“Il caffè è un piacere; se non è buono, che piacere è?”, recitava una pubblicità di qualche anno fa. Evidentemente il caffè italiano è buono, visti i numeri che fa registrare: il valore della produzione è di 3,4 miliardi euro e quasi la metà proviene dall’export; siamo infatti il secondo esportatore di caffè torrefatto al mondo, con circa 120mila tonnellate l’anno. Cifre che dimostrano lo stato di salute di un settore che, in Italia, coinvolge 700 aziende e occupa circa 7mila addetti (dati Comitcaf, comitato italiano del caffè, punto di riferimento dell’industria della torrefazione).
Si tratta di una vera e propria passione, quindi, di cui non si può proprio fare a meno, come raccontano anche altri numeri, quelli forniti dal centro studi della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi): sono 175 le “tazzine” che vengono bevute in media al giorno in ogni bar italiano e 9 i miliardi spesi nel 2015 per gustare il caffè nella nostra Penisola. D’altronde, l’Italia è anche la patria di alcuni dei brand più prestigiosi del mondo e vanta storie di imprenditori che hanno saputo trasformare questa passione in un “impero” economico.
Illycaffè, quante invenzioni!
Uno di questi è Francesco Illy, ungherese laureato in Economia, protagonista di un percorso che inizia tra le due guerre mondiali. Nel 1933 fonda a Trieste la Illycaffè e con il suo ingegno apporta grandi innovazioni nel settore, come l’invenzione del sistema di pressurizzazione con gas inerte, che aiuta la conservazione degli aromi, e la realizzazione di Illetta, la “nonna” delle macchine da caffè automatiche, che sostituisce l’acqua in pressione con il vapore. Francesco è fortunato, perché i figli ereditano la sua impronta innovativa: nascono così alcuni brevetti, come le cialde monoporzioni, i sistemi digitali per la selezione dei chicchi, le Illy Art Collection (tazzine personalizzate da artisti) e le Università del caffè con programmi rivolti a coltivatori, professionisti e appassionati. Oggi il gruppo può contare su 1.200 dipendenti e ha chiuso il 2015 con un fatturato di 437 milioni di euro. Una curiosità: da maggio alla guida della società c’è Massimo Pogliani, primo amministratore esterno alla famiglia.
Segafredo Zanetti: il caffè in Borsa
Un altro gruppo a cui si deve l’esportazione del “made in Italy” nel mondo è la holding di Massimo Zanetti, imprenditore che si affaccia nel mondo del caffè partendo da una torrefazione di Villorba, nei pressi di Treviso. L’oro nero ce l’ha nel sangue, visto che nasce da una famiglia di mercanti del caffè. La sua storia inizia quando acquista la torrefazione bolognese Segafredo: investendo nell’acquisizione di piantagioni, trasforma la torrefazione in una holding, che oggi include oltre 40 società. Una di queste è la hawaiana Kauai coffee, si dice molto apprezzata dal presidente Usa Barack Obama. Oggi la Massimo Zanetti Beverage Group è un gruppo quotato alla Borsa di Milano e commercializza, oltre al caffè, tè, cacao, spezie, vanta un miliardo di fatturato e impiega oltre 2.400 dipendenti.
Lavazza e la conquista dello spazio
Il viaggio prosegue verso Torino, dove si incontra un altro brand “made in Italy”: Lavazza, un colosso da 1,4 miliardi di fatturato che esporta in più di 90 Paesi. E pensare che tutto è iniziato in un piccola drogheria di Torino verso la fine del 1800, con Luigi Lavazza che si appassiona alla pianta del caffè e studia l’arte del blending, creando le miscele. L’idea porta popolarità alla piccola drogheria e anche qualche soldo, che viene investito in una società per azioni.
Negli anni, l’azienda diventa protagonista di campagne pubblicitarie storiche che danno vita a soggetti indimenticabili, come Caballero e Carmencita, mentre più recentemente i testimonial sono attori e personaggi dello spettacolo. Nel frattempo nascono le consociate estere e il brand arriva fin sullo spazio: il 30 maggio 2015 l’astronauta Samantha Cristoforetti degusta il primo espresso a 400 chilometri di distanza dalla terra, prodotto dalla macchina ISSpresso realizzata da Lavazza insieme ad Argotec, azienda aerospaziale torinese.
Kimbo, il Cafè do Brasil che nasce a Napoli
Ma quando si parla di caffè, non si può non parlare di Napoli. Qui nasce Kimbo da un’idea dei fratelli Rubino, Francesco, Gerardo ed Elio che iniziano a lavorare con il padre nella pasticceria di famiglia. Il locale è conosciuto soprattutto per l’ottimo caffè, amato da napoletani e turisti. Gli affari del locale vanno così bene che i fratelli decidono di fare il salto di qualità: acquistano una torrefazione e nel 1963 danno vita a una vera e propria industria del caffè, la Cafè do Brasil Spa. Il marchio Kimbo nasce qualche anno dopo, negli anni 70, e oggi è un’azienda con un fatturato di 157 milioni che ha conquistato i primi posti nel settore retail del mercato italiano del caffè confezionato.