È il trentaduesimo minuto. La Fiorentina perde due a zero. L’allenatore decide di scuotere la squadra e richiama in panchina un fantasma scolorito vestito di viola. Sulla sua maglia c’è scritto Ljajic, più giù il numero 22. Ljajic esce dal campo e fa un gesto con la mano all’allenatore, più qualche parolina di troppo, e si siede in panchina. Ed è così che la carcassa sanguinante di un uomo, un professionista di 60 anni, che perde la brocca, diventa una preda preziosa, un piatto da gourmet, ma prodotto e consumato con tempi da fast food, da piazzare sul tavolo del calcio italiano, sopra la tovaglia di plastica a quadrettoni stinti.
La bocca dello spettatore si apre e si chiude a ciclo continuo, vorace, in un movimento che è la metafora passionale della fame. Il piatto è succulento, prelibato. Negli studi ultramoderni di Sky, bianchi e illuminati che fa tanto America immaginata, una gongolante Ilaria D’amico censura e depreca, accompagnata da un coro di voci bianche, il virginale Costacurta su tutti, in cui l’unica variazione consentita e quella sul grado dell’indignazione, tra il tono del “è un gesto deplorevole” e quello di “è un gesto vergognoso”.
Intanto, in primo piano oppure sullo sfondo, passano le immagini del Delio furioso che si getta contro il ragazzetto insolente seduto in panchina, trattenuto a stento dai suoi collaboratori, con la scusa di chiedere a tutti gli allenatori della serie A, prima ancora di un parere sulla propria partita, che cosa ne pensano.
L’altro ieri i tifosi che chiedono ai loro giocatori di togliersi la maglia, a Genova, ieri la rissa finale di Udinese-Lazio dopo il fischio fantasma, e oggi il Delio furioso. Sbatti il mostro in prima pagina e, se puoi, tiragli le pietre. Puliamoci la coscienza con un po’ d’indignazione in scatola e avanti il prossimo. Bravi tutti.
Senonchè, stavolta, invece della condanna generalizzata, dal web si alzano voci discordanti, che allargano a dismisura la distanza tra la vulgata ufficiosa e quella ufficiale, tra la vox populi e la vox dei.
La rete, infatti, per la maggior parte, sta con Delio Rossi. Forse è il fastidio diffuso verso bambocci strapagati (ma anche Rossi, se è per questo, è strapagato) e viziati, vestiti, prima e più ancora che della loro maglia, solo del loro ego ipertrofico, e incapaci di assumersi le proprie responsabilità e di comportarsi da uomini.
E poi, più ancora, c’è il fastidio per l’ipocrisia diffusa, per i moralisti e i forcaioli che invocano squalifiche esemplari e indicano la croce in fondo alla sala mensa, a futura memoria. Il fastidio per il fondo melmoso d’omertà che giace sempre sul fondo di queste storie italiane, uno stanco teatrino che vive della sua coazione a ripetersi e in cui le cose, le cose brutte, possono succedere, ma non si devono sapere.
Nel chiuso degli spogliatoi di una squadra di calcio succede questo ed altro, succede anche di peggio, e un polverone del genere non si era mai alzato, perché in fondo, giusto per rifarsi a qualche precedente famoso, il cerotto sul sopracciglio, sotto ai lunghi capelli biondi, dovuto allo scarpino ricevuto in fronte dal baronetto Ferguson, a Beckham donava, oppure perché l’attaccante dello Swindon Town con cui Di canio ha fatto a botte era un metro e novanta di omone nero, mentre Lijaic, povero, lui ha solo vent’anni (anche se gira voce si sia già maggiorenni, a quel punto) e stava seduto in panchina. Ogni settimana si legge su qualche giornale di compagni di squadra che si picchiano in allenamento, ma le botte in diretta tv sono più botte delle altre. È sempre la forma che offende, in Italia, e mai la sostanza.
Dello stesso moralismo, poi, sono permeate le voci poco credibili che corrono sul web e che sostengono che Lijajc avrebbe insultato un fantomatico figlio handicappato di Rossi, e che cercano di giustificare il Delio furioso riconducendo il suo gesto ad una ragione superiore e fortissima, l’insulto insopportabile ad un familiare malato.
E poi c’è l’altra parte del discorso, quella in cui il cazzotto di Delio Rossi, o Delio Rissa, come si legge in giro, parla a molti di noi, a tutti quelli che sono stati umiliati sul posto di lavoro e hanno dovuto ingoiare. In quel cazzotto caricato a lungo e non davvero sfogato c’è tutta la rabbia dei mobbizzati e offesi e dei caduti del lavoro che cadono tutti i giorni della loro vita. E non sono pochi, in giorni in cui i dipendenti dell’Apple store di Porta di Roma, il giorno dell’inaugurazione, devono ballare davanti ai loro clienti come fossero gli avventori ubriachi di un saloon del vecchio West.
Dicono che quando Delio Rossi rivedrà le immagini di ciò che ha fatto se ne vergognerà. Non ne sono sicuro, secondo me non dovrebbe, perche il suo sbaglio (perchè di sbaglio si tratta) è l’umanissimo errore di un uomo. Terrei forche e croci da parte per giorni migliori. Le marionette della morale ci saranno ancora, è sicuro, e come sempre basterà tirare un filo per fargli puntare il dito.