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I falchi della Buba frenano Draghi e i mercati crollano

I tedeschi impongono al presidente della Bce la politica dei due tempi (acquisto di bond sì ma solo dopo la richiesta di aiuti dei singoli Paesi in difficoltà al fondo salva-Stati) e fanno crollare i mercati – Se lo spread fuori linea è un problema europeo perchè la risposta deve avvenire su impulso dei singoli Stati? – Ancora una volta l’Europa deluce

I falchi della Buba frenano Draghi e i mercati crollano

Delusione, sconcerto ed una maggiore dose di incertezza: le decisioni del Consiglio direttivo della Bce, illustrate da Mario Draghi, hanno dimostrato ancora una volta che la governance complessiva dell’Europa e dell’Eurozona non è in grado di adottare decisioni chiare d nei tempi ristretti che la critica situazione dei mercati richiederebbe. Da subito i giornalisti che hanno partecipato alla conferenza stampa del presidente della Bce hanno manifestato sconcerto per l’annuncio che erano state approvate solo delle linee guida sui possibili interventi della banca Centrale, ed ancora di più sul fatto che questi interventi sarebbero scattati solo dopo richiesta da parte dei singoli Stati al fondo europeo salva Stati. I mercati che inizialmente avevano capito che la Bce, in via autonoma e da subito, avrebbe attivato gli acquisti di titoli del debito pubblico,e quindi avevano reagito schizzando verso l’alto e portando verso il basso gli spread,appena si sono resi conto della portata ancora interlocutoria delle decisioni della Bce, hanno virato al ribasso tanto che la Borsa di Milano ha perso oltre il 4% e lo spread è risalito sopra i 500 pb.

Cosa è successo? I tedeschi, che pure hanno mantenuto le loro riserve sugli acquisti di titoli governativi da parte della Bce, hanno in pratica smorzato i toni assai più battaglieri utilizzati da Draghi nel suo intervento della settimana scorsa a Londra, ed hanno imbrigliato l’operatività della Bce sotto due aspetti: quello più tecnico che rinvia alle commissioni apposite della banca la responsabilità di stabilire quali interventi fare in concreto, e la seconda quella di subordinare comunque questi interventi ad una apposita richiesta degli stati stessi al Fondo salva Stati che avrà il compito di valutare i progressi fatti dai singoli Paesi sia in tema di risanamento dei conti pubblici sia in tema di riforme atte ad aumentare la competitività complessiva del Paese. Solo quando il Fondo avrà deciso di intervenire, e dopo aver posto condizioni stringenti ai singoli Stati sulle politiche da seguire, allora anche la Bce farà la propria parte per assicurare un miglior funzionamento dei mercati finanziari e la loro capacità di trasmettere correttamente le politiche monetarie.

L’idea originaria approvata (almeno così sembrava) dal vertice europeo di fine giugno, era diversa. Si partiva dalla considerazione che i mercati non stavano recependo con tempestività gli sforzi di risanamento che alcuni paesi europei stavano mettendo in atto e che questo ostacolava una corretta trasmissione della politica monetaria, impediva una ripresa economica e vanificava i sacrifici che si stavano facendo. Di conseguenza, la Bce, sulla base di autonome valutazioni e costatando che i vari Paesi in crisi stavano seguendo le indicazioni europee, poteva decidere di intervenire per eliminare le punte anomale degli spread e consentire ai Paesi più deboli di accelerare la loro marcia verso l’uscita dal tunnel. Del resto lo stesso Draghi nella sua dichiarazione iniziale oggi, aveva detto che le tensioni sui mercati sono in parte dovute alla sfiducia degli operatori sulla irreversibilità della moneta unica e non dipendono dalle carenze dei singoli Paesi, e che occorreva operare per far svanire queste paure. E questo avrebbe dovuto essere il compito della stessa banca centrale, senza con ciò sostituirsi a quello che deve fare la politica e cioè il mantenimento del rigore fiscale e le riforme di struttura.

Invece le pressioni dei cosiddetti Paesi virtuosi hanno nuovamente rovesciato questa logica. Gli Stati devono continuare a fare da soli o a chiedere ufficialmente l’intervento dei fondi salva Stati e solo dopo la Bce potrà intervenire per migliorare la funzionalità dei mercati. Insomma un nuovo episodio del braccio di ferro che contrappone i vari paesi dell’Europa dove si intrecciano convenienze politiche divergenti, impuntature dottrinarie davvero anacronistiche in una situazione di così grave emergenza, carenze di governance dell’Europa che non fanno altro che confermare negli operatori dei mercati la già diffusa sfiducia nei confronti del futuro dell’Euro.

E’ sicuro che la politica monetaria non può e non deve sostituirsi alle lacune dei Governi. Draghi ha insistito molto su questo concetto, confermando anche che compito della Bce è quello di vigilare sulla stabilità della moneta combattento l’inflazione, dando con ciò soddisfazione al dogma dei tedeschi che più di tutto temono che il lassismo monetario possa allentare la tensione dei paesi deboli verso il risanamento finanziario e le riforme per lo sviluppo. Tuttavia la politica monetaria non deve stare dietro alle paure (spesso irrazionali) dei mercati, ma può e deve agire per contrastarle e per evitare che l’anomalo livello dei tassi d’interesse,vanifichi qualsiasi sforzo di rinanamento approfondendo concora di più il solco che separa i vari paesi dell’Europa.

Mario Monti, intervenendo da Madrid ha preso la parte buona dell’intervento di Draghi e cioè quella iniziale, là dove si riconosceva che per certi Paesi il livello dello spread è il loro problema principale, ed ha voluto sottolineare che progressi sono stati fatti negli ultimi giorni nella comprensione reciproca tra i vari capi dei governi. Tuttavia i progressi verso il superamento almeno della fase più acuta dell’emergenza sono molto lenti. Speriamo non siano troppo lenti.

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