E così ci siamo di nuovo: l’ennesimo attacco chimico, vero o presunto che sia, ha permesso di rinsaldare l’asse anglosassone, tra Uk e Usa, come se non bastasse già la Brexit a rinforzarlo. La premier Teresa May tira un sospiro di sollievo dai problemi politici interni e dallo stallo della Brexit, così come Trump Usa spostano l’attenzione dell’elettorato in un momento in cui scandali e consensi sotto esame guadagnano le prime pagine. Anche per Macron, che si unisce alla reazione militare annunciata venerdì notte sugli obiettivi siriani, distrarre l’attenzione dai problemi interni giunge a proposito. Ed anche i sauditi approfittano del balzo del petrolio, atteso a 80 dollari Usa a breve, e del concentrarsi dell’attenzione sul teatro di guerra siriano per “far trapelare” i dati “addomesticati” di Saudi Aramco e rilanciare un’Opa che pareva posticipata a data da destinarsi.
Questo secondo trimestre parte dalla trincea di una guerra senza fine, iniziata sette anni fa e trasformatasi in un risiko geopolitico che pone molte incertezze ai mercati finanziari, che a questo punto si interrogano sull’esito dell’andamento della crescita globale. E se l’inflazione non rappresenta un problema, ed è vista complessivamente sotto controllo, è indubbio che la globalizzazione stia facendo, ormai da tempo, enormi passi indietro, incidendo sui profitti delle grandi corporates e costringendo quindi l’amministrazione americana a giocare la carta delle guerre commerciali. Con il rilascio delle trimestrali societarie questo secondo trimestre potrebbe riprendere il cammino abbandonato recuperando sulle performance dei corsi azionari, oppure potrebbe subire un ulteriore arretramento valutato al 5%.
Basta leggere con attenzione il rapporto del dipartimento del Tesoro americano pubblicato il 13 aprile, “Macroeconomic and a Foreign Exchange Policies of Major trading Partners of the USA”: è concentrato sui maggiori partner commerciali degli Stati Uniti per calare nella realtà dell’analisi presentata la strategia del presidente Trump. Il commercio bilaterale ed i relativi deficit commerciali nei confronti di Cina, Giappone Germania e Messico sono quelli che creano le maggiori preoccupazioni, e che vengono analizzati inserendo anche l’India per fare un’attenta valutazione sugli effetti valutari di queste relazioni commerciali, perché è sulla dinamica dollaro Usa/surplus eccessivi che si è concentrata l’azione di Donald Trump “via tweet” e non solo.
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E mentre i russi annunciano che gran parte dei missili son stati intercettati, 71 su 103, e insistono che non hanno avvelenato l’agente segreto Skripal in Gran Bretagna e non hanno usato armi chimiche in Siria, Putin e i suoi subiscono il piano di sanzioni crescenti che colpiscono le attività degli oligarchi russi ed hanno gettato nel panico il mercato dell’alluminio ed il rublo. I cinesi si tengono invece lontani dal conflitto siriano, avendo già il loro bel daffare a contenere il leader nordcoreano, e rinunciano alla svalutazione competitiva nei confronti del dollaro USA. Un dollaro che resta ostaggio del conflitto nella fascia tra 1,21-1,25 contro euro senza spunti operativi particolari ma sotto stretto monitoraggio della Fed. La seconda settimana di aprile si chiude con l’alluminio che rimbalza di quasi il 15% mentre la principale corporate del settore russo Rusal, dell’oligarca russo Deripaska, recupera un 5% del prezzo che era calato del 60% all’annuncio delle nuove sanzioni.
A loro volta le agenzie di rating intervengono ritirando il rating di Rusal, dopo che a metà settimana il chairman di Rio Tinto ha congelato le forniture verso Rusal, ed il CEO di Glencore era uscito dal cda di Rusal. E il rublo russo ha recuperato circa un terzo della perdita subita del 15%, portandosi a livelli di acquisto interessanti ma troppo condizionati dagli effetti delle prossime sanzioni che si attiveranno dal mese di maggio. Anche il real brasiliano recupera in chiusura di settimana ma senza troppa convinzione, mentre la lira turca non ci prova neanche. In questo crescendo di volatilità per gli asset azionari e valutari solo gli investimenti SRI contengono le perdite e non perdono terreno, segno forse che se c’è una speranza che questo protagonismo bellico faccia un passo indietro prima che sia troppo tardi e che l’Iran scenda in campo.