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I giovani bocciano l’Italia: voti (molto) bassi a politiche pubbliche, meritocrazia e qualità della vita. Ecco cosa si salva

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Perché un così grande numero di giovani italiani, ben 550mila in tredici anni (il triplo secondo le nostre stime), emigra verso altri Paesi avanzati? In quale ambito l’Italia mostra le maggiori carenze che inducono a partire? Sono domande cruciali perché sulla base delle risposte si può disegnare la strategia per aumentare la capacità del sistema economico-sociale italiano di trattenerli e anzi incentivare il rientro di quelli che sono usciti, tenuto conto che oltre la metà di loro nel prossimo futuro si vede “ovunque mi porteranno le migliori opportunità”.

Di seguito, i dettagli contenuti nelle “Note n. 2/2025 dalla Fondazione NordEst“.

I giovani bocciano l’Italia: ecco perché

Dunque, sta al sistema-Italia creare tali opportunità. Inoltre, quella stessa strategia può incoraggiare giovani cittadini delle nazioni che sono le principali destinazioni della nuova emigrazione italiana a venire a vivere e lavorare nel Bel Paese. La Fondazione Nord Est ha cercato e trovato le risposte a quelle domande direttamente tra i giovani stessi, attraverso due indagini demoscopiche distinte; infatti, i questionari sono stati sottoposti sia a chi è espatriato sia a chi è residente nel Nord Italia.

Una parte dei questionari è dedicata all’attrattività, con l’elencazione di numerosi fattori e ai giovani expat è stato chiesto di indicare per ciascun fattore se inducesse a rimanere all’estero o a tornare in Italia e ai giovani residenti nelle regioni settentrionali ad andarsene o a rimanere nella propria regione.

I fattori sono stati poi raggruppati in quattro ambiti, o sfere, omogenei: le politiche pubbliche, che dipendono dalle decisioni dei governi locali e nazionale; la cultura, intesa sia in senso stretto (offerta artistica) sia come atteggiamento mentale e consuetudini; la cultura imprenditoriale, da cui dipendono l’organizzazione aziendale e la valorizzazione dei giovani; il lavoro, che abbraccia tutte le condizioni, e non solo la retribuzione.

Pur con differenze quantitative, dalle risposte emerge una notevole convergenza tra gli expat e chi è rimasto di opinioni negative sull’Italia. Convergenza che dovrebbe far riflettere la classe dirigente italiana e mettere a tacere chi ritiene poco significative le risposte degli espatriati perché “distorte” dalla loro scelta, mentre tanti sarebbero tornati delusi dall’estero. Contrariamente a tale opinione, dalle indagini emerge che chi è in Italia, compresi quindi i rientrati, la pensa sostanzialmente come quelli che sono andati via.

I giovani bocciano l’Italia: a cosa danno la sufficienza?

Nelle politiche pubbliche i giovani bocciano l’Italia, con voti particolarmente bassi nelle “politiche per i giovani”, nelle “politiche per il lavoro” e nelle “politiche per le famiglie”, le cui assenza o inefficacia sono tra le ragioni della glaciazione demografica e della massiccia emigrazione dei giovani stessi.

Infatti, la quasi totalità degli expat che hanno risposto (oltre nove su dieci) dichiara le politiche per i giovani come motivazione per restare nei Paesi di attuale residenza. Risultati altrettanto deludenti per il Bel Paese provengono dalle opinioni circa le politiche per il lavoro, i servizi di welfare e le infrastrutture digitali. Queste ultime sono essenziali per lo sviluppo di attività innovative altamente ricercate dai giovani ed essenziali per la crescita economica; non sono giudicate altrettanto negativamente dai giovani rimasti in Italia, che evidentemente non hanno potuto apprezzare l’efficienza di quelle esistenti negli altri Paesi avanzati.

Coloro che hanno (per ora) scelto di rimanere valutano positivamente solo il sistema universitario e quello sanitario, che sono giudicati un po’ meno negativamente anche dagli expat. Su tutte le altre voci il parere dei giovani residenti nelle regioni settentrionali risulta nettamente negativo e decisamente in linea con le opinioni degli expat. Promossa per l’offerta culturale, ma respinta in meritocrazia. All’interno dell’ambito culturale l’Italia ottiene il miglior voto tra tutti i fattori di attrazione: l’arte e l’offerta culturale ottengono un punteggio elevato sia dagli expat sia dai residenti, anche se non così alto quanto la gran quantità di monumenti e opere disseminati lungo lo Stivale potrebbe far pensare; infatti, è probabile che altri Paesi curino meglio la fruizione e stimolino maggiormente la curiosità.

La bocciatura torna sonora negli altri fattori culturali: dalla meritocrazia all’apertura internazionale e, perfino, alla qualità della vita. Infatti, solo un terzo degli expat la ritiene superiore in Italia e due terzi la giudica inferiore, così il saldo è -37,9; è evidente che non si riferiscono a cibo e dolce vita, ma alla facilità di vivere; per esempio, grazie a sistemi di trasporto e amministrazioni più vicini ai bisogni dei cittadini. Tanto che nemmeno i giovani rimasti ne danno una buona valutazione.

Un dato particolarmente rilevante, assolutamente in linea con le motivazioni di espatrio, è l’opinione sulla meritocrazia. Un saldo così netto (oltre nove expat su dieci e quasi tre giovani residenti su quattro) mette all’indice la fortissima inerzia dell’Italia nel modificare il proprio approccio alla valorizzazione del merito e dei giovani, favorendo invece criteri di anzianità, clientelismi e relazioni amicali e familiari. Chi conosci conta più di ciò che conosci. Giudizi molto severi sul sistema imprenditoriale: poco internazionale e scarsamente innovativo, incapace di valorizzare i giovani.

Riguardo alle imprese e all’ambito lavorativo i giovani intervistati esprimono giudizi molto severi sull’Italia, anche se con differenze di punteggio tra gli expat e i residenti: più duri i primi, sebbene nemmeno i secondi indichino in tale sfera un solo fattore di attrattività favorevole a restare. L’intero mondo imprenditoriale è qui sotto accusa: la quasi totalità degli espatriati (circa nove su dieci), nonché la netta maggioranza dei giovani residenti (circa due terzi), considera la cultura imprenditoriale e l’attenzione alle esigenze dei propri collaboratori come solide motivazioni per andarsene. Anche l’apertura internazionale delle imprese risulta carente: un dato che stride con la virtù esportativa delle nostre imprese. In effetti, le imprese presenti sui mercati internazionali sono una minoranza del totale, anche nel settore manifatturiero, e la severità dei giudizi non esclude l’esistenza di aziende che hanno politiche verso l’estero in linea con quanto si può trovare in altri Paesi avanzati; ma non fanno massa critica, anche se costituiscono buoni esempi da emulare.

Giovani, nel lavoro spiccano i bassi salari

In ambito lavorativo, le voci più negative per l’Italia riguardano i salari, le occasioni di lavoro in settori innovativi e le prospettive di crescita professionale. Il parere dei giovani rispetto a questi fattori è univoco: oltre nove expat su dieci li indicano come motivo per restare all’estero e circa due terzi dei giovani tuttora residenti nel Nord Italia come spinta ad andare via. Le basse retribuzioni, però, non vengono bocciate in sé ma piuttosto perché inadeguate sia rispetto al valore del lavoro svolto sia al costo della vita; nel primo caso rifà capolino la mancanza di meritocrazia.

La parola chiave, tuttavia, è “opportunità”: opportunità di crescita professionale in primis, volendo i giovani mettere a frutto quanto appreso negli studi, e poi opportunità economica e di apprendimento. Grazie ad una diversa cultura imprenditoriale, a realtà mediamente più grandi e orientate all’innovazione e alla conoscenza, molti Paesi esteri stanno beneficiando del flusso unidirezionale – per loro gratuito – di capitale umano dall’Italia, in particolare dalle sue regioni più ricche. Opportunità di crescere e di essere valorizzati è ciò che chiedono i giovani, i lavoratori di oggi e domani, in uscita già da diversi anni. Migliori opportunità potrebbero compensare, almeno in parte, le peggiori retribuzioni.

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