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Il business della grande boxe batte anche la pandemia: parla Sulaiman (WBC)

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ENGLISH VERSION – La grande boxe è ancora lo sport più ricco del pianeta. Il titolo mondiale di questa notte tra i pesi massimi Tyson Fury e Deontay Wilder farà incassare 30 milioni di dollari, più una parte di incassi della pay per view, al pugile inglese e 20 milioni più la Ppv allo sfidante americano. Nemmeno la pandemia ha fermato la corsa inarrestabile delle borse e della pubblicità che ruota attorno ai titoli mondiali.

La boxe è business ma anche storicamente un incredibile crocevia di interessi politici e sociali che, anche grazie ad eventi spettacolari in mondo visione, riesce a coinvolgere capi di Stato, alta finanza, star di Hollywood e ovviamente il grande pubblico. Gli stessi pugili sono molto spesso personalità che vanno ben oltre al loro “peso” sportivo e finanziario. Sono già sui libri di storia le battaglie civili di Muhammad Ali ai tempi della guerra in Vietnam, Donald Trump recentemente ha commentato il match di Evander Holyfield, nelle Filippine il supercampione Manny Pacquiao si candida a diventare presidente della Repubblica. La leggenda Vitali Klitschko è l’attuale potente sindaco di Kiev.

In esclusiva per FIRSTonline, l’uomo più importante della boxe mondiale, il messicano Mauricio Sulaiman, presidente del World Boxing Council (WBC), la sigla dei campioni immortali della boxe, parla a tutto campo del futuro del pugilato.

Presidente Sulaiman, la grande boxe è più forte della pandemia. I match dei campioni della WBC sono forse gli eventi più seguiti dello sport mondiale.

«Faccio una premessa: durante la pandemia la nostra prima preoccupazione è stata la sicurezza. Abbiamo sviluppato un protocollo sanitario completo coinvolgendo esperti, medici, boxer, arbitri e commissari. Il virus per sua natura si diffonde come il fuoco se gli viene data la minima opportunità. Solo con la prudenza sono tornati i grandi spettacoli della boxe. Senza il pubblico presente, abbiamo “neutralizzato” la pandemia anche grazie alle piattaforme televisive e digitali che hanno ospitato in diretta gli eventi pugilistici mondiali. Showtime, Fox, Espn, Espnko, Dazn, Sky in questi mesi hanno trasmesso più boxe che mai. Milioni di tifosi, chiusi in casa, avevano proprio un grande bisogno di intrattenimento. Adesso le arene e gli stadi stanno tornando pieni».

Alla luce di quanto successo in questi due anni, la WBC nel prossimo futuro dove investirà le maggiori risorse?

«L’organizzazione e la comunicazione sono le chiavi del futuro. Quando ci sono stati casi di atleti positivi, in pochissimo tempo abbiamo spostato le date dei match e trovato alternative per gli sfidanti. La tecnologia ci aiuterà sempre di più a minimizzare le spese e a massimizzare la produttività. Devo constatare purtroppo che diversi campioni che hanno contratto il Covid manifestano problemi fisici permanenti e le loro prestazioni sono state colpite duramente. Per questo stiamo investendo molto in consulenze mediche per valutare e studiare tutti i percorsi di recupero possibili».

Nonostante l’emergere poderoso di altri sport da combattimento, le potenzialità della boxe sembrano ancora irraggiungibili per costruire campioni ed eventi mediatici.

«Il denaro è un fattore importante ma la nostra risorsa più preziosa saranno sempre gli atleti, in particolare i giovani. La WBC è una famiglia di centosettanta nazioni che continua a crescere. Stiamo costituendo uffici in varie nazioni, India, Pakistan, Medioriente, Ucraina, Cina e Sudafrica. Siamo un’organizzazione prevalentemente di boxe professionistica, ma da tempo puntiamo molto anche sulla boxe amatoriale. Abbiamo organizzato una petizione globale per salvare il pugilato alle Olimpiadi: non ci può essere pugilato professionistico senza l’apporto dei dilettanti. La boxe ha già una forza straordinaria nel mondo e prevedo che nei prossimi anni ci saranno nuove superstar dall’India, Cina e da tanti altri “nuovi” Paesi. Un’altra cosa: il nostro programma “WBC Cares” festeggia il suo quindicesimo anniversario, sono davvero orgoglioso dei campioni che visitano ospedali, orfanotrofi e centri sportivi, donando giocattoli, affetto e sorrisi».

La boxe prima o poi entrerà anche nel business delle mixed martial arts? C’è spazio per una altra sigla oltre all’americana Ufc?

«Le regole non sono le stesse, sono essenzialmente sport diversi. Lo abbiamo visto chiaramente con il match tra Floyd Mayweather e Conor McGregor. Rispettiamo gli altri sport e possiamo imparare da loro, così come loro possono imparare da noi. Il pugilato ha origine nella notte dei tempi, la sua forma moderna ha più di trecento anni. L’Ufc è un fenomeno nuovo, sono fiducioso che supererà la prova del tempo. Anche la Muay Thai è in crescita costante e sarà una forza con cui fare grandi cose nei prossimi anni».

Il volto della boxe oggi è raffigurato dal campione messicano Saul “Canelo” Alvarez. Il suo è un brand che vale più di una grande azienda.

«Saul “Canelo” Alvarez è il boxer più pagato di questa era pugilistica, possiede delle abilità strabilianti. Il mio caro padre, Josè Sulaiman, aveva in fin da subito capito le potenzialità di questo ragazzo ma diverse aziende televisive e promozionali non avevano dato importanza alla sua previsione. Josè Sulaiman aveva alle spalle sessant’anni di impegno e amore per la boxe, figuriamoci se non sapeva riconoscere quel talento dato da Dio. Un altro fattore incredibile di “Canelo” è il carisma, un dono naturale che può solo essere sviluppato. Ha vinto campionati in 4 diverse categorie di peso e anche gli avversari hanno testimoniato che il suo è un talento incredibile. Niente alimenta il successo come il successo stesso».

Come si costruisce una figura sportiva di questo genere?

«Il massimo è rappresentato dai campioni dentro e fuori dal ring. Sono i pugili che aiutano gli enti di beneficenza, che in privato donano soldi alle organizzazioni di carità. La maggior parte delle superstar della boxe provengono da famiglie modeste. Pensiamo a Manny Pacquiao che ora entra in una nuova fase della sua vita e vuole diventare presidente delle Filippine. Ha trascorso parte della sua infanzia in strada, Manny sa cosa significa essere povero e vuole dare un contributo vero al suo Paese. Su milioni di uomini, pochissimi possono diventare superstar della boxe con queste caratteristiche fisiche e umane».

Da qui ai prossimi 10 anni come cambierà il pugilato?

«Nulla rimane esattamente uguale nel tempo, il pugilato non fa eccezioni. Mio padre ha lavorato tutta la vita per renderlo più sicuro e io continuo la sua saggia strada. Oggi le gravi lesioni e le morti sul ring sono molte rare, ma anche una sarebbe di troppo. La WBC su questo è pioniera di tutte le migliori strategie sanitarie, non da ultimo nei test antidoping. Dobbiamo anche standardizzare i guantoni da boxe, migliorare la scienza dell’alimentazione e seguire più attentamente cosa accade nelle palestre. Se c’è un incidente durante un allenamento deve esserci prontamente segnalato. Mio padre è stato l’artefice della riduzione del numero di round nei campionati del mondo, da quindici a dodici riprese. Ora tutti gli altri incontri prevedono dieci round. In futuro, voglio aggiungere questo, aiuteremo con sempre più forza i boxer in pensione che in alcuni casi rischiano di “cadere in tempi difficili”».

Dal punto di vista mediatico e televisivo che novità ci saranno?

«La WBC continuerà collaborare con tante emittenti televisive per creare nuovi canali di boxe, questo è il futuro. Queste piattaforme sono grandi opportunità soprattutto per i promotor locali e regionali che non hanno contratti televisivi o mediatici».

Gli youtuber che si avvicinano alla boxe, come il famosissimo Logan Paul, creano milioni di nuovi appassionati e visualizzazioni. Come si relazionerà la noble art con questi eventi ibridi tra sport e spettacolo?

«Il matchmaking è una parte fondamentale del pugilato. Questo porta a raccogliere talenti di ogni tipo, ma allo stesso tempo bisogna evitare gli inconvenienti. Logan e Jake Paul fanno pugilato da molti anni, amano questo sport e lo rispettano, stanno portando nuovi tifosi al pugilato. Anche altri influencer, atleti di altri sport e celebrità stanno arrivando nel mondo della boxe. Pochi mesi, o anche un anno di allenamento, non possono mai colmare una vita di esperienza. La maggior parte dei nostri campioni ha dedicato ogni minuto della vita al pugilato. Mettersi in forma è diverso che essere un pugile. Nei combattimenti di questo genere è importante limitare i round e monitorare il livello tecnico degli avversari. È inoltre fondamentale definire cosa è una dimostrazione e cosa un combattimento. Anche il fattore età è da tenere in grande considerazione».

Cosa pensa della boxe femminile?

«Ha fatto grandi passi in avanti e prevedo progressi ancora più grandi nei prossimi dieci anni. Bisogna far prendere in seria considerazione ai promotor la questione delle “borse” per le donne pugili, meritano più soldi».

Non posso non chiederglielo: chi potrebbe diventare il nuovo Mike Tyson?

«Non ci sarà mai un altro Mike Tyson, Muhammad Ali, Sugar Ray Leonard, Floyd Mayweather, Nino Benvenuti, Marvin Hagler o Manny Pacquiao, sono campioni unici. La divisione dei pesi massimi sta davvero cambiando con il passare degli anni, ci sono atleti sempre più alti e grossi. Avere una grande personalità rimane però la garanzia del successo. Un buon indicatore per i talenti futuri sono le Olimpiadi. Muhammad Ali, Joe Frazier, George Foreman, Sugar Ray Leonard, Floyd Mayweather, Lennox Lewis, Evander Holyfield, Gennady Golovkin e Oscar De la Hoya hanno vinto tutti una medaglia d’oro. Manny Pacquiao, Julio Cesar Chavez e Carlos Monzon hanno raggiunto la cima con un percorso ancora più difficile. Una superstar dei pesi massimi ha bisogno di potenza da ko, un mento di ferro, una volontà inarrestabile per vincere e una personalità scintillante per catturare cuore e mente dei tifosi. Noi teniamo gli occhi aperti!».

C’è un pugile che potrebbe diventare una grande stella?

«Ryan Garcia è un giovane boxer che ha già ottenuto molto successo. Ha avuto il coraggio di prendersi una pausa dal pugilato per affrontare alcune preoccupazioni, ora è tornato. È importante non caricare troppe aspettative sulle spalle dei giovani combattenti. È nostra responsabilità, degli allenatori, dei promoter di dare il tempo ai giovani pugili di realizzare pienamente il loro potenziale. La pazienza produce grandi risultati».

La Muay Thai è in WBC da oltre 15 anni. Potrà essere un partner anche nelle cornici degli incontri stellari?

«Inseriamo la Muay Thai nelle serate più importanti per dare gusto anche ai fan di questo meraviglioso sport. Il re di Thailandia aveva richiesto personalmente a mio padre di svolgere questo compito che nel tempo si è trasformato in una sinergia straordinaria. Don Josè ha dato la sua parola a Sua Maestà, nella sua vita mio padre si è sempre sforzato di mantenere le promesse. Tanti campioni ci testimoniano con gratitudine questo sforzo. Faremo grandi cose con il pugilato e la Muay Thai».

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