Chi parte col piede sbagliato è già mezzo rovinato. Dopo aver inizialmente apprezzato la proposta di legge del Terzo Polo che suggeriva di regalare una nuova licenza a tutti tassisti per soddisfare – senza costi per lo Stato – la domanda dei cittadini di avere più taxi a disposizione e rispettare i legittimi interessi dei tassisti in difesa delle loro licenze, il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini aveva subito fatto un passo indietro di fronte ai mormorii della più potente lobby d’Italia. Così al Consiglio dei ministri del 7 luglio la doppia licenza anziché essere prevista per tutti i tassisti era già stata ridimensionata a una quota non superiore al 20% e per giunta da concedere da parte dei Comuni attraverso concorso (anche per nuovi conducenti). Ma fiutata la debolezza della controparte governativa, i tassisti hanno subito alzato il tiro e l’altro giorno, intervenendo in audizione alla Commissione Industria del Senato, hanno chiesto che la quota di licenze aggiuntive non superi il 10% di quelle attualmente in vigore e attraverso procedure che richiedono tempi lunghi. A questo punto il decreto taxi assomiglia da vicino a quello sugli extraprofitti delle banche: tanto rumore per nulla. I tassisti, si sa, non brillano per coscienza civica ma il vero perdente di questa battaglia è il Governo e in primo luogo il ministro Salvini che fa la voce grossa quando non c’è l’avversario ma si fa pecora quando la controparte fa il viso delle armi. Perciò giù dalla torre sia i tassisti che Salvini.