stato l’indebolimento della medicina territoriale. E su questo io penso che le Regioni debbano dire la loro in maniera decisiva, non può decidere lo Stato in questa materia, la territorialità appartiene alle Regioni. Quanto al populismo, partiamo dal fatto che in Italia il populismo è sia al governo, sia all’opposizione, perché c’è quello dei grillini e quello di Salvini. In generale direi però che tutti i populismi, nelle loro varie forme, anche italiote, avranno una maggiore difficoltà nel futuro. Per esempio non potranno più usare la carta anti-europea visto che dell’Europa più che mai abbiamo tutti bisogno”. 

In particolare che voto darebbe al governo nella fase 1, 2 e 3?   

“Durante la fase 1 ha funzionato abbastanza bene, nonostante i ritardi. D’altronde una catastrofe simile era inimmaginabile. Darei quindi un voto di sufficienza per quella fase, aggiungendo solo una riserva: probabilmente sarebbe stato meglio differenziare di più fra le aree in modo da ridurre l’impatto economico. Quanto alla fase 2 e 3 mi sembra che siamo ben lontani dall’averle affrontate. Stiamo in una situazione difficilissima, non si può parlare di ripartenza, non è stata fatta nemmeno una gerarchia dei problemi da affrontare. Da dove partire: scuola, impresa, università? Ma a essere sincero non mi sorprende affatto perché io considero questo governo di qualità molto scadente e per varie ragioni.”

Cosa pensa del premier Giuseppe Conte? Scalfari lo ha addirittura paragonato a Cavour, Zingaretti lo ha definito un campione del progressismo, ma c’è chi vede in Conte tracce di trasformismo essendo passato dalla guida di un governo con la Lega a un governo con il  Pd senza arrossire. Che voto gli darebbe?   

“Conte rappresenta un’anomalia in qualunque democrazia occidentale. L’unico caso che io sappia al mondo di un presidente che fino al giorno prima presiede una maggioranza e il giorno dopo ne presiede una opposta. Questo non è trasformismo, perché il trasformismo è stata una cosa seria, una grande scelta politica fatta dopo l’Unità d’Italia. Quella è storia, niente a che vedere con il comportamento di Conte. Se lo avessi di fronte a me gli farei una domanda: presidente, avrebbe fatto la crisi se Salvini non l’avesse provocata? Siccome la risposta è ovvia, perché non si sarebbe mai sognato di aprire la crisi, questo lo inchioda. Se non ci fosse stata l’improvvida iniziativa di Salvini, lui avrebbe continuato tranquillo. Una persona così a mio avviso, e non sto facendo del moralismo ma sto parlando di politica, non ha una struttura etico-politica seria e consistente sulla quale ci si può basare. E questo per me è dirimente, non riesco a superarlo. Insomma il mio voto al premier è di totale bocciatura: 2”.    

Cosa sta diventando il movimento di Grillo? I sondaggisti lo danno in salita: come se lo spiega?  

“Me lo spiego perché il Pd non c’è. Il governo è grillino o grillizzato. Non in tutto, ma in quasi tutto. Non si toccano i decreti di sicurezza, pessimi tutti i temi della giustizia, il taglio dei parlamentari, che non rappresenta un atto serio di riduzione della spesa o altre sciocchezze del genere, ma un attacco al parlamento stesso;  non è stato avviato né lo ius soli né lo ius culturae. Insomma non c’è nulla di politicamente rilevante che venga dal Pd. E i grillini si giovano nei sondaggi dell’influenza del premier che resta popolare. Lo scenario che vedo è dunque il seguente: Conte padrone dell’Italia, 5 Stelle di riflesso e nella sua scia, Pd asfittico e al palo”.     

Allora il Pd paga nei sondaggi per la sudditanza o la timidezza verso i 5 Stelle? Oppure è questione di leadership cui recentemente lei ha parlato giudicando la proposta di Gori, sindaco di Bergamo, di cambiare il segretario, legittima?  

“Io penso a un leader, non a un nuovo leader. Zingaretti solo ora comincia vagamente a porre qualche contestazione. E’ arrivato perfino a dire nei mesi scorsi che Conte è un faro della democrazia europea, non lo dimentico. La verità che è un amministratore, importantissima funzione, ma non ha mai avuto una visione politica. Detto questo io non credo che si tratti solo di uomini, levare Zingaretti e mettere qualcun altro. Qui si tratta di riorganizzare un pensiero del partito, ammesso che sia ancora possibile. Che si torni a discutere di politica. E siccome tutti dicono che questo governo dura fino al 2023, e forse è vero, io non penso che il Pd possa continuare a non fare i conti con se stesso. Dando una spinta forte in una direzione riformistica e europeistica al governo del Paese, cosa che oggi non c’è in nessuna forma, perché riformismo significa decisione e le decisioni non ci sono. Ed europeistici significa essere seri, non scegliere dell’Europa quello che ci piace: questo sì, quello no, oggi fino a qui, domani fino a là. In conclusione non penso quindi a un nuovo leader, penso a un momento nel quale questo partito, che bene o male è pur sempre l’erede della storia della sinistra italiana, si metta a tavolino e si rimetta a pensare. Perché la politica è soprattutto questo nei momenti di crisi.”  

E di Matteo Renzi e di Italia Viva che cosa ne pensa? I sondaggi non lo premiano: secondo lei perché?   

“I sondaggi non premiano Italia Viva perché non ha nessuna fisionomia politica. Renzi voleva svuotare il Pd come aveva fatto Macron in Francia con i socialisti, ma non c’è riuscito. Io non sono stato un anti-renziano, tutt’altro, soprattutto nella fase in cui sembrava egli voler fare qualcosa di importante, e forse qualcosa pure ha fatto. Poi però si è svuotato, credo che non esista più né Renzi né il renzismo. Io credo che Renzi abbia avuto un ruolo fino al referendum costituzionale. Fallendolo ha chiuso la sua partita e non credo che la riaprirà”.  

Veniamo alle prossime elezioni regionali: il centrosinistra appare disunito e disorganizzato soprattutto per la contrarietà del M5Stelle ad andare insieme al Pd nei territori pur essendo alleati nel governo scentrale. Qualche governatore rischia, tipo in Puglia dove Emiliano, dopo la presentazione di un candidato di Renzi, viene considerato spacciato. Secondo lei è giusto distinguere anche elettoralmente il populismo dal riformismo?  

“Per quello che riguarda la Puglia forse non sarà colpa di Renzi, ma un merito. Da quello che so Emiliano è stato un pessimo governatore. Para populista e molto criticato. Renzi fa il suo gioco,  certo i pochi voti che secondo i sondaggi prenderebbe Scalfarotto farebbero pendere la bilancia verso Fitto, ma francamente non mi sembra uno scontro tra titani e non credo sarebbe un disastro epocale”.  

Pensava che Berlusconi sarebbe riuscito a differenziarsi da Salvini e Meloni e lanciare segnali di apertura al governo Conte? Può essere il preludio di una maggioranza “Ursula”?

“Certo che potrebbe esserci una versione italiana di “Ursula”, con gli schieramenti diversi che governano insieme. Amministrativamente il centrodestra sembra essersi riunito, ma sostanzialmente, nella dimensione politica, un centrodestra non esiste più, ci sono differenze enormi fra Berlusconi e gli altri due attori, che, per inciso, lottano per la supremazia nella loro area. C’è una disgregazione politica nel centrodestra. Berlusconi, in realtà, aspetta nell’anticamera di Palazzo Chigi, spera solo di essere d’accordo su qualche atto importante e portato dentro la maggioranza. Fra lui e Salvini ormai non c’è più nessuna possibilità di comunicazione politica. Hanno due interpretazioni diverse dell’Italia, dell’Europa”.  

Soffermiamoci un po’ di più sull’Europa, vista la sua preparazione e la sua esperienza appassionata come europarlamentare. La pandemia sembra aver arginato le ansie nazionaliste, ma non è ancora finita. Come immagina il futuro della Ue?  

“Ho vissuto in tempo reale l’innesto dei Paesi europei dell’Est, da parlamentare europeo. Era una faccenda complicata, si voleva salvaguardare gli ex satelliti dell’Urss dall’influenza di Mosca facendoli entrare nell’alleanza europea. A tutti sembrava, anche a me, che fosse la cosa più giusta. In realtà c’era chi, come Jacques Delors, all’epoca presidente della commissione, voleva prima approfondire l’alleanza politica fra gli Stati fondatori e poi allargare a Est. Sarebbe stato più giusto, non fosse altro perché più grande è la platea, più è difficile prendere decisioni unitarie. Ma allora l’ipotesi di Delors non fu considerata realistica. Ora quegli Stati mostrano spesso una fisionomia meno aperta e liberale del resto dei Paesi di associazione più antichi, ma non possiamo dimenticare che le eredità politiche non spariscono subito. Gli elementi dispotici erano già presenti nei Paesi dell’Est, le loro classi dirigenti non si sono formate nella democrazia parlamentare. Ma oramai è fatta e quindi bisogna andare avanti. E in ogni modo la risposta alla pandemia ha dimostrato che l’Europa ci sta, non è un’opzione. Qui il ruolo della Germania appare oggi indispensabile, dipende ora tutto da Berlino. Ed è bene che la GB sia fuori perché così la Germania potrà interpretare finalmente il suo ruolo politico senza il fiato sul collo di Londra. Se lo farà ci sarà un cambio di passo. Perché intendiamoci: o l’ Europa diventa una comunità geopolitica, o diventa marginale. E io penso che la Germania stia per capire questo e stia per dire una cosa che non ha mai detto: io sono disposta a prendere la funzione di leader dell’Europa.  Quanto all’Italia, torniamo alla mediocrità di questo Governo. Non riesco a vedere la fisionomia di un Paese che abbia un ruolo. Certo, restiamo un grande Paese fondatore. Ma solo quello”.    

Questa pandemia ha dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, che non c’è nessuna potenza, per grande che sia considerata, che sia in grado di dare una linea alla quale ci si possa ispirare. Ognuno durante la crisi è andato per fatti suoi, con i più grandi, vedi Usa, a farsi guidare spesso da isteria. Quali sono i centri del mondo oggi? C’è qualcuno che comanda?     

“No, non c’è uno che comanda nel mondo. Perché la globalizzazione ha stimolato il suo opposto,  le identità. Da qui i sovranismi, i neo nazionalismi etc. La struttura del mondo che abbiamo conosciuto si sta dissolvendo. Non c’è più l’Occidente. Oggi c’è un’America che dice: il mio primo nemico è l’Europa. E lo pratica, con le minacce di ritirarsi dalla Nato, i dazi ecc. La Cina, è vero, è una potenza enorme, ma non ha la capacità di essere la potenza globale. In realtà ci sono grandi zone di influenza dove ognuno si muove secondo le proprie logiche. La Turchia per esempio è diventata un pezzo importante nella storia globale perché riesce a avere una capacità di espansione in tutto il Medio Oriente. La Russia, pur debolissima economicamente, è una formidabile potenza geopolitica, e lo dimostra entrando a pieno titolo nell’area mediorientale e nel Mediterraneo. Ma anche qui, è solo un pezzo del puzzle. Quando dico non c’è più l’Occidente dico una frase molto impegnativa, ne sono consapevole. Ma io vedo in atto una crisi in cui a tremare è la forza stessa della nostra democrazia liberale. La cultura cinese, non dimentichiamolo, è fondata sul concetto di ordine e non di libertà. Il concetto di libertà sta diventando sempre di più un fantasma, perché se le società sono mano a mano destrutturate le loro rappresentanze politiche  entrano in una crisi drammatica. La caduta dell’Occidente è questo. I decenni futuri, se volessimo fare previsioni, vedranno uno scontro sempre più acceso sarà fra le democrazie liberali e le forme illiberali della democrazia”.    

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