Era il protagonista assoluto delle Sagre che si tenevano in tutta Italia ad aprile. Celebrato ad Albenga, in Liguria, dove vanno pazzi per la qualità spinosa di origine sarda; in Veneto a Chioggia dove è noto per la sua precocità, pluricelebrato in Toscana, da oltre 50 anni a Riotorto, una frazione di Piombino; a Chiusure, una frazione di Asciano in provincia di Siena e a Montecatini terme in provincia di Pistoia dove veniva proposto fritto; in Emilia Romagna a Brisighella patria del famoso “Moretto”; nel Lazio, a Sezze, in provincia di Latina, la cui prima Fiera risale a oltre 50 anni fa, capace di attirare per l’occasione quarantamila persone, e poi anche a Cerveteri e Ladispoli.
E ancora in suo onore si tenevano manifestazioni nelle Marche nella frazione Filetto di Senigallia da trenta anni a questa parte; in Abruzzo a Cupello in provincia di Chieti; in Puglia a Trinitapoli; in Campania a Salerno, ad Auletta e a Pertosa che meritoriamente hanno mantenuto in vita la tradizione di una varietà bianca in pericolo di estinzione; in Sicilia, a Cerda in provincia di Palermo, dove gli hanno dedicato un monumento nella piazza cittadina alto 8 metri, a Niscemi in provincia di Caltanissetta e a Ramacca in provincia di Catania dove si produce e venera la qualità Violetta, e infine in Sardegna dove lo si festeggiava a Uri in provincia di Sassari e a Masainas in provincia di Iglesias.
Si è capito a questo punto che stiamo parlando di Sua Maestà il Carciofo, un ortaggio presente a tutte le latitudini nella nostra cucina quanto prezioso per la nostra salute di cui l’Italia è orgogliosamente il primo produttore al mondo.
La Pandemia gli ha sottratto da un anno il palcoscenico. Non si contano in Italia le feste e le sagre che gli sono dedicate oltre le più importanti che abbiamo elencato prima, perché storicamente rappresentavano il ritrovarsi tutti insieme appassionatamente per dire addio all’inverno e salutare la nuova stagione.
Ma le rigide regole governative anti-Covid hanno costretto amministrazioni comunali, organizzatori, coltivatori, e appassionati a rinviare tutti gli appuntamenti al prossimo anno, quando, si spera, saremo definitivamente usciti dall’emergenza e potremo ritrovarci in piazza a festeggiare questo umile ortaggio da Re.
Perché anche se incredibilmente “carciofo” è stato usato come sinonimo ingiurioso che denota stupidità o semplicità (“Riferito a persona, sciocco, minchione, o goffo, inabile, maldestro”, recita il dizionario Treccani), il Carciofo può vantare viceversa una lunga storia di grandissimo rispetto.
Già apprezzato dai greci prima e dai romani poi, si sviluppo essenzialmente in Sicilia ma il suo trionfo vero e proprio esplode nella metà del ‘400 quando è richiesto sulle tavole della nobiltà toscana e soprattutto quando venne portato in Francia da Caterina de’ Medici andata in sposa al re Enrico II di Francia che amava fare scorpacciate di cuori di carciofi ritenendolo un potente afrodisiaco. E il carciofo rallegrò la tavola anche di re Luigi XIV, gran consumatore, e perfino di Enrico VIII in Inghilterra che li fece coltivare nel suo orto personale.
Nel tempo il carciofo divenne anche una presenza costante nelle opere di grandi artisti del passato, scolpito nei capitelli della cattedrale di Chartres, protagonista di nature morte cinque-seicentesche, da Vincenzo Campi a Giuseppe Arcimboldo, che lo usò per il Ritratto di Rodolfo II, della pittrice fiamminga Clara Peeters dello spagnolo Blas de Ledesma, della miniaturista barocca Giovanna Garzoni fino ad arrivare a Filippo De Pisis e a un ritratto di Donna con carciofo, di Pablo Picasso.
Altro che pianta umile da sciocchi!
Ma al di là delle sue nobili frequentazioni forse la definizione più stravagante e ammirata è quella fornita dallo scrittore siriano Farouk Mardam-Bey, Bibliothécaire à l’Institut national des langues et civilisations orientales, nel suo bellissimo libro “La cucina di Ziryab, 83 ricette per una iniziazione pratica alla gastronomia araba, un originale libro di cucina che mette in evidenza il mix culturale di cui l’Islam è stato l’agente più attivo nel Mediterraneo nel corso di almeno dieci secoli.
Mardam-Bey attribuisce al carciofo atmosfere soavemente sensuali e peccaminose: “Il carciofo è la più misteriosa delle verdure. E anche la più femminile, e senza dubbio una cosa spiega l’altra. Mentre le verdure di sesso maschile, come il cetriolo, l’asparago o il porro, non si peritano di esibire ai quattro venti la loro arrogante virilità, il carciofo, al contrario, per pudore innato, se non per civetteria, fa di tutto per nascondere la propria intimità sotto sottane e merletti, pieghe e panneggi. Per accedervi, i suoi amanti devono per prima cosa togliergli tutti questi fronzoli, a uno a uno, delicatamente, lentamente. prendendosi il tempo necessario. Allora il carciofo offre loro il suo cuore carnoso, quella parte che i francesi, in epoche meno pudibonde, non chiamavano come adesso “fond”, ma designavano molto appropriatamente, a causa delta consistenza setosa e della forma arrotondata, con la parola “cut”.
E in Francia per lungo tempo il carciofo è stato considerato sconveniente da mangiare in pubblico per le ragazze di buona famiglia. Il motivo? Evidentemente il ricordo di Caterina de’ Medici: il Cynara scolymus, che nel XVI secolo aveva attraversato le Alpi proveniente dall’Italia “era considerato, al pari di altre piante fino ad allora sconosciute, come il pomodoro, un potente afrodisiaco” e questo avrebbe potuto denotare bramosie inconfessabili. Viceversa per gli uomini era propedeutico a notti di gran vigore…
Se oggi le sue caratteristiche afrodisiache sono finite in secondo piano viceversa le sue proprietà benefiche vengono rivalutate giorno dopo giorno dalla nutraceutica.
Se sono noti a tutti da tempo immemorabile i benefici del carciofo sul nostro fegato (coloro che hanno i capelli bianchi ricorderanno sicuramente una delle pubblicità di “Carosello” che hanno fatto epoca, quella dell’attore Ernesto Calindri che sorseggiava un Cynar seduto a un tavolino in mezzo al caotico traffico milanese proponendolo “contro il logorio della vita moderna”) altri effetti di grande portata sono stati scoperti dalla scienza.
Li sottolinea il sito di Humanitas Medical Care: “Il carciofo favorisce il corretto funzionamento dell’intestino e limita il rischio di cancro al colon grazie al suo elevato contenuto di fibre. Queste ultime, insieme a cinerina e sesquiterpeni lattonici, contribuiscono anche a ridurre i livelli ematici di colesterolo. Il carciofo contiene anche molecole caratterizzate da proprietà antiossidanti che sono d’aiuto nella difesa dell’organismo dall’azione dei radicali liberi e di vitamine del gruppo B, fondamentali per il buon funzionamento del metabolismo.
Nello specifico, la vitamina B9 (fornita da questo ortaggio sotto forma di folati) promuove lo sviluppo corretto del sistema nervoso nelle prime fasi della gravidanza. Mentre la vitamina K aiuta la salute delle ossa e del cervello, il potassio difende la salute cardiovascolare, il rame e il ferro sono importanti per la produzione dei globuli rossi”.
Volendo poi fotografare la composizione salutare dei componenti di questo preziosissimo ortaggio ci si trova di fronte a una miniera di benessere: Nello specifico, cento grammi di carciofi crudi contengono: 11,7 mg di vitamina C, 84,94 g di acqua, 0,19 mg di vitamina E, 5,4 g di fibre, 1,046 mg di niacina, 0,49 mg di zinco, 0,338 mg di acido pantotenico, 0,116 mg di piridossina, 3,27 g di proteine, 0,15 g di lipidi, 10,51 g di carboidrati, 0,072 mg di tiamina, 0,066 mg di riboflavina, 13 UI di vitamina A, 0,256 mg di manganese, 0,231 mg di rame, 0,2 µg di selenio, 60 mg di magnesio, 44 mg di calcio, 1,28 mg di ferro, 68 µg di folati, 14,8 µg di vitamina K, 370 mg di potassio, 94 mg di sodio, 90 mg di fosforo.
In Italia come si è visto sono coltivati a tutte le latitudini e ce ne sono di tutte le varietà. Ma nonostante il largo impiego del carciofo in cucina, in medicina e in cosmetica, un gruppo di varietà è stato tutelato da Slow Food, sono entrati a far parte dei Presidi perché la loro coltivazione, non commercialmente produttiva, si stava notevolmente riducendo. E sono il Carciofo astigiano del sorì, il Carciofo bianco di Pertosa, il Carciofo di Montelupone, il Carciofo di Perinaldo, il Carciofo di Pietrelcina, il Carciofo spinoso di Menfi, il Carciofo violetto di Castellammare, il Carciofo violetto di San Luca, il Carciofo violetto di Sant’Erasmo e il Cardo gobbo di Nizza Monferrato.
Parlare della versatilità dei carciofi in cucina è come aprire un’enciclopedia: possono essere mangiati crudi, in insalata, lessati con sola aggiunta di limone o cucinati in milioni di modi, stufati, fritti in pastella, alla romana, al gratin, alla giudia, trifolati, ripieni al forno, possono dare anima e sapore a un’infinità di piatti come pastasciutte, risotti, lasagne, torte rustiche, frittate, sformati, zuppe, possono essere eccellenti contorni di piatti di carne e di pesce, possono essere basi per vellutate o paté, possono essere conservati sott’olio come guarnizione di piatti per il testo dell’anno.
Soprattutto come fanno in Campania e in Sicilia possono essere cucinati direttamente sulla brace inondando tutto attorno un profumo inebriante di natura al quale è difficile resistere.
E, infine, se vogliamo chiudere in bellezza questa elegia del carciofo è bene ricordare che una delle più belle attrici della storia del cinema, indimenticata e indimenticabile sex symbol di un’epoca, Marilyn Monroe, incrociò la sua vita da star con il mondo del carciofo: fu nel 1949 quando venne eletta prima “Regina del Carciofo” (Artichoke Queen) al “Festival del Carciofo” (Artichoke Festival) che tutti gli anni si celebra a Castroville in California.
Dai greci, a Caterina de’ Medici, a Enrico VIII a Marylin Monroe, nessun frutto o ortaggio ha saputo attraversare la storia come Sua Maestà il Carciofo.