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Il calcio affonda nei debiti ma i procuratori moltiplicano i profitti

FIRSTonline

L’industria europea del calcio piange lacrime da coccodrillo sul latte versato, ma per i super-procuratori, i veri padroni del football dei nostri tempi, è sempre festa. I loro affari ingrassano e i numeri parlano da soli. Secondo un’inchiesta pubblicata oggi da Affari&Finanza, il settimanale economico di Repubblica, in sei anni i grandi agenti dei calciatori della serie A italiana hanno incassato dai club la bellezza di 913 milioni di euro: dagli 84 milioni e 442 mila euro del 2015 sono balzati a 138 milioni del 2020, con impennate a 193 milioni nel 2016 e a 187 milioni nel 2019.

Solo la Juve, che è quella che ha speso di più, ha versato nelle tasche dei procuratori oltre 190 milioni in 6 anni: nel 2015 ne pagava 6 milioni e 35 mila euro ma già nel 2016 le commissioni pagate dai bianconeri erano lievitate a poco meno di 52 milioni e l’affare Cristiano Ronaldo, che ha fatto esplodere i conti della società, era ancora di là da venire.

Al secondo posto nella classifica nazionale delle commissioni versate ai procuratori c’è l’Inter, con poco meno di 108 milioni in sei anni. Al terzo c’è la Roma con 103 milioni. Il Milan è quarto con 94,6 milioni e il Napoli quinto con 53,6. Chi spende meno è lo Spezia, fresco di una gloriosa salvezza, che l’anno scorso ha speso per gli agenti del calcio solo 877 mila euro.

Naturalmente non tutti i procuratori fanno affari da nababbi, ma i più celebrati non conoscono limiti. Secondo la rivista Forbes, il più ricco tra gli agenti è l’inglese Jonathan Barnett, che rappresenta 200 calciatori (tra cui il gallese Gareth Bale) e che nel 2020 ha chiuso affari per 1,4 miliardi di dollari, incassando 142 milioni in commissioni. Ma in materia di incassi stratosferici non scherzano nemmeno Jorge Mendes, che rappresenta quella miniera d’oro che si chiama Cristiano Ronaldo, con 85,4 milioni, e Mino Raiola (procuratore di Donnarumma, Pogba e Ibrahimovic) con 69,6 milioni di incassi.

Se così stanno le cose, è evidente che, anche al netto della pandemia che ha zavorrato i diritti televisivi e affossato incassi da stadio e merchandising, la sostenibilità dell’industria del calcio diventa un miraggio. E, pur essendo stata pensata male e gestita e presentata come peggio non si poteva, l’idea della Superlega, cioè l’idea di lanciare un prodotto più attraente per il pubblico più giovanile che valga a raddrizzare i bilanci dei club, non è una follia. Dipende da come la si realizza. Ma resta il fatto che se i club non la smetteranno di sprecare risorse per vezzeggiare campioni e agenti non c’è Superlega che tenga. L’età dell’oro era finita già prima della pandemia, ma pare che pochi club se ne siano accorti e, a furia di badare solo al proprio orticello, non sorprende che un’industria un tempo florida come quella del calcio ora sia sull’orlo della bancarotta.

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