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Il fagiolo poverello (ma solo di nome) di Mormanno nuovo presidio Slowfood

Slow Food

Il nome non gli rende certamente giustizia. Sarà perché ha costituito nei secoli l’umile pasto degli umili contadini di una circoscritta zona dell’area occidentale della Calabria, nell’area montana dei comuni di Mormanno, Laino Borgo, Laino Castello ed Aieta, nel Parco nazionale del Pollino, in provincia di Cosenza, sarà perché il suo aspetto non è certo esuberante ma certo è che quello che in dialetto locale viene chiamato da sempre “Fasulu povireddru iangu”, ovvero il fagiolo poverello bianco è tutt’altro che povero. Ma finalmente, sia pure in ritardo, gli è stata resa giustizia e il Fagiolo poverello è entrato a far parte dei Presidi Slow Food come preziosa risorsa della ricchissima biodiversità agricola italiana da tutelare e promuovere.

Il fagiolo poverello si coltiva da tempi molto antichi in quell’area e ancora oggi viene coltivato secondo la tradizione: essendo un fagiolo rampicante, si utilizzano paletti di sostegno in castagno, ottenuti dai vicini boschi cedui; la raccolta, che avviene tra ottobre e l’inizio di novembre, è manuale. I baccelli vengono lasciati essiccare per alcuni giorni sui cannizzi, cioè i graticci di canna intrecciata, e poi inseriti nei sacchi per essere battuti. La sgranatura, infine, viene fatta a mano.

Poverello di nome, dunque, ma non di fatto, afferma Teresa Maradei, referente Slow Food: «Ha una grande ricchezza in termini di proteine, storicamente era la carne dei poveri»

In effetti ha un elevato contenuto proteico, circa il 26% e alti valori di proteine solforate. È ricco di sali minerali, come il potassio, il ferro, il fosforo, il manganese, il calcio, lo zinco ed il selenio. È anche una ottima fonte di vitamine: quelle del gruppo B come la tiamina B1, la niacina PP, l’acido pantotenico B5 e la piridossina B6. È presente anche una discreta concentrazione di lecitine, di fitosteroli e di altri antiossidanti polifenolici. Da non sottovalutare il fatto che I fagioli bianchi sono privi di glutine, di lattosio e di istamina e trovano larga applicazione nelle diete contro il sovrappeso, il diabete mellito tipo 2 e l’ipertrigliceridemia.

Prezioso per i suoi contenuti nutraceutici ma prezioso anche per la terra. Le radici sviluppano dei tubercoli che fissano l’azoto gassoso atmosferico trasformandolo in forme nitriche e ammoniacali facilmente assimilabili dalle piante e fornendo una discreta dotazione di azoto nel terreno.

Una curiosità sulla semina: il Fagiolo Poverello Bianco viene seminato durante la tredicina di Sant’Antonio, come atto di devozione al Santo. Come sempre, dietro ogni credenza popolare c’è sempre un fondo di saggezza contadina che deriva dall’esperienza dei padri ma che poi trova giustificazione inconsapevole in principi scientifici. La semina durante la festa di Sant’Antonio troverebbe ragione nel fatto che in questo periodo si ridurrebbe di molto il proliferare del temibile Tonchio, un piccolo Coleottero (circa 2,54 mm di lunghezza) di colore verdastro e con il corpo ricoperto di corti peli che aggredisce i semi del Fagiolo. Le sue larve penetrano nel fagiolo, più di una ogni seme, scavandovi gallerie nutrizionali. I semi, che sono svuotati e bucherellati, divengono incommestibili e perdono la loro capacità germinativa.

La superficie coltivata a fagiolo poverello si era in passato drasticamente ridotta, prima di tutto perché era, come tanti altri prodotti, vittima dell’abbandono della terra e delle attività agricole da parte dei giovani, e nello specifico, perché si tratta di una coltivazione laboriosa. Negli anni ’90 è stato decisivo il lavoro di recupero da parte dell’ARSAC (l’Azienda Regionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura Calabrese), in collaborazione con istituzioni di ricerca come il CNR di Bari, il CREA-Centro Ricerca per l’Orticoltura di Pontecagnano (Sa), l’Università Mediterranea di Reggio Calabria e l’ENEA.

Il percorso che ha portato all’istituzione del Presidio parte da sei anni addietro. «Nel 2014 – ricorda Teresa Maradei – stavo lavorando a un progetto di segnaletica per il Parco Nazionale del Pollino e dovevo occuparmi di descrivere brevemente le caratteristiche storiche, culturali ed enogastronomiche di sei comuni della zona. Quando è stata la volta del mio comune, Mormanno, ho pensato al fagiolo poverello bianco, così ho iniziato a fare ricerca scoprendo molte cose, tra cui una particolarità che distingue questo ecotipo rispetto agli altri coltivati in zona: la capacità di resistere agli agenti parassitari che, negli stessi terreni, attaccano altre tipologie di fagioli». Negli anni successivi, poi, in sinergia con altri produttori e con le istituzioni locali è nata la Comunità Slow Food per la salvaguardia della cultura agricola del fagiolo poverello, primo passo verso il riconoscimento come Presidio.

Domenico De Luca, referente dei sei produttori che fanno parte del Presidio, sottolinea la peculiarità del fagiolo poverello di essere coltivato arricchendo il terreno soltanto con letame ben maturo, senza fertilizzanti chimici di sintesi: «Significa lavorare senza sfruttare eccessivamente il terreno, rispettandolo, e anche per questa ragione in passato veniva coltivato da tutte le famiglie della zona. Oggi noi giovani ci troviamo ad avere tra le mani una varietà storica e il nostro compito è valorizzarla al meglio».

«Il fagiolo poverello è un Presidio importante» conclude Alberto Carpino, responsabile del progetto Presìdi Slow Food in Calabria. «Ha tutte le carte in regola per essere un prodotto di punta e ci auguriamo che possa dare impulso all’economia di quest’area marginale, lontana dai centri grandi urbani». Un segnale importante è la giovane età dei produttori che hanno aderito al progetto: «Ci fa ben sperare perché significa che sono ragazze e ragazzi, donne e uomini, che hanno scelto di non lasciare la Calabria».

La Ricetta di pasta, fagiolo poverello e cozze

In cucina, il fagiolo poverello trova applicazione in diversi piatti della tradizione gastronomica calabrese. Il più originale è una pasta e fagioli preparata con la polvere di peperoni rossi (la zafarana) dalla caratteristica forma a corno di capra, che una volta secchi e cucinati, hanno la particolarità di essere croccanti e peperoncino piccante. Ovviamente la cottura come avveniva nel passato va fatta sul fuoco, lentissima, nella pignatta di creta.

Un’altra ricetta molto diffusa è pasta, fagiolo poverello e cozze.

Ingredienti

300 grammi di fagioli

2 kg di cozze

400 grammi di pasta: cubetti come usano in molti ma una variante molto succulenta può essere cucinata con i maltagliati

Una costa di sedano

Una carota

Mezza cipolla di tropea

Olio evo

Peperoncino rosso

Procedimento

Porre a bagno i fagioli la sera prima

In una pentola mettere a lessare i fagioli.

Pulire accuratamente le cozze e passarle in una padella, dove avremo fatto riscaldare due cucchiai di olio e peperoncino rosso, fino a che si saranno dischiuse. Liberarle dalle valve e metterle in una ciotola. Filtrare il liquido di cottura e tenerlo da parte.

Contemporaneamente in un tegame mettere cinque-sei cucchiai di olio extravergine, nel quale si fanno soffriggere sedano carota, e cipolla di tropea tritati

Quando il soffritto avrà preso un bel colore delicato aggiungere i fagioli raccolti con una schiumarola. Fare insaporire con l’acqua delle cozze che avevamo messo da parte.

Quindi buttare giù la pasta e da ultimo un minuto prima della sua cottura anche le cozze.

Lasciare riposare il tutto perché l’amido della pasta faccia il suo dovere

Quindi versare dell’Olio extravergine con una grattugiata di pepe nero.

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