Alla fine forse bisogna arrendersi e ammettere che “il denaro è un enigma: lo usiamo tutta la vita ma in fondo non sappiamo perché”. Il professor Maurizio Ferraris, autore col collega americano John Rogers Searle del libro “Il denaro e i suoi inganni” (Einaudi, euro 12), conclude il viaggio filosofico alla scoperta del significato profondo del denaro davanti all’Auditorium gremito del Grattacielo di Intesa Sanpaolo, e induce un ulteriore dubbio sulla relazione sociale con questo strumento che ci appare nella storia dell’umanità come fonte di ricchezza e di benessere, di divisione e di ingiustizie, di guerre e pure di progresso.
Il confronto – con il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, il segretario generale della Compagnia di San Paolo, Piero Gastaldo, e il vicedirettore della Stampa, Luca Ubaldeschi – è stato l’occasione per suscitare interrogativi e offrire risposte, indicazioni, percorsi per definire il denaro e le sue principali funzioni, a volte contraddittorie nelle sue manifestazioni reali. Certo il denaro “funziona da status” ed è “la grande metafora della vita in società” argomenta il docente torinese, ma né l’analisi economica e sociale, né il pensiero bastano a spiegare completamente la sua natura, i sui cambiamenti e la sua funzione in un mondo che oggi, attraverso le tecnologie digitali, ci corteggia con il fascino ambiguo del bitcoin e della moneta che esiste ma non si vede. Recentemente Papa Francesco, davanti alle deviazioni e agli abusi dell’economia contemporanea, ha richiamato l’avvertimento di Francesco d’Assisi – “il denaro è lo sterco del diavolo” – per sostenere che “quando il denaro diventa un idolo, quando comanda le scelte dell’uomo allora rovina l’uomo e lo condanna”. Eppure c’è una simmetria anche tra denaro e Dio. Per Ferraris “sia su Dio sia sul denaro abbiamo idee vaghe e sbagliate: entrambi non esisterebbero senza libri, senza documenti e senza memoria. Una società senza matrimoni, senza promesse, sarebbe una società debole, così come un Dio, di cui l’umanità si dimentica, non avrebbe un grande avvenire”.
Il denaro è il documento della storia, della nostra evoluzione e della nostra relazione sociale. Ma non può funzionare da solo, deve essere disciplinato. Qui entrano in campo le banche per raccogliere e governare il risparmio verso l’investimento. “Il risparmio non investito è sangue sottratto alla circolazione e al sano sviluppo del sistema economico” dichiara Gros-Pietro, “il ruolo della banca è di regolamentare la quantità giusta di denaro in circolazione, la creazione di massa monetaria va controllata perché se è troppa crea inflazione, se cala molto produce disoccupazione”.
Il denaro, dunque, può avere una funzione sociale se governato dalla responsabilità. E qui tocca a Piero Gastaldo che con la Compagnia di San Paolo, primo azionista di Intesa Sanpaolo, si trova “alla fine del percorso”: incassa i dividendi della banca e li distribuisce attraverso progetti filantropici a chi ne ha bisogno, perseguendo obiettivi collettivi, pubblici che producono a volte un dividendo sociale, ma non un profitto economico. “Noi ripariamo le ferite delle società, riplasmiamo i rapporti sociali e rafforziamo le ragioni della coesione” facendo così un elogio a quella che un tempo si chiamava l’economia del “dono”. Operando sui bisogni molto concreti della vita della persone, Gastaldo non è certo affascinato dal mondo del bitcoin perché alla base di tutto “ci deve essere la fede o la fiducia, quello che manca al bitcoin per diventare una nuova forma di denaro è la fides, non la documentabilità. Attraverso i soldi scambiamo articoli di fede, non a caso l’apostolo Luca era un cambiavalute”.
Anche il presidente di Intesa Sanpaolo mette in guardia: “La blockchain che sta dietro al bitcoin è un sistema documentale fantastico, ma a gestire queste enormi quantità di informazioni e di dati ci sono pochissime persone che probabilmente si conoscono tra loro. Si crea uno squilibrio di potere pericoloso”. Sul bitcoin Gros-Pietro non ha dubbi: “Non è una valuta, ma un asset non molto diverso dal biglietto della lotteria il giorno prima dell’estrazione”.
In conclusione il moderatore Ubaldeschi ha chiesto ai relatori di scegliere “il colore dei soldi”, titolo di un famoso film americano. Per Ferraris è “il verde”, quello dei dollari e del cinema. Per Gros-Pietro è “l’oro” perché l’oggetto più vicino al denaro: divisibile, convertibile, disponibile in quantità limitata. Gastaldo, invece, sceglie il colore “rosso”, perché il denaro “deve favorire una buona circolazione sanguigna nel sistema economico”, con un’avvertenza finale: “però potrebbe essere trasparente, dunque evanescente”. Proprio come si conviene a un enigma o a un’illusione.