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Il debito pubblico italiano è sostenibile, anche con l’aumento dei tassi

Un paper scritto dagli economisti Blanchard e Zettelmeyer smentisce sul piano empirico e su quello della teoria economica tutte le proposte di default preventivo per l’Italia fiorite in questo periodo. L’aumento dei tassi d’interesse potrà portare a nuove crisi fiscali nel contesto attuale? Ecco le risposte

Il debito pubblico italiano è sostenibile, anche con l’aumento dei tassi

Se si prendono le distanze dal dibattito odierno sull’Europa, in particolare in Germania, quella che a prima vista si direbbe una discussione tecnica sulle politiche economiche e finanziarie prende le forme di una dimostrazione di dissonanze cognitive, in particolare di confirmation bias.

Nelle parole del Nobel Thaler, la mente di un “umano”, non di un “econ”, come chiama l’homo economicus perfettamente razionale, non recepisce argomenti contrari alle sue credenze—quello che ha appreso in famiglia, quello che condivide con gli amici.  Per i tedeschi il debito è peccato. Al parlarne, l’immagine che viene loro in mente è la torre nella quale s’imprigionavano i debitori insolventi.  Anche la professione economica è influenzata da questo approccio. Ci vogliono anni di studi o lavoro all’estero per stemperare questo bias, ma fortunatamente ci sono questi casi.

Sul default/debt restructuring di paesi con alto debito pubblico, un paper scritto da Blanchard e Zettelmeyer smentisce sul piano empirico e su quello della teoria economica tutte le proposte di default preventivo per l’Italia fiorite in questo periodo. Le proposte originarie sono della Bundesbank, che ha proposto un default automatico per ogni paese che chiedesse un programma di aggiustamento al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Ovvero trasformandolo in un Meccanismo Europeo d’Instabilità: basta ricordare che la crisi europea del debito sovrano -che ha ritardato la ripresa dell’Area Euro di 5 anni e rallentato la crescita nel resto del mondo, dato il peso dell’Europa nel commercio mondiale- è stata scatenata dalla decisione di Deauville per il default del debito greco.  Giocare oggi con proposte di default, avendo l’Italia come obiettivo, è irresponsabile e soprattutto infondato. Lo ha confermato il direttore del MES, Klaus Regling, che ha lavorato non solo in Germania, ma anche al FMI, sulla base di studi[i] dell’istituzione che guida e che sarebbe responsabile dei programmi di aggiustamento dei paesi in difficoltà.

Il paper di Blanchard e Zettelmeyer [ii]si chiede se l’aumento dei tassi d’interesse potrà portare a nuove crisi fiscali nel contesto attuale di ripresa ciclica con bassa crescita della produttività e quindi del prodotto potenziale, di alti debiti pubblici e di partiti populisti che propongono politiche economiche arrischiate.  La risposta è che non c’è troppo da preoccuparsi per l’aumento dei tassi d’interesse per 3 ragioni: primo, perché l’aumento dei tassi sarà graduale dando tempo ai governi di prepararsi; secondo, la maturità dei debiti sovrani – che determina quando l’aumento dei tassi d’interesse si tradurrà in maggiori pagamenti per interessi- è aumentata in questo periodo di bassi tassi d’interesse a lungo termine. In Italia nel 2017 scade debito per solo il 10% del PIL e per il 14% del PIL nel 2018.  Considerando un aumento di 200 punti base, ci sarebbe da pagare in più per interessi solo lo 0,5% del PIL in due anni. Terzo, il debito italiano resterà sostenibile perché l’aumento dei tassi d’interesse avverrà quando le condizioni economiche in Europa miglioreranno stabilmente, quindi anche il denominatore del rapporto debito/PIL aumenterà. Caso ben diverso dal precedente del 2011 quando la crisi finanziaria doveva ancora essere assorbita e le prospettive di default della Grecia stavano alimentando la crisi europea del debito sovrano.

Blanchard e Zettelmeyer mettono il debito italiano alla prova di uno scenario di crisi e uno di panico: se la crescita in Italia continuasse ad essere molto più bassa di quella europea, si aprirebbe un gap tra tassi d’interesse e crescita che potrebbe rendere il debito non sostenibile e suscitare lo spettro di default, facendo impennare gli spreads. Ma non si vede perché l’Italia non dovrebbe crescere con l’output gap che ha, ben maggiore della Germania, e avendo sistemato i problemi bancari e quindi della provvista di credito. Anche in uno scenario di panico con perdita di accesso al mercato, oggi esiste il MES il cui programma di aggiustamento dà accesso al “bazooka di Draghi” ovvero il programma OMT che fa intervenire direttamente la BCE sul mercato dei bonds italiani. Ovviamente, nessuno vorrebbe ripetere l’esperienza greca in cui l’aggiustamento non era sostenibile e si è arrivati egualmente al default. Ma la situazione italiana è incomparabilmente migliore di quella greca (e giapponese). Il grafico seguente mostra il cambiamento necessario nel saldo primario dei conti pubblici in Italia per stabilizzare il debito, dato il saldo primario odierno e l’output gap, e considerando tre diversi aumenti dei rendimenti del debito pubblico. La differenza con il caso della Grecia nel 2010 e anche quello del Giappone oggi, è enorme. Considerando costi d’indebitamento al 2% e una crescita potenziale di lungo periodo eguale allo 0.85% l’aggiustamento sarebbe nullo, con un aumento al 3% sarebbe dell’1,5% del PIL. Nulla di cui preoccuparsi.

La ragione è che l’Italia ha fatto i compiti! E ha un saldo primario positivo dell’1,4% del PIL, mentre la Grecia aveva un deficit del 10% del PIL. Quindi un programma di aggiustamento per l’Italia dovrebbe concentrarsi sulle misure per la crescita e non sarebbe a rischio di default. Purtroppo questi dati non sono noti al pubblico tedesco e, sembra, neanche ad alcuni economisti tedeschi, francesi e italiani.

Questi scenari non includono però il rischio politico dei populisti con programmi economici irresponsabili. Ma in questo caso gli autori dicono che non ci sono scenari quantificabili e “ogni scommessa è buona”.

[i] PIIE, Is Europe Prepared for the Next Crisis? October 2017

[ii] PIIE Policy Briefings: Will Rising Interest Rates Lead to Fiscal Crises? Olivier J. Blanchard and Jeromin Zettelmeyer July 2017

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