Il 2018 avrebbe dovuto caratterizzarsi per un’economia mondiale relativamente vivace, che avrebbe fatto da sfondo al processo di normalizzazione delle politiche monetarie. Lo scenario nel quale operano le banche centrali è divenuto però in pochi mesi molto più incerto: lo sostiene un report di Ref, centro di ricerche economiche e finanziarie milanese.
Di per sé l’uscita dal Quantitative easing è un processo complesso, e ad esso può essere in parte ricondotta l’instabilità dei mercati finanziari a inizio anno. Le borse hanno smesso di crescere e, come se non bastasse, la volatilità è aumentata.
I Governi stanno contribuendo non poco a rendere più complessa la situazione. Soprattutto negli Stati Uniti, si è partiti con la decisione di adottare una politica di bilancio espansiva in una fase avanzata del ciclo, con il rischio di sollecitare ulteriormente i tassi d’interesse; si sono poi aperte le ostilità sul fronte delle politiche commerciali e, infine, si è minacciata una escalation militare in Siria.
Gli indicatori congiunturali iniziano a mostrare qualche segnale di arretramento. Per ora si tratta solo di segnali di decelerazione, ma condivisi dalla maggior parte dei paesi.
Non è immediato scorgere una risposta nelle politiche europee, a maggior ragione in quelle italiane, per ora ancora bloccate nella fase di stallo post-elettorale. Questo non è un problema nel breve, sino a quando la congiuntura internazionale si mantiene comunque su un sentiero favorevole, ma potrebbe esserlo soprattutto se si vorrà riaprire il dialogo con le autorità europee, cercando di attenuare la stretta fiscale implicita per
il 2019 sulla base degli obiettivi indicati dal Governo italiano.
D’altra parte, la definizione della linea di politica economica del prossimo governo non sarà agevole. La distanza fra gli annunci della campagna elettorale e le politiche che verranno attuate sarà necessariamente molto ampia. Facile prevedere che il quadro politico interno si manterrà molto instabile.