L’idrogeno verde, ovvero prodotto da fonti rinnovabili, può giocare un ruolo da protagonista nel processo di transizione energetica e invertire così la rotta del cambiamento climatico. In Europa molti paesi hanno già messo in campo fondi e strumenti per lo sviluppo del settore. È una partita importante e l’Italia non può e non deve rimanere indietro, per evitare che ritardi nell’avvio del settore ci sfavoriscano rispetto ai prezzi di importazione dell’idrogeno verde. Ma ci sono ancora molti ostacoli che frenano lo sviluppo della filiera: gli elevati costi di produzione, principalmente legati al costo dell’elettricità; la burocrazia (poca chiarezza normativa) e i nodi politici. Servono circa 10-20 miliardi di euro di sostegni pubblici sui costi di produzione, ma soprattutto è necessario definire un supporto agli Opex (costi operativi e di gestione) per garantire la fattibilità economica dei progetti agli operatori, con tempistiche allineate ai bandi PNRR.
È quanto emerge dal primo rapporto sull’idrogeno verde di Agici e Fichtner che è stato presentato nel corso dell’evento “Le sfide dell’idrogeno verde: domanda, policy pubbliche e strategie degli operatori”, a Milano giovedì 1° dicembre, a Palazzo Turati.
“Il mercato della produzione e consumo dell’idrogeno è pronto e servono subito chiarezza normativa e sostegni al settore per fare presto in quanto il mercato della produzione dell’idrogeno è internazionale e ritardi nell’avvio del settore in Italia potrebbero vederci sfavoriti rispetto a prezzi di importazione dell’idrogeno intorno a 3-5 euro/Kg”, ha rincarato Massimo Andreoni, Responsabile della ricerca per Fichtner.
Idrogeno verde in Italia: 164 iniziative partite o pronte a farlo
In Italia ci sono 164 iniziative italiane relative all’idrogeno, quelle rese pubbliche, che allocate rispetto alle categorie individuate arrivano a 224 progetti, per la maggior parte produzione (76) e consumo (77), il restante in tecnologia (45) e logistica (26). Nel monitoraggio di fine luglio le iniziative erano 120, quindi sono cresciute del 37% in 4 mesi.
La maggioranza delle 164 iniziative è rappresentata da progetti che puntano alla realizzazione concreta di impianti, focalizzati su industria hard to abate e mobilità, ma nella stragrande maggioranza dei casi le imprese attendono la partenza dei bandi PNRR e significativi incentivi per abbattere gli elevati costi di produzione.
Il costo dell’idrogeno verde
Lo studio ha evidenziato come il mercato dell’idrogeno, sia per quanto riguarda la produzione che per molti degli ambiti di consumo, stia partendo con decisione con progettualità diverse, ma che si possono ricondurre a 4 modelli di produzione:
- centralizzato,
- decentralizzato,
- misto,
- hydrogen valley.
Con range di costi di produzione (LCOH) che variano tra 7,4 e 11 euro/Kg. Tra queste il modello ottimale, ovvero con l’LCOH più contenuto, è il modello misto, con una produzione dell’idrogeno localizzata presso l’utilizzatore, con una fonte rinnovabile dedicata, integrata da prelievo da rete con certificati verdi.
L’analisi ha, inoltre, evidenziato come anche la scelta di modelli di produzione decentrata rispetto al consumo non sia economicamente distante e che la loro sostenibilità dipenda comunque dalla presenza di meccanismi di sostegno sia lato Capex (spesa di capitale) che lato Opex – nei casi analizzati tra 50-80% dei costi totali – in particolare per compensare il costo dell’energia esploso nel recente periodo. I modelli sono definiti ottimali in quanto in condizioni più sfavorevoli di scenari di prezzi energetici, ore di funzionamento dell’elettrolizzatore ed interventi specifici da fare sui siti, i valori possono crescere anche di 3-5 euro/Kg.
“Dalle nostre stime – ha dichiarato Stefano Clerici, Responsabile della ricerca per Agici – emerge che le risorse a sostegno della produzione di idrogeno verde in Italia, potrebbero essere nel range di 10-16 miliardi di euro per il modello misto, e di 14-20 miliardi di euro per il modello hydrogen valley, a cui si devono aggiungere i 3,5 miliardi di euro dei fondi PNRR. È, inoltre, evidente che sul LCOH dell’idrogeno pesa significativamente il costo della energia elettrica necessaria a produrlo; per questo, a nostro giudizio, si potrebbe immaginare un contributo sugli Open indicizzato proprio al prezzo del vettore elettrico”.
Idrogeno verde in Italia: serve una precisa strategia-Paese
Secondo le due società, per facilitare lo sviluppo dei progetti nazionali e dei modelli descritti occorre sviluppare una precisa strategia-Paese sull’idrogeno e specifici strumenti di policy, necessari soprattutto ad abbattere gli ancora elevati costi di produzione della molecola. In particolare, lato operatori emergono preoccupazioni sulla mancanza di certezza normativa e di chiarezza in merito ai criteri specifici da adottare per la definizione dell’idrogeno verde; sul rischio di perdita di competitività dell’idrogeno verde rispetto ad altre forme di idrogeno a basse emissioni; sul lento sviluppo della capacità rinnovabile necessaria ad alimentare gli impianti di elettrolisi per la produzione dell’idrogeno verde a livello nazionale; sulla bassa capacità degli attuali strumenti di finanziamento pubblico previsti (es. IPCEI, PNRR) di supportare gli investimenti nel medio-lungo periodo e, in particolare, sulla mancanza di uno specifico strumento in grado di supportare gli Opex dei progetti, in questa fase fortemente influenzati dalla bassa maturità delle tecnologie, ma soprattutto – come più volte ribadito – dagli alti costi del vettore elettrico.
Come stanno messi gli altri Paesi?
A livello europeo, in molti Paesi si stanno sviluppando soluzioni in grado di dare una risposta a questi temi, in particolare garanzie d’origine per la molecola (ad esempio l’HyXchange Initiative in Olanda), meccanismi a sostegno dell’importazione di idrogeno verde dall’estero (come l’H2Global Foundation in Germania), crediti d’imposta (come la tax credit negli Usa) e schemi incentivanti per la copertura del gap economico tra idrogeno e alternative fossili (ad esempio il Contract for Difference in UK).
Conclusioni
- L’idrogeno verde rappresenta una grande opportunità per la decarbonizzazione, ma non per tutti i settori: il focus è su Hard to abate e mobilità.
- Le imprese sono pronte con centinaia di progetti ad investire nel settore, ma è necessario definire una chiara strategia Paese per orientarne le scelte.
- È necessario definire un supporto agli Opex per garantire la fattibilità economica dei progetti agli operatori, con tempistiche allineate ai bandi PNRR.
- Per contrastare la grande incertezza sui prezzi del vettore elettrico sarebbe opportuno definire un incentivo indicizzato a segnali di prezzo.
Più in concreto, a prescindere dallo strumento di supporto adottato, per rendere più competitivo il costo di produzione, oggi compreso tra i 7,4 e gli 11 euro/Kg a seconda dei modelli di produzione, delle destinazioni d’uso e dei prezzi dell’elettricità, occorre avvicinarlo a quello delle alternative fossili, gas nell’industria (1,5 euro/Kg) e gasolio nella mobilità (5 euro/Kg). Per fare questo, sulla base delle simulazioni di Agici e Fichtner, occorrerebbe abbattere i Capex del 50-60% attraverso i fondi PNRR e applicare un contributo sugli Opex compreso tra 1,5 e 6,8 euro/Kg.