A seguito delle decisioni politiche che hanno assegnato alla Banca centrale europea (BCE) di assumere la responsabilità relativa alla vigilanza delle maggiori banche dell’Eurozona, la BCE ha rilasciato una dichiarazione il 23 ottobre scorso. In essa, la BCE ha definito la tempistica delle varie azioni preliminari alla sua presa in carico di questa responsabilità. Tra le altre informazioni, è stata precisata la lista delle banche per le quali la vigilanza sarà centralizzata presso la BCE. Tutte le altre banche dell’area euro rimarranno sotto la diretta e sola responsabilità delle rispettive autorità di vigilanza nazionali. L’elenco comprende 124 banche dei diciassette paesi che aderiscono all’euro: Austria (6 banche), Belgio (6), Cipro (4), Estonia (3), Finlandia (3), Francia (13), Germania (24), Grecia (4), Irlanda (5), Italia (15), Lettonia (3), Lussemburgo (6), Malta (2), Paesi Bassi (7), Portogallo (4), Slovenia (3) e Spagna (16 banche). Mentre, in parte confermando le informazioni già disponibili ai mercati, la dichiarazione della BCE ha specificato i tempi di entrata in vigore della supervisione centralizzata, dall’altro laro, anche se l’inserimento nell’elenco BCE era evidente per le banche più grandi, fino ad allora si poteva avere ancora qualche incertezza sull’inserimento di alcune banche europee medio-grandi banche dell’Eurozona.
Mentre si deve dare il benvenuto alla decisione della zona euro di passare all’Unione Bancaria e al meccanismo unico di vigilanza (Single Supervisory Mechanism; SSM) inquanto ciò contribuirà a colmare un vuoto, come talora accade, non sempre le buone azioni con buoni propositi sono immediatamente ben accolte dai mercati. In effetti, il 23 ottobre è stata una brutta giornata per i titoli bancari in tutta la zona euro: il settore Eurostoxx bancario ha perso il 2,8%. Questo non è stato certo un segno di apprezzamento per i contenuti della dichiarazione BCE. Tuttavia, come al solito, la correlazione non implica causalità e associare la caduta delle azioni bancarie in tutta la zona euro alla mossa della BCE potrebbe essere del tutto ingiustificato. Quindi, abbiamo bisogno di qualcosa in più che osservare tale coincidenza per dedurre un legame di fondo tra i due fenomeni.
Per farsi un’idea al riguardo, è utile guardare ai dati relativi alle quotazioni delle banche lungo due dimensioni. In primo luogo, si poteva ritenere che le banche dei paesi in crisi (vale a dire i GIPSI, Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia, ove l’ordine riflette grossolanamente la sequenza di coinvolgimento nella crisi dei debiti sovrani europei) avrebbero beneficiato più delle altre banche dall’accedere allo SSM, a causa del supporto implicito che ciò potrebbe implicare. Di conseguenza, la prima cosa da esaminare è se le banche GIPSI abbiano avuto una performance migliore delle banche SSM degli altri paesi Euro (non in crisi). In secondo luogo, è possibile che i mercati percepiscano ora le banche accentrate nello SSM in modo diverso rispetto alle altre banche, le quali rimarranno nella piena responsabilità delle autorità di vigilanza nazionali. Perciò, a seconda che lo SSM risulti essere più duro o più indulgente rispetto alle autorità nazionali, il prezzo delle azioni potrebbe reagire in modo diverso per le banche centralizzate rispetto a quelle decentrate. Pertanto, la seconda questione da esaminare consiste nell’accertare se le quotazioni bancarie abbiano reagito all’annuncio della lista BCE in modo differenziato tra banche incluse e banche escluse dalla lista delle accentrate.
Ebbene, sul primo aspetto (le banche dei paesi in crisi, cioè dei GIPSI, hanno beneficiato più delle altre dall’annuncio?) si trova una risposta negativa. Infatti, il 23 ottobre, in contemporanea con l’annuncio BCE, le banche accentrate dei GIPSI hanno subito una perdita media delle proprie quotazioni, rispetto ai valori di chiusura del 22, del -3,8%, contro il -1,2% delle banche accentrate dei paesi non in crisi. E, facendo sempre base sulla chiusura del 22, il divario tra i due gruppi di banche si è mantenuto anche alla chiusura del giorno successivo (il 24), quando le banche accentrate GIPSI accusavano ancora un calo di -2,8% contro -0,1% delle altre, e a distanza di un’altra settimana (il 31 ottobre), quando le prime registravano ancora un calo del -3,4% e le seconde solo del -0,5%.
Per quanto riguarda la seconda domanda, si osserva che – nella maggior parte dei paesi dell’area dell’euro, nonché confrontando l’intero gruppo delle banche accentrate nello SSM con un folto gruppo di controllo di banche non accentrate – le banche SSM sono state superate dalle altre banche. Sempre basandosi sulla chiusura del 22 ottobre, a fronte del -3,8%, -2,8% e -3,4% – rispettivamente alle chiusure del 23, del 24 e del 31 ottobre – delle banche accentrate dei GIPSI, le banche non accentrate dei GIPSI segnavano -2,3, -1,9 e -1,0%. Contemporaneamente, però, anche le banche accentrate dei paesi non in crisi registravano una performance peggiore rispetto alle omologhe banche non accentrate dai rispettivi paesi: -1,2, -0,1 e -0,5% per le accentrate contro variazioni positive di 0,4, 0,5 e 1,8% per le banche non accentrate.
Questo sembra suggerire che i mercati si aspettano che la BCE sarà più dura delle autorità di vigilanza nazionali. Ciò solleva però una questione essenziale. Con il famoso intervento di Mario Draghi alla City di Londra “we will do whatever it takes to save the euro. And believe me i twill be enough!”, la BCE si mostrò all’altezza della situazione per evitare che i paesi in crisi sovrana subissero tassi di interesse eccessivamente elevati in ragione del timore di disfacimento dell’euro. Oggi la stessa BCE si sta prendendo in carico la vigilanza sulle banche con l’obiettivo precipuo di assicurare la stabilità bancaria interrompendo il cortocircuito perverso tra debiti sovrani e sistemi bancari nazionali. Tuttavia, saprà la BCE tener conto che una parte non irrilevante delle difficoltà di molte banche, specie per quelle dei GIPSI, non derivano da mala gestione bensì dalle conseguenze della profonda depressione economica vissuta dalle loro economie nazionali? Se ciò non accadesse, si rischierebbe di pagare un prezzo salato per il recupero della stabilità bancaria in Europa, con un possibile danno permanente al buon funzionamento del mercato del credito, specie nei paesi euro-deboli.