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I vegani e la battaglia dell’Economist: consumeremo meno carne?

Pixabay

Pubblichiamo di seguito la seconda parte del post sul veganesimo che riporta in traduzione italiana un servizio del magazine The Economist. 

La carne è affamata di terra 

Anche sul tema dell’impatto ambientale dell’industria alimentare, i vegani e i vegetariani hanno un vantaggio. Crescere gli alimenti vegetali richiede meno terra di quello che serve per produrre la carne. Gli animali non trasformano tutta l’energia che assumono in calorie per i loro muscoli. Hanno bisogno di una parte di quella energia per rimanere in vita. Se questo utilizzo calorico è una necessità per gli animali, dal punto di vista della produzione alimentare è uno spreco. Questo spreco significa che c’è bisogno di più terra per caloria prodotta se si lavora carne di manzo (oltre un metro quadro a caloria) piuttosto che broccoli (10 cmq a caloria). Indubbiamente, molti pascoli sono su terreni che non sarebbero necessariamente adatti all’agricoltura. Però la FAO valuta che l’allevamento del bestiame occupi circa l’80% di tutta la terra agricola e produca solo il 18% delle calorie del mondo. 

Alon Shepon e colleghi del Weizmann Institute hanno esaminato questo aspetto in termini di costo-opportunità (cioè il costo derivante dal mancato sfruttamento di un’opportunità concessa a un soggetto economico, è un indicatore di perdita o di spreco). La scelta di produrre un grammo di proteine alimentando una gallina ovaiola, piuttosto che ottenere l’equivalente dalle piante, ha un costo-opportunità del 40%. Ottenere il grammo di proteine dalla carne bovina rappresenta un costo-opportunità del 96%. Questi studiosi affermano che, se l’America smettesse di pagare questi costi opportunità e in primo luogo ottenesse le proteine dalle piante, potrebbe aumentare l’offerta di cibo di un terzo o eliminare tutte le perdite dovute allo spreco degli alimenti. 

Emissioni di CO2 da spavento 

Questa fame di terra comporta che l’allevamento del bestiame cambi il contesto climatico: liberare i terreni per il pascolo degli animali crea gas a effetto serra. Oltre a ciò, i batteri dei sistemi digestivi dei ruminanti producono metano, un gas serra piuttosto potente. Una volta che esce dai bovini, principalmente attraverso l’eruttazione, non, come si pensa comunemente attraverso la flatulenza, questo gas metano contribuisce al riscaldamento globale. La FAO calcola che i bovini generino fino a due terzi dei gas serra provenienti dagli allevamenti e costituiscano la quinta fonte mondiale di emissione di metano. Se le mucche fossero un paese, le mandrie sparse sulla Terra sarebbero il terzo emettitore di gas a effetto serra del pianeta. 

Springmann e i suoi colleghi hanno calcolato che nel 2050, in un mondo dominato dal veganesimo, le emissioni di gas serra prodotte dall’agricoltura sarebbero inferiori del 70% rispetto al mondo attuale; in un mondo della “alimentazione globale sana” sarebbero inferiori del 29%. I benefici non sono tutti dovuti solo al minor numero di bovini; ma una grande parte di essi sì. L’allevamento di bovini produce sette volte più emissioni per tonnellata di proteine rispetto agli allevamenti di suini o di pollame, 12 volte più della soia e 30 volte più del grano. Rinunciare alla carne produce molti dei benefici della scelta vegana.  

Cibarsi di altri animali fa anche molta differenza. In termini ambientali, ottenere le proteine dagli insetti – convertitori molto efficienti – potrebbe essere quasi indistinguibile dal veganesimo. 

La sofferenza degli animali è morale? 

Ad eccezione degli insetti, una delle motivazioni principali di molti vegani e vegetariani è la convinzione che uccidere e mangiare animali sia sbagliato. I vegani si astengono anche dal latte e dalle uova perché vi vedono un sacco di sfruttamento, morte e sofferenza (la questione del miele rimane un punto di contesa).  

Nelle mandrie da latte i vitelli vengono in genere sottratti alle madri entro 24 ore dalla loro nascita, rispetto ai 9 mesi/1 anno necessari per l’allattamento naturale. I vitelli maschi vengono uccisi o allevati per la produzione di carne. Nella produzione industriale di uova, i pulcini maschi vengono uccisi e semplicemente scartati già al primo giorno di vita. Il bilancio delle vittime è immenso. Ogni anno oltre 50 miliardi di animali da fattoria vengono uccisi per farne prodotti da alimentazione. 

#MooToo 

Il più noto sostenitore della causa animale è Peter Singer, un filosofo dell’Università di Princeton. Singer sostiene che considerare i bisogni e gli interessi degli esseri umani come superiori a quelli di altri animali è un pregiudizio nefasto, analogo a quello di considerare gli uomini come superiori alle donne o i bianchi superiori alle persone di colore. Un pregiudizio che si basa su una distinzione arbitraria tra due gruppi, uno dei quali ha il potere di sopprimere i bisogni dell’altro. Il filosofo di Princeton ha scritto: 

“Ciò che dobbiamo fare è includere gli animali non umani nella sfera della nostra considerazione morale e cessare di vedere le loro vite come spendibili per qualunque futile scopo ci capiti di avere. Se consideriamo sbagliato infliggere una certa quantità di dolore a un bambino senza buone ragioni, dobbiamo considerare altrettanto sbagliato infliggere la stessa quantità di dolore a un cavallo senza buone ragioni. L’animale che uccide con meno ragioni per farlo è l’animale umano”.

Ciò che importa, dice Singer, non è la specie a cui appartiene un essere, ma la sua capacità di sofferenza. Se un animale soffre tanto quanto una persona, allora le cose che sarebbero inammissibili per una persona – come ucciderlo e mangiarlo o immobilizzarlo in una gabbia – sono inaccettabili se fatte all’animale. “Nella sofferenza”, scrive Singer, “gli animali sono nostri pari”. 

Questo punto morale sembrerebbe dipendere da una considerazione empirica; in che misura e in che modo soffrono gli animali? Il cervello degli animali contiene aree chiaramente analoghe a quelle correlate con la coscienza, la percezione e l’emozione degli umani. Ciò che differenzia la loro sofferenza rispetto a quella di un umano è una questione di lana caprina. Sicuramente gli animali provano dolore e, sia gli uomini che gli animali, possono esprimere delle preferenze e, sembrerebbe, delle opinioni sulle preferenze degli altri. Ciò ha una certa rilevanza morale. 

Senza più animali da allevamento? 

Sarebbe meglio per gli animali che soffrono non esistere affatto? Un mondo vegano non avrebbe bisogno di mucche, felici o tristi. Il genere bovoide Bos Linnaeus conta attualmente 1,5 miliardi di esemplari. Queste vite dovrebbero essere valutate meno delle vite degli animali selvatici che andrebbero a ripopolare i loro pascoli cresciuti a dismisura quando questo genere sarà scomparso? Quando si tratta di animali selvatici, le persone tendono ad aborrire il crollo della popolazione; perché le cose diventano diverse quando si tratta di animali domestici? 

Il progetto di Singer di riconoscere i diritti legali agli animali sarà una via difficile da percorrere, se non impossibile. Né i tribunali, né i legislatori sembrano essere molto interessati. Ridurre la crudeltà verso gli animali, tuttavia, è una strada più percorribile, sia attraverso la legislazione – l’uso delle gabbie per l’allevamento in batteria delle galline è stato abolito nell’Unione europea dal 2013 – che con l’azione dei consumatori, che preferiscono uova di allevamenti a terra, prodotti certificati come privi crudeltà e con provenienza trasparente. Questa seconda alternativa, tuttavia, non è accettata dai vegani. 

… e senza carne? 

Sebbene la biologia non sia un destino, gli umani, come i loro parenti, gli scimpanzé, si sono evoluti come onnivori; la prova è nei denti e nell’intestino. Se la dieta delle persone è altrimenti limitata, ad esempio a base di amidi, la carne aiuta. Come dimostra il crescente consumo di carne in tutto il mondo, molte persone nella maggior parte delle culture amano davvero mangiarla; la stragrande maggioranza lo farà ancora per un po’, almeno fino a quando ve ne sarà la possibilità. La grande eccezione è l’India, dove, circa il 30% della popolazione, per motivi religiosi, ha uno stile di vita vegetariano. 

Nulla di ciò rende il veganismo, completo o part-time, e la diffusione di alimenti vegetali un fenomeno irrilevante. Un mix di preoccupazioni etiche, cucina innovativa come quella del Krowarzywa di Varsavia, prodotti vegetali più a portata di tutti nei supermercati sono tutte cose che potrebbero vedere il mondo ricco raggiungere il picco del consumo di carne e discendere dall’altra parte della parabola. Se è così, e in particolare se la riduzione del consumo di carne rossa è parte di questo processo, ci saranno probabilmente benefici sostanziali per salute e la felicità.  

E se il mondo migliora gli standard nella gestione di allevamenti di carne, alcuni di questi benefici potranno anche essere condivisi con gli animali stessi. 

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Categories: Cultura