Domenica 25 maggio toccherà all’Italia recarsi alle urne per il rinnovo delle istituzioni europee. Una data che chiuderà settimane di desolante campagna elettorale in cui gran parte dei partiti– persino coloro che si sono definiti euroentusiasti – hanno fatto a gara per gettare fango e discredito sull’Europa.
Si è detto tante volte che i toni sono alti perché sono deboli le idee. Ma la colpa è anche delle leadership. Si è fatta una campagna elettorale lontana dai problemi reali dei cittadini. Trasferte e incontri in cui si è parlato poco di Europa. E quando lo si è fatto – in pochissimi casi – è stato più per l’esigenza di cavalcare slogan populisti che vedono nell’UE un problema e non un’opportunità.
Si è persa la speranza. Si è smarrito il coraggio. Si è riscoperto l’egoismo contro la solidarietà.
So benissimo di essere in controtendenza, eppure resto ancora tra coloro che intendono difendere l’idea dei padri fondatori evitando che il loro sogno si trasformi in un incubo.
La verità è che non è il progetto europeo a non aver funzionato. La sfiducia o le crisi dipendono sempre da questioni politiche. L’Europa si è indebolita perché si sono indeboliti i leader e perché non hanno funzionato le soluzioni proposte sul tavolo a Bruxelles.
Dov’è finito il sogno degli Stati Uniti d’Europa? Diciamolo: è certamente un argomento tutt’oggi snobbato e che non risparmia dagli attacchi della grande rete di Twitter o Facebook chi invece lo promuove. Sta qui la differenza tra un leader ed un capopopolo: il primo ha visione e progetti dietro a cui riesce a raccogliere i cittadini. Il populista, al contrario, asseconda la pancia, i bassi istinti e le paure della gente. Il primo guida, il secondo segue. Purtroppo, dispiace dirlo, non vedo ancora nessuna valida guida all’orizzonte. Non mi sembra, insomma, di vedere nuovi Delors.
Addirittura i leader di partiti che si definiscono maggiormente europeisti hanno prediletto slogan del tipo “mai più lezioni da Bruxelles” piuttosto che “andremo in Europa con la schiena dritta”. Minima la differenza rispetto a chi urla “euro uguale moneta straniera”, o chi vorrebbe addirittura spazzare via l’Europa. Insomma, abbiamo un range di opinioni emozionali e non ragionate. Una drammatica realtà che potremo contrastare solo se lavoreremo a più solidarietà e unione politica.
Quando si parla di politica non si può tralasciare un dovere, specialmente se si parla di una realtà come quella europea che ha attraversato il big bang del grande allargamento del 2004, dell’entrata nell’euro o delle conseguenze della globalizzazione. La politica è tale se sa rispondere ad una domanda: qual è la ragione del nostro stare insieme?
Chi critica l’Europa sostiene che non ci sono ragioni per continuare con il percorso comune. Io, al contrario, ritengo che le ragioni ci siano, ma che occorra fare di più sulla strada della politica piuttosto che unicamente sulla strada dell’economia. La futura unione bancaria, ad esempio, è certamente irrinunciabile. Ma quando ne parliamo andrebbe precisato che il meccanismo di monitoraggio e di salvataggio è utile se serve a salvare le banche per salvare gli Stati. Se invece, com’è già accaduto, serve a salvare le banche perché si ricapitalizzino e non perché eroghino credito alle imprese, allora è comprensibile che anche un euroentusiasta come me si comincia a porre il problema della direzione in cui vuole andare l’Europa.
Pensare a stare insieme politicamente vuol dire pensare ad una politica europea sul lavoro e sul welfare – temi su cui gli Stati spesso vogliono gelosamente conservare la propria sovranità. Vuol dire saper governare certi meccanismi come l’allargamento: andiamo incontro ad un’atmosfera di nuova guerra fredda con la Russia dopo aver fatto credere che il partenariato orientale fosse la scorciatoia riservata ad Ucraina e Georgia per diventare membri dell’Europa e della NATO. Ricordiamocelo: le procedure di allargamento sono una cosa seria e non esistono corsie preferenziali!
Stare insieme vuol dire pensare al tema della sicurezza e della difesa europee: è possibile che il documento strategico europeo sia ancora datato 2003? Ci rendiamo conto che siamo nel 2014, in un mondo totalmente cambiato, e l’UE non ha ancora aggiornato quel dossier!
Unione politica vuol dire anche più solidarietà sulle politiche migratorie: come lo giustifichiamo ai siciliani, che eroicamente aiutano a salvare le vite dei disperati, che l’UE risponde prima con un telex dicendo che la domanda pervenuta dall’Italia non è esaustiva, e poi sostiene che l’extra budget previsto per Frontex non è stato messo a disposizione per “ragioni procedurali”! Nel frattempo i morti si contano a migliaia.
Stare insieme, ancora, vuol dire occuparsi di una politica integrata europea in materia di sicurezza energetica: un settore dove facciamo la faccia feroce ad est, quando poi sappiamo che non esistono le interconnessioni delle condutture del gas e del petrolio tra Paesi dell’Unione. In pratica, se la Slovenia resta isolata perché tagliano le forniture da est o interviene l’Italia o Lubiana rimane al buio.
Stati Uniti d’Europa vuol dire parlare con una sola voce in politica estera. In Libia abbiamo vinto la guerra e stiamo perdendo la pace! Lo dissi nel 2011 quando ero ministro degli Esteri: il problema, dopo la caduta del regime di Gheddafi, sarà quello di evitare la partizione della Libia. Anche qui, chi ha mai visto Bruxelles in questi mesi dire una sola parola che andasse oltre un “facciamo gli appelli alla transizione democratica”!
Lavorare per un’Europa migliore – #betterEurope, secondo il linguaggio di Twitter – vuol dire soprattutto non prendersi gioco degli elettori. Siamo proprio sicuri che dopo aver sbandierato le candidature delle famiglie europee al posto di Presidente della Commissione, possano essere davvero Juncker, Schulz o Verhofstadt ad ottenere quel posto? Francamente non ne sono per niente convinto: anzi, temo che – a maggior ragione se ci dovesse essere uno scarto di 5 o 10 seggi tra i partiti arrivati primi – ci ritroveremo di fronte alla solita “stanza segreta” che nomina un candidato di compromesso, defraudando elettori e Parlamento di questo potere decisionale.
Anche qui: di chi è le colpa se non delle leadership. Che fine hanno fatto i veri leader? Piuttosto, quel che sta emergendo è una mancanza di legittimazione popolare degli stessi così come delle istituzioni europee. Il che vuol dire che la legittimazione del cosiddetto popolo sovrano alla fine potrebbe trasformare quello stesso popolo in euroscettico o addirittura eurocontrario. Se la ristretta élite di Bruxelles continua a rimanere tale, i populisti diventeranno la maggioranza in Parlamento con il rischio di paralizzarne i lavori.
Stati Uniti d’Europa ed unione politica vogliono dire questo: affrontare con coraggio le ragioni dello stare insieme per non dare nessuna chance ai nemici dell’Europa. Io non sono tra chi si arrende senza aver prima provato a lottare. Quando si parla di sogni non bisogna cedere mai, perché quando pensi che sia tutto finito, è il momento in cui tutto ha inizio. Ecco perché continuo a credere nel sogno europeo e in una migliore Europa.