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Idea Radiohead, paga quello che vuoi: il successo online dei dinosauri del rock

Il mercato della musica sta vivendo una vera e propria rivoluzione. Il diffondersi dei prodotti sul web, la possibilità di fruirne gratuitamente, correndo relativamente pochi rischi, ha messo in crisi la discografia rendendola uno degli oggetti di studio più fertili per comprendere come potrebbe essere il consumo del futuro. A provare a rispondere per prima alle innovazioni tecnologiche non è stata una giovane band emergente, ma dei dinosauri del rock come i Radiohead, 26 anni di carriera, 30 milioni di copie vendute nel mondo.

La vicenda non è proprio recente, ma è stata analizzata in modo approfondito da Antonio Nicita e Sara Rinaldi in uno studio intitolato “Pay what you want!”, pubblicato sull’ultimo numero della rivista “Mercato, concorrenza, regole”, diretta da Giuliano Amato e edita dal Mulino. Nel 2007 la band inglese annunciò l’imminente pubblicazione del suo nuovo lavoro, “In rainbows”. I musicisti svolgevano il triplice ruolo di autori, produttori e distributori (proprio come accade a numerosissimi giovani gruppi senza contratto).

La novità più importante, però, è stato l’annuncio che l’album sarebbe stato, per il primo mese, acquistabile in formato digitale direttamente dal sito ufficiale dei Radiohead, in cambio di un prezzo a totale discrezione dell’acquirente. In poche parole, l’album si poteva scaricare legalmente e perfino gratuitamente. La strategia fu un successo. “In rainbows” ebbe un’enorme diffusione: oltre al boom di download ufficiali, continuarono anche i download pirata e ebbero buon successo anche le vendite tradizionali.

Il dato è ancora più interessante se si tiene in considerazione la percentuale di coloro che decisero di pagare anche se non obbligati: ben il 38%, per una spesa media di 6 dollari. Insomma, il disco è stato uno dei lavori più venduti e remunerativi della storia del gruppo. Il buon esito della strategia mette in crisi il paradigma della razionalità dell’homo economicus e induce a ripensare le politiche del copyright. L’assunto dell’agente economico orientato a massimizzare il profitto indurrebbe a prevedere che, avendo la possibilità di usufruire di un prodotto gratuitamente, nessuno sottoscriverebbe volontariamente un’offerta libera.

In realtà il paradigma della “Rational choice” è già stato negato (si pensi alle campagne di beneficenza che riescono ad attrarre più fondi se si lascia al benefattore la possibilità di fissare l’importo dell’aiuto). Nel caso in questione, il 12% di coloro che hanno scaricato dal sito ha deciso di pagare dai 12 ai 20 dollari, ovvero il prezzo di un cd (mentre un album in formato multimediale costa mediamente 8-10 dollari). Per quanto riguardo l’economia del copyright, Nicita e Rinaldi illustrano la teoria di Liebowitz, che dimostra come la possibilità di realizzare copie legali o illegali di un prodotto non comporterebbe necessariamente un danno per gli autori grazie all’effetto di trascinamento e all’effetto di creazione di nuovi mercati.

Il primo è quello che mette in relazione il livello di diffusione di un prodotto con un aumento della sua desiderabilità (l’alto numero di download induce sempre più persone a scaricare il disco). Il secondo si realizza, nel caso in questione, nella creazione di un mercato intermedio tra persone che sono disposte a pagare il prezzo e persone che, non disposte a pagare nulla, avrebbero comunque scaricato illegalmente e gratuitamente il prodotto. Inoltre, il limite di un mese per scaricare i brani con la prospettiva di un successivo aumento del loro costo ha fatto rompere gli indugi a molti indecisi, spingendoli all’acquisto.

Per avere ulteriori conferme dell’efficacia di questo metodo non resta che aspettare nuovi tentativi da parte dei grandi della musica. Nel frattempo, il caso “In rainbows” e l’approfondimento di “Mercato, concorrenza e regole” offrono un prezioso strumento per orientarsi in un mercato innovativo e in veloce mutamento.

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