Il settore dell’arredamento di design di alta gamma ha visto nel 2021 una buona ripresa e nei prossimi anni ci sarà un’ulteriore accelerazione. Il mutato uso degli ambienti porta a cercare arredi che esprimano personalità. Ma come distinguere un oggetto di design da uno semplicemente strano? Driade ha una narrazione lunga 50 anni che parla di cultura, ricerca, materiali, visioni che restano simboli eterni. Marco Pozzo, amministratore delegato della maison del design che fa parte di Italian Creation Group, non ha dubbi: non possiamo sapere se un oggetto diventerà un’icona, ma certo sappiamo quando un oggetto non potrà mai esserlo.
Intervista all’Ad di Driade Marco Pozzo
È un argomento delicato quello del design, difficile da comprendere per alcuni, misterioso per altri. Come si distingue un oggetto semplicemente “strano” da un oggetto di design?
«Il termine design oggi pare essere applicato a ogni oggetto un po’ particolare. Invece l’oggetto di design arriva innanzitutto da un progetto studiato, elaborato in ogni dettaglio: i materiali, la funzionalità, l’immagine. La definizione che Driade si è sempre data è quella di editore: cioè dall’idea creativa di questi meravigliosi artisti, talenti, architetti, designer si passa attraverso un ampio indotto di artigiani e laboratori che traducono quell’idea in qualcosa di concreto. In questi passaggi si ha grande cura di non perdere il significato e il messaggio dell’idea iniziale».
Arrivati all’oggetto finito, in che modo capite che il linguaggio che quell’oggetto comunica è quello giusto?
«La chiave è proprio il linguaggio: è giusto quando è in grado di stimolare un’emozione.
Noi non produciamo oggetti necessari. Il mondo del design di un certo livello non risolve il tema del sedersi e basta. Risolve in modo più ampio la soddisfazione da un punto di vista emozionale anche di altri sensi in relazione alla bellezza, alla qualità del materiale, alle rifiniture. Oppure occorre che stimoli qualcosa di personale, di intimo e ovviamente in questo ambito può suscitare effetti diversi in persone diverse. E poi c’è l’aspetto più rappresentativo socialmente, l’oggetto che diventa status symbol».
In che modo Driade si cala nella realtà attuale: usciti dalla pandemia, entrati in un clima di guerra, in un mondo che cambia molto velocemente? Qual è la cifra con la quale si vuole distinguere dagli altri?
«C’è un’offerta molto ampia e variegata e posizionamenti molto diversi che seguono una tendenza. Nel Dna di Driade c’è piuttosto la provocazione. Noi offriamo un oggetto diverso: sempre nel rispetto della qualità, del bello e dell’innovazione, però sicuramente con quell’aspetto estetico che sia riconoscibile come appartenente a un marchio con quei codici in grado di stimolare emozioni».
Quindi possiamo dire che un oggetto solamente “strano” si perde per strada, mentre se un oggetto porta con sé un elaborato più profondo diventa un’icona. Nella storia di Driade ci sono moltissimi esempi. Citiamone uno, come simbolo.
«È davvero impressionante come nel nostro catalogo ci siano ancora bestseller nati negli anni 80. La sedia Costes era stata disegnata da Philippe Stark per l’omonimo Caffè a Les Halle a Parigi: un progetto nato per una necessità – arredare quel bar – è poi diventata un’icona di Driade. Certo, non lo sai prima. Non si può dire al direttore artistico: fammi un’icona. Non so se un oggetto diventerà un’icona, ma so riconoscere un oggetto che un’icona non lo potrà diventare mai. Perché manca di codici che esprimano la personalità di marca».
Secondo molti osservatori sta cambiando il modo stesso di vivere e di pensare la casa anche alla luce dello sviluppo dello smart working accentuato dalla pandemia: qual è la sua opinione?
«Il pubblico ha cambiato il modo di pensare le case: siamo passati da case-dormitorio a case da vivere sia come rifugio personale, sia come luogo di lavoro, con una media di 3,5 giorni alla settimana, contro i 2,6 pre-Covid. E quindi ora vuole circondarsi di cose funzionali e piacevoli».
Dottor Pozzo, da quanto tempo guida Driade, come l’ha trovata al suo arrivo e qual è l’impronta che vuole dare al brand? Quali saranno gli indirizzi della Maison?
«Sono in Driade da poco più di un anno, dopo essere stato in Alessi e in Ermenegildo Zegna. Sicuramente in Driade voglio tornare a quella forte personalità che era stata impressa dal fondatore Enrico Astori con la moglie e la sorella alla fine degli Anni 60, al loro approccio molto eclettico e giocoso. Un brand che valorizza il suo passato reinterpretandolo per l’epoca attuale permette di andare più lontano verso il suo futuro. Tanto più se, come Driade, si ha un patrimonio storico così importante. Nei nostri spazi di Corsico abbiamo esposto i nostri prodotti degli anni 60-70-80 che erano stati in catalogo in quegli anni oppure che per qualche motivo non erano mai nemmeno usciti. Il mio obbiettivo è riuscire a reinterpretare -grazie anche a tecnologie e innovazioni – la sostanza in un linguaggio moderno da comunicare a un pubblico che probabilmente non lo conosce nemmeno. Il secondo filone sarà certamente quello dei nuovi prodotti. Fabio Novembre, il nostro direttore creativo, ci aiuta a interpretare i progetti interessanti per il nostro brand e ha le competenze tecniche per valutarli e portarli avanti nella progettazione.
Uno dei primi progetti che proporremo sarà un desk da lavoro da adottare in casa – proprio per la sua nuova funzione di posto di lavoro – sull’ispirazione dei vecchi banchi di scuola, con la possibilità di far sparire tutto al suo interno. Infine nel futuro di Driade c’è l’apertura agli stimoli esterni. Da una parte ai giovani, proprio come aveva fatto l’architetto Astori con Philip Stark, dall’altra a collaborazioni e contaminazioni con mondi diversi».
Proprio in occasione della Design week alla Triennale a Milano avete dato un esempio di questa contaminazione con la partecipazione di quattro talenti di diversa estrazione. Proseguirete su questo trend?
«Certamente si. Nel tempio del design rappresentato dalla Triennale di Milano, Driade, fedele al design del laboratorio estetico, ha chiamato quattro eccellenze nei rispettivi settori di riferimento, integrandoli nel suo mondo. Il fashion designer Marcelo Burlon ha progettato Edaird, uno specchio dal sapore tribale fra terra e cielo argentini. Il trapper Sfera Ebbasta ha personalizzato Cocky, una chaise longue con ali, piume e artigli. L’arazzo PiùDiUno, sintesi fra street art e tessitura, è stato disegnato da Omar Hassan. E infine, per l’ispirazione del mondo del gaming, il content creator Pow3r ha disegnato il pouf Arcad3. La sperimentazione, l’esplorazione di mondi diversi, l’attenzione verso altri linguaggi e culture dalle quali attingere idee e nuove energie, fanno parte del DNA di Driade ed è ciò che permette al brand, che ha superato i 50 anni di vita, di innovarsi continuamente rimanendo sempre comunque fedele a sé stesso».
Qual è la struttura di Driade? Con chi lavora?
«Driade, insieme a Fontana Arte e Valcucine, fa capo a Italian Creation Group presieduta da Giovanni Perissinotto, [ex numero uno di Generali, ndr]. Per la realizzazione dei nostri progetti ci avalliamo di una rete di circa 50 aziende, da quelle più strutturate con 30-40 dipendenti, ai laboratori artigianali con anche 4-5 dipendenti».
Una recente ricerca dell’Area Studi di Mediobanca ha stimato un aumento del fatturato delle medie imprese italiane del sistema arredo del 25% per il 2021 e almeno dell’8,5% nel 2022 anche grazie ai vantaggi che deriveranno dal PNRR, mentre uno studio del Monitor Altagamma Bain ha sostenuto che il design di lusso italiano è stato uno dei settori che si è più velocemente ripreso dopo la pandemia e che ha davanti buone prospettive di crescita per i prossimi cinque anni: si riconosce in questa valutazioni?
«Prima della pandemia, la crescita media annua del comparto (+4%) è stata più moderata rispetto ad altri settori dell’alto di gamma. Nel 2020 la contrazione (-6%) è stata inferiore rispetto ad altri settori lusso, e nel 2021 la ripresa è stata più decisa: +7% per un valore del mercato di circa 40 miliardi: tra i segmenti più performanti del lusso. Driade è una realtà piccola e abbiamo performato meglio del settore. Nei prossimi anni, l’intero comparto è atteso in accelerazione rispetto al suo percorso di crescita storico: una crescita del 5-7% per anno, per un valore atteso di circa 50-60 miliardi entro il 2026».
Per un brand storico come Driade quanto pesa la rarefazione del mercato cinese?
«Il mercato cinese è in forte crescita, nonostante attualmente sia di nuovo in lockdown. Con la classe media che sta crescendo, molti hanno studiato e vivono la casa in modo diverso. Abbiamo aperto negozi a Shanghai, Foshan e Shenzen e abbiamo identificato un partner locale di riferimento».