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I social network sono i nuovi Big Data: imprese e reputazione digitale

Pixabay

I dati sono il nuovo petrolio, compresi quelli raccolti da strumenti tutt’altro che scientifici come i social network e in generale dalle interazioni in rete. La nuova frontiera dei Big Data si chiama reputazione digitale ed è uno dei cosiddetti Alternative Data, ossia una inesplorata ma preziosissima miniera di informazioni utili sia per le imprese stesse, che possono progettare il loro business avvicinandosi alle esigenze dei clienti, sia per le banche, che possono così perfezionare il credit scoring, ossia il punteggio del merito creditizio delle imprese stesse. Il nuovo orizzonte del fintech ha un potenziale talmente alto che si stima che possa raggiungere un valore superiore ai 17 miliardi da qui al 2027.

Se da un lato l’utilizzo dei social network come fonte attendibile per analisi finanziarie è stato sdoganato dalla stessa Banca d’Italia, che di recente ha confrontato i dati emersi da Twitter con quelli dell’Istat e degli inflation swaps come spia dei prezzi, è altresì vero che gli Alternative Data, non propriamente convenzionali, hanno bisogno di essere raccolti, filtrati e gestiti nel modo giusto perché diventino una fonte di informazione credibile. Di questo si occupa The Data Appeal Company, la fintech fondata e guidata da Mirko Lalli, con sede a Milano e Firenze. Proprio con Lalli abbiamo provato a farci spiegare meglio questo fenomeno.

Che cos’è la reputazione digitale e davvero sta diventando una fonte di informazione rilevante per il merito creditizio?

“La reputazione digitale, cioè come l’azienda si posiziona attraverso la comunicazione online e viene percepita e raccontata dai propri clienti, rappresenta un’informazione sempre più rilevante sia internamente che esternamente. Internamente, perché l’azienda può raccogliere indicazioni strategiche importanti analizzando punti di forza e debolezza, aiutando a oggettivare e prioritizzare eventuali scelte operative. Esternamente perché la reputazione digitale contribuisce ad arricchire l’analisi dell’azienda includendo informazioni basate sulla percezione, sia in termini di comunicazione che di reputazione, dimensioni che impattano sulle performance, sui ricavi e risultati finanziari della stessa perché in grado di influenzare le scelte di acquisto. The Data Appeal Company elabora indicatori proprietari, basati su una molteplicità di dataset, per fornire a banche e istituti finanziari un modo semplice per analizzare e confrontare queste dimensioni complesse”.

Ci sa dire se già oggi molte banche italiane fanno uso di questi dati e che importanza gli danno?

“Molte banche, anche di “territorio”, si stanno muovendo verso l’adozione e integrazione di questo nuovo modello di “osservazione” delle imprese, per arricchirne in maniera innovativa il profilo creditizio ed essere più veloci nell’erogare crediti in modalità cosiddetta “smart”. Il contesto pandemico tra l’altro oltre ad accelerare tutti i processi, volontari e involontari, di Digital Transformation, accelera anche la generazione di nuovi contenuti online e nuovi dati rendendo quindi ancora più rilevante l’utilizzo dei Big Data per integrare la valutazione del merito creditizio”.

La reputazione digitale incide sul credit scoring ma a monte può anche essere uno strumento utile per le imprese per orientare meglio il business. C’è consapevolezza su questo da parte delle imprese italiane?

“E’ esattamente quello che forniamo alle imprese attraverso un modello di dati che permette loro di “configurare” e “progettare” soluzioni operative, economiche e di prodotto, molto più vicine alle esigenze della propria clientela e confrontandosi con la concorrenza diretta. Produciamo report profilati attraverso analisi puntuali sfruttando i nostri algoritmi proprietari, evidenziando necessità di mercato e territorio dove insiste l’azienda. Alcune imprese hanno colto questa opportunità e sono consapevoli che questa nuova modalità di analisi è utile per avere maggiori informazioni, prendere decisioni migliori e rimanere competitive”.

Come si raccolgono i dati sulla reputazione digitale? Solo dai feedback sui siti internet e dalle interazioni sui profili social o anche da altre fonti?

“Noi abbiamo un mix di fonti che interroghiamo costantemente e che fanno parte del contenuto informativo processato dalla nostra AI. Ad oggi raccogliamo dati da circa 100 canali e fonti digitali e ovviamente sono compresi i principali social media”.

Questi dati hanno bisogno di essere raccolti, filtrati e gestiti nel modo giusto perché diventino una fonte di informazioni credibile. Non c’è il rischio, con tutti i flussi (spesso pilotati, ma in ogni caso preda del fenomeno dell’hating e dei “leoni da tastiera”) che viaggiano incontrollati sulla rete, che l’esito possa essere falsato e l’immagine di un’azienda penalizzata (o avvantaggiata)?

“Le nostre analisi passano attraverso dei motori semantici – da noi sviluppati ed implementati – che analizzano i contesti e utilizziamo più fonti prima della validazione del dato finale che viene reso disponibile. Non ci fermiamo alla singola analisi di un canale o del singolo commento ma raccogliamo per lo stesso punto di interesse più informazioni da differenti fonti normalizzando il dato alla fine del nostro processo di analisi attraverso degli algoritmi proprietari che rappresentano un nostro asset aziendale”.

Esiste secondo lei un social network più “affidabile” di altri?

“Dipende dal contesto di mercato nel quale il cliente ci chiede l’analisi. Alcuni mercati richiedono l’osservazione e l’analisi di alcuni dati di contesto territoriale – mix mix – altri in modo più puntuale l’uso di recensioni “certificate” quindi non ridondate. L’affidabilità si costruisce attraverso la rilevanza e l’utilizzo di una molteplicità di canali, in modo da bilanciare eventuali bias di singoli canali. Per questo abbiamo in programma di continuare ad arricchire le nostre fonti dati”.

Alternative Data comunque non significa solo feedback dei clienti e analisi del sentiment tramite la rete, ma anche informazioni geografiche, informazioni di location intelligence e di fattori esterni e contestuali come il clima. Ci può spiegare in che modo questi aspetti possano essere rilevanti?

“L’analisi di più contesti è fondamentale per affinare – se opportunamente e abilmente utilizzata – i dati messi a disposizione da società come la nostra che elaborano informazioni per fornire indici sintetici utili per prendere decisioni di business e strategiche. I nostri indici proprietari sono stati sviluppati proprio per fornire delle indicazioni puntuali per esempio su come un’impresa mette in atto le buone pratiche di sviluppo sostenibile secondo i 17 goal fissati dalla Nazioni Unite – Fair Index – oppure sulle misure di protezione adottate rispetto al contenimento del Covid – Safety Covid Index. Altri indicatori che prendono in considerazione l’andamento della domanda (ricerche di voli, ricerche e prezzi di hotel, meteo, eventi, ecc) in modo da prevedere le dinamiche future”.

Davvero secondo lei le imprese da ora in avanti dovranno prestare sempre più attenzione ai loro profili social, come se fosse un indicatore oggettivo di qualità?

“Ritengo che sia inevitabile il cambio di mindset delle imprese e di chi le dirige. In un mondo sempre più veloce, comunicare nel modo giusto e nel momento opportuno, fornendo indicazioni reali e trasparenti di servizi e prodotti offerti, è fondamentale. Oggi più che mai è necessario adeguarsi a questo cambio di paradigma imposto – in parte – anche dalla situazione pandemica che stiamo vivendo”.

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