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ICE-Prometeia: scelte più coraggiose per rilanciare i mercati

È stato recentemente pubblicato il Rapporto annuale ICE-Prometeia “Evoluzione del commercio con l’estero per aree e settori”, con l’obiettivo di fornire ad esportatori e operatori italiani un punto di riferimento sull’evoluzione della domanda internazionale e sui possibili scenari futuri, in grado di orientarne correttamente le strategie d’internazionalizzazione. Negli ultimi anni i profondi mutamenti del contesto economico internazionale hanno posto il sistema produttivo italiano di fronte a nuove sfide e opportunità, tra le quali l’ampliamento dei mercati di riferimento e la diversificazione merceologica, sia in termini qualitativi che settoriali. Comprendere e anticipare l’evoluzione di tali scenari assume allora un’importanza fondamentale per le imprese italiane proiettate sui mercati esteri.

Nel corso del 2012 i mercati dell’Area Euro hanno visto una forte diminuzione delle importazioni, contribuendo così in modo decisivo ai precari risultati aggregati, dove il tasso di sviluppo degli scambi mondiali è stato inferiore alla crescita del pil prodotto. Una simile dinamica ha interessato anche le economie europee emergenti, dove ha giocato un ruolo chiave il ripiegamento degli scambi di tecnologia e beni intermedi dalle case-madri occidentali come conseguenza della depressione che ne ha colpito i mercati finali. D’altro canto, in molti paesi emergenti del continente viene a galla tutta la fragilità di un modello di sviluppo ancora troppo dipendente dal ciclo degli investimenti esteri e, dunque, non ancora in grado di trainare la domanda aggregata a livello globale nei momenti di ciclo economico negativo. Nel difficile momento congiunturale, le economie statunitense e nipponica, rappresentanti di dei cosiddetti mercati maturi lontani dall’Europa, hanno adottato scelte coraggiose e non ortodosse per uscire dalla crisi stimolando la domanda interna, sostenendone la capacità produttiva, occupazione e livelli di reddito delle famiglie. È negli USA, infatti, che le importazioni rappresentano un vero e proprio fattore di rilancio per la componente industriale interna, in particolare per quanto riguarda meccanica ed elettrotecnica. Ecco allora che una delle condizioni essenziali perché i flussi commerciali mondiali possano tornare a livelli più sostenuti passa necessariamente per la ripresa della domanda europea, sulla strada di un percorso avviato ma incompleto, la cui inversione di tendenza si potrà vedere solo nel 2014, nonostante siano stati scongiurati rischi estremi come default sovrani e frantumazione dell’Area Euro.

In questo quadro di sfiducia a livello generale, a detta del Rapporto le imprese italiane attive sui mercati esteri appaiono sufficientemente attrezzate per affrontare la situazione, dato il ridursi del differenziale rispetto agli standard di riferimento più competitivi, nonostante il fronte della domanda interna enfatizzi le difficoltà che caratterizzano l’intero scenario europeo. Il numero delle imprese che decidono di internazionalizzarsi è infatti aumentato, così come il numero di esportatori, che ha già superato la quota stabilita nel 2008, mentre il differenziale tra fra la variazione annua del mercato interno e quello della domanda estera rivolta alle imprese del Belpaese è salito a quasi 9 punti, rispetto a una media di 4,7 tra gli anni 2000-2008. E anche se quest’ultimo indicatore nulla dice sull’effettiva capacità delle imprese di rispondere alla domanda estera, esso rappresenta comunque una buona approssimazione degli incentivi all’internazionalizzazione, i cui livelli sono cresciuti in linea o in misura maggiore rispetto ai principali competitori europei. In questo scenario, i maggiori limiti sono però dati dalla forte specializzazione geografica dell’export, di cui ben 40% concentrato nell’Area Euro, proprio dove la depressione della domanda per consumi e investimenti è più acuta. Ecco allora che si rendono quanto mai necessarie tempestive soluzioni economico-istituzionali a livello nazionale e comunitario per attuare un rinnovato modello produttivo per l’Italia capace di rafforzare diversificazione geografica e capacità innovativa con il sostegno del sistema creditizio, rilanciando a sua volta occupazione e livelli di reddito delle famiglie, unico vero carburante per il motore economico del paese.

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