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Il domicilio digitale inciampa sulle Pec professionali: niente atti “privati”

Un’obiezione del Garante sulla privacy continua a ostacolare l’invio delle PEC ai professionisti da parte delle pubbliche amministrazioni. Il caso delle multe stradali, costrette a tornare alla vecchia raccomandata. Una soluzione è pronta, ma è ancora inefficace. Ecco come possiamo intanto attrezzarci.

Il domicilio digitale inciampa sulle Pec professionali: niente atti “privati”

Sembrava una falla momentanea. E invece no. Un anno dalla nascita è passato e il Domicilio Digitale, lanciato con gran clamore il 6 giugno del 2023 con la promessa di fare piazza pulita di una gran mole di carta spedita per posta recapitando via Posta Elettronica Certificata tutti gli atti indirizzati al privato cittadino (come le multe, le sanzioni, i ricorsi e le notifiche), inciampa su una aggrovigliata interpretazione della privacy. Per i cittadini che hanno attivato il “Dominio” con la loro Pec standard (con le Poste o con uno dei provider abilitati) dopo qualche incertezza tutto comincia a funzionare più o meno regolarmente. Ma per i professionisti che hanno una Pec attivata con un ordine professionale ecco la sgradita sorpresa. Il Dominio è nato zoppo, e a tutt’oggi così rimane. A dispetto delle promesse le multe stradali, e non solo quelle, rimangono condannate al vecchio e fastidioso metodo della raccomandata cartacea.

Il problema e le ragioni di uno stop

Il Domicilio Digitale, che consente a tutti cittadini in possesso di una Pec di validarla come mezzo univoco per ricevere qualunque cosa dalla pubblica amministrazione centrale e periferica, aveva già dovuto scontare sin dalla nascita le conseguenze di un’interpretazione del garante della privacy. Interpretazione che impediva il recapito degli atti, nello specifico le sanzioni stradali, a un indirizzo PEC professionale.

La ragione dello stop? Bisognava “tutelare” la privacy dell’interessato – questo il senso della decisione formalizzata dal Garante il 27 ottobre del 2021 – da occhi indiscreti, in quanto si presumeva che quella PEC potesse essere accessibile anche ad altri dipendenti o collaboratori nell’ambiente di lavoro.

Giustificato o meno, il divieto del garante ha praticamente vanificato l’utilità della PEC attivata attraverso un ordine professionale (come quello dei giornalisti, per i quali la dotazione della PEC è un obbligo come per tutti i professionisti) per ricevere comodamente sul proprio Pc anche molti atti, e non solo le multe stradali, in alternativa al tradizionale e scomodissimo (nonché più costoso perché si aggiungono le spese di notifica) recapito a mezzo di raccomandata.

Le promesse e i rimedi mancati

La falla ha assunto una dimensione ben più rilevante di quella immaginata dallo stesso garante della privacy, che in realtà aveva imposto che lo stop avvenisse solo a valle di una verifica da parte del mittente sull’esatta tipologia della PEC interessata, ovvero se fosse a tutti gli effetti “privata” (come nel caso, lampante, si quelle nominative dei giornalisti) o fosse consultata o consultabile da altre persone autorizzate dal titolare per motivi di lavoro, evitando comunque di affidarsi agli esiti di ricerche “massive” su indirizzi PEC svolte ad esempio con il codice fiscale.

Una verifica necessariamente minuziosa, oggettivamente difficile da espletare. E così molte amministrazioni hanno via via alzato le braccia, risolvendo il problema, in attesa di “ulteriori chiarimenti”, con l’eliminazione secca dai loro indirizzari di tutte le PEC professionali, anche quelle private attivate attraverso un ordine dai professionisti che per le specificità del loro lavoro non la condividono con i collaboratori. È appunto il caso dei giornalisti. La cui PEC funziona o meno, per ricevere ad esempio le multe indirizzate ai loro automezzi privati, a secondo del buon senso del mittente, che può comunque contare su molte giustificazioni normative per continuare ad usare il tradizionale mezzo della raccomandata.

La soluzione? Doveva essere semplice e praticamente immediata. Ma risulta a tutt’oggi inapplicata.  Si trattava semplicemente di inserire nel portale INAD, da ben un anno a disposizione di chiunque per attivare il proprio Domicilio Digitale validando a questo scopo la propria PEC, un’opzione chiara e inequivocabile (ad esempio con un banale flag da cliccare) per formalizzare il consenso all’invio delle multe e più in generale di tutti gli atti diretti all’intestatario e non all’azienda di riferimento. Opzione che a tutt’oggi non risulta presente. Nelle recenti versioni del portale INAD esiste solo una distinzione formale tra PEC “cittadino” e “professionista”, presente anche nelle PEC attivate dagli Ordini, ma che evidentemente non è in grado di dirimere i dubbi delle amministrazioni.

Tutto sembra derivare dalla rigidità del meccanismo. Le PEC attivate con un ordine professionale sono state infatti automaticamente “travasate” un anno fa nel portale INAD per il Domicilio Digitale, senza la necessità di alcun intervento da parte dell’intestatario. E anche se associata alla PEC compare ora la dicitura “cittadino” le sanzioni stradali, in assenza di un’apposita procedura di conferma della validazione come PEC personale, continuano ad inciampare (è il caso, ad esempio, della PEC dell’autore di questo tutorial) nel vecchio altolà del Garante della privacy.

Come tamponare, intanto, la falla

Molte amministrazioni titolari dei famigerati autovelox (oggetto in questi giorni di una provvidenziale revisione normativa per evitare, tra l’altro, abusi e sanzioni arbitrarie) confermano l’esistenza del problema. E in attesa di una nuova comunicazione formale del Garante della privacy che sistemi le cose le amministrazioni più volenterose suggeriscono una soluzione tampone.

Possiamo intanto mandare, naturalmente via PEC, una comunicazione alle amministrazioni dalle quali si presume possa venire una notifica (a partire da Comune di residenza o di domicilio, anche temporaneo) dichiarando esplicitamente che si intende ricevere ogni comunicazione attraverso la PEC che indichiamo, chiedendo riscontro. Per individuare l’indirizzo PEC al quale inviare questa comunicazione possiamo consultare il sito Internet dell’amministrazione individuata, o chiedere all’ufficio informazioni.

Un esempio? Ecco come procedere con il Comune di Roma, che fortunatamente ha un ottimo call center (numero 060606). In caso di mancata ricezione delle multe stradali via PEC nonostante la regolare iscrizione al Domicilio Digitale, la segnalazione può essere fatta attraverso la Casa digitale del cittadino. Una procedura simile è prevista nella maggior parte dei grandi centri urbani della nostra penisola. Per i centri minori una telefonata o una volenterosa passeggiata verso gli uffici comunali potrebbe aiutarci.

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