Sulla sfida energetica la Commissione Europea ci premia e ci dà fiducia. Idrogeno e gas si alleano per favorire la transizione energetica. La dorsale italiana per il trasporto nella direttrice Italia-Austria-Germania di idrogeno creato nel bacino sud del Mediterraneo e soprattutto nel Nord Africa è tra le infrastrutture inserite nei “progetti di comune interesse” per l’Europa della nuova energia pulita. Obiettivo: portare l’utilizzo dell’idrogeno almeno al 13-14% del mix energetico del Continente entro il 2050. Per la nostra politica energetica è un’occasione di rilancio e di riqualificazione. Ma soprattutto di riscatto.
Proprio così: di riscatto. Dovevamo provarci con il metano, ma il disegno di fare dell’Italia un hub europeo del gas ha marciato molto più lentamente delle sue reali possibilità, nonostante passi importanti come la tormentata creazione del gasdotto Tap che intercetta il metano dai produttori orientali, grazie al quale siamo riusciti a rimpiazzare parte dei volumi “persi” dalla Russia. Ecco ora la nuova opportunità, che questa volta sembra avere un miglior sostegno delle istituzioni.
Italia hub europeo dell’idrogeno? O magari di un sapiente mix tra metano e idrogeno che corrono negli stessi grandi tubi? L’idea, non nuova e oggetto da molti anni di sperimentazioni sul campo, è proprio quella di lanciare la filiera italiana dell’idrogeno mettendo al suo servizio le attuali reti di trasporto del gas. I segnali ci sono. La volontà (così sembra) pure. Le premesse, nella tecnologia nelle infrastrutture, anche.
Problemi tecnologici esistono, ma si stanno risolvendo. Con grandi opportunità sia per la corsa italiana ad una vera transizione energetica “verde” sia per creare un sistema di sinergie con un effetto volano su molti settori dell’industria e delle infrastrutture. Vediamo perché.
Idrogeno e gas: doti e peculiarità dell’H2
Metano e idrogeno, si sa, sono due cose completamente diverse. Il primo è una fonte energetica, nel senso che si trova in natura: si estrae, si trasporta, si usa bruciandolo in maniera più o meno efficiente, più o meno pulita. Molto più pulita del carbone e anche del gasolio e della benzina. Il secondo è un vettore, nel senso che è un prodotto che per essere usato per restituire energia va prima creato con un processo industriale, tipicamente con l’elettrolisi dell’acqua, che necessita di energia.
L’idrogeno (H2) è l’ideale, oltre che come mezzo per trasportare energia, come accumulatore di quella creata con le rinnovabili, considerando la loro scarsa programmabilità, in alternativa ad altri sistemi di accumulo, come i pompaggi nei bacini idroelettrici o il ricorso a batterie elettrochimiche, che non possono gestire periodi di stoccaggio lunghi.
L’uso finale? Bruciarlo, appunto, così com’è. Oppure, molto meglio (ed è questa la vera missione dell’idrogeno gestito come “accumulo”) ritrasformarlo in energia elettrica, tipicamente con un processo basato sulle celle a combustibile, quello che avviene nelle auto elettriche alimentate ad idrogeno. Un campione assoluto di efficienza già oggi, se pensiamo che 1 kg di idrogeno equivale come contenuto energetico ad un sistema di batterie che oggi pesa 260 kg.
Problemi della filiera dell’idrogeno? Quello della mancanza di infrastrutture (produzione, prima ancora del trasporto, e comunque di stoccaggio), logicamente superabile con il crescere del paradigma domanda-offerta se la filiera davvero si svilupperà. Lo stesso per gli attuali costi del ciclo di produzione e quindi del prodotto finale: basti sapere che la sperimentazione di autobus di idrogeno in Alto Adige costa in carburante più del doppio rispetto all’uso del diesel. Vantaggi? Evidenti dal punto di vista ambientale: bruciare l’idrogeno significa emettere vapore acqueo e praticamente nulla più.
Il matrimonio tra idrogeno e gas
In teoria idrogeno e gas possono essere mescolati in qualunque proporzione negli stessi tubi di trasporto, per impiegare la miscela nei suoi usi finali così come è (naturalmente adattando i dispositivi che “bruciano” il carburante frutto del mix) o scindendola a fine trasporto nei due materiali originari con dei separatori.
La Snam, che con una rete di circa 38.000 chilometri in Italia e all’estero è il primo operatore europeo nel trasporto del gas, ci sta lavorando da anni. L’attuale rete di gas naturale in grado di trasportare tranquillamente un mix con il 10% di idrogeno, ed è quello che la Snam ha già cominciato a sperimentare da qualche anno. Ma i lavori in corso stanno consentendo ben altro. Snam sostiene che ormai oltre il 70% dei suoi 33mila chilometri di tubi italiani i tubi è Hydrogen Ready, pronto a trasportare addirittura idrogeno puro, senza riduzione dell’attuale pressione operativa.
Operazione non semplicissima. Si deve risolvere il problema della permeabilità assai maggiore di una normale rete metanifera all’idrogeno, che ha molecole molto più piccole rispetto al gas naturale, oltre ad altri problemi collaterali che riguardano anche le centrali di compressione, come la necessità di sostituire molte componenti metalliche che l’idrogeno corrode eccessivamente. Tutto fatto, tutto praticamente pronto, sostengono in Snam.
La macchina delle sinergie tra idrogeno e gas
Carte in regola, dunque, per tentare di trasformare l’Italia in un hub mediterraneo dell’idrogeno dall’Africa al nord Europa chiamando ad una nuova missione i 2.700 chilometri di gasdotti da Mazara del Vallo in Sicilia ai confini con la Svizzera (Passo Gries) e con l’Austria (Tarvisio). Il South H2 Corridor appena valorizzato dalla commissione Ue è un progetto guidato da Snam, dalle austriache Tag e Gca e dalla tedesca Bayernets. Prevede la creazione di una rete di oltre 3.000 chilometri in grado di trasportare idrogeno verde per 4 milioni di tonnellate l’anno entro il 2030 proprio con un significativo riutilizzo delle infrastrutture metanifere esistenti. Una rete a sua volta collegata a una rete europea più estesa, la European Hydrogen Backbone.
“Attraverso la conferma dell’inserimento del progetto di backbone italiana tra le opere strategiche l’Europa ha confermato il ruolo strategico dell’idrogeno e in particolare dell’Italia come corridoio di fornitura che attraversa il Mediterraneo, con l’obiettivo di collegare i poli di consumo del centro Europa” rimarca Claudio Farina, Chief Strategy and Technology Officer di Snam. Di più: la valorizzazione Ue del progetto sta trainando il sostegno dell’Unione Europea anche ad altri importanti potenziamenti infrastrutturali che vedono come protagonista il nostro paese, come l’interconnessione e potenziamento delle reti elettriche tra Corsica e Sardegna e tra Sicilia e Tunisia o anche i progetti di trasporto stoccaggio della CO2, anche questi al centro della strategia europea per la creazione di nuove infrastrutture comuni.
La spinta, forte, dell’Enea sull’idrogeno
L’idea è quella di creare una nuova generazione di celle a combustibile flessibili, in grado di gestire non solo l’idrogeno ma anche un mix tra idrogeno e altri gas a partire dal metano e soprattutto bio-metano in diverse miscele. Celle studiate fin d’ora per essere impiegate per la creazione contemporanea di elettricità e calore utilizzabile ad esempio per il teleriscaldamento. Ci si sta lavorando con il progetto SO-Free che vede la nostra Enea capofila di un consorzio di otto partner tra industrie e istituzioni di ricerca europee.
Il nuovo sistema dovrebbe essere testato in tempi brevi in una zona residenziale sperimentale a Varsavia, vicino alla sede del partner polacco IEN (Institute of Power Engineering). Finanziato nell’ambito del programma Horizon 2020 della Commissione Europea il progetto si propone di creare un sistema di apparati e infrastrutture in grado di ridurre del 40% le emissioni di CO2 rispetto ai sistemi oggi alimentati a gas naturale.
Idrogeno: entra in gioco anche il nostro Sud
Un buon segnale viene intanto dalla Sicilia, che non si vuole limitare a ruolo di punto di accesso energetico continentale. Molto dotata di aree favorevoli alle pale eoliche ha molte strutture meritevoli di reindustrializzazione e una gran fame, come noto, di occasioni di sviluppo. Ecco allora l’idea di mettere insieme nuove installazioni di eolico galleggiante e produzione di idrogeno. Il progetto prende le mosse da uno studio sulle “opportunità industriali dalla transizione energetica per la Sicilia, per l’Italia e per l’Europa” realizzato dallo studio Ambrosetti attraverso l’opera delle sue divisioni Hydrogen Community e Floating offshore Wind community.
Gli artefici del progetto premono, insieme a molti amministratori locali, perché le istituzioni garantiscano incentivi ad hoc a supporto della creazione di una Hydrogen Valley in Sicilia, facendo notare che la grande isola è un polo di eccellenza in Italia per il settore della chimica e della raffinazione che può essere utilmente rilanciato nella sfida dell’energia pulita.
Proprio la Sicilia è in testa – si fa notare – tra le regioni italiane nel potenziale dell’eolico offshore galleggiante con una capacità teorica di 65 GW di potenza, ma è quella con il divario più consistente da colmare nelle installazioni per le energie rinnovabili. Una concreta occasione di rilancio, tutta nuova, per il nostro Sud? Perché no.