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I dazi di Trump possono aiutare la Cina: il caso della Colombia e del Sudamerica

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“Il presidente degli Stati Uniti ha ottenuto quello che voleva con la Colombia. Ma le sue strategie rischiano di allontanare gli alleati e aiutare la Cina”. A scriverlo è il sito Politico, che analizzando il primo grande scontro diplomatico della nuova era Trump, quello con la Colombia sul rimpatrio di migranti e le conseguenti minacce di dazi, ha fatto notare che la versione 2.0 del tycoon, più aggressiva della prima, può sembrare vincente nell’immediato ma corre il rischio di ritorcersi contro di lui, favorendo il rivale cinese. Dopo la Colombia, la Casa Bianca ha puntato i vicini Messico e Canada, ai quali è stato concesso tempo prima di applicare le nuove tariffe (sempre dietro ricatto sulle politiche migratorie), mentre si annuncia un intenso braccio di ferro con l’Unione europea, sempre più divisa e orfana della leadership franco-tedesca. Ma è proprio quello dell’America Latina il caso più attuale e significativo, dato che l’accordo Ue-Mercosur fatica a decollare e che Pechino ha ormai da tempo allungato i tentacoli sul continente che un tempo era sotto l’esclusiva influenza degli Stati Uniti. E che Trump potrebbe consegnare definitivamente tra le braccia del “nemico”.

Come l’America Latina ha voltato le spalle agli Usa e si è avvicinata alla Cina

Nel 2000, ogni singolo Paese dell’America Latina, dal Messico in giù, aveva nella potenza a stelle e strisce il primo e indiscusso partner commerciale. Nel 2024, oltre al Centroamerica, sono rimasti fedeli agli States solo Ecuador, Guyana e appunto Colombia, che peraltro è l’unico Paese dell’area insieme a Brasile e Paraguay a non aver ancora aderito alla Belt and Road Initiative, la cosiddetta nuova Via della Seta e cioè l’accordo di partnership strategica con la Cina. L’Ecuador invece lo ha firmato, mentre Brasile e Paraguay non ne hanno bisogno, visto che soprattutto il Paese lusofono è saldamente il primo sodale commerciale del Dragone, a cui destina le numerose materie prime agroalimentari di cui è maggior produttore mondiale (caffè, soia, zucchero, carne bovina, etc) in cambio di prodotti finiti e investimenti in infrastrutture. Dieci anni fa, i Paesi nel mondo che facevano parte della Belt and Road Initiative erano una cinquantina scarsa, oggi invece sono circa 150 (se si contano anche Stati non riconosciuti come la Palestina), di cui 22 dell’area America Latina e Caraibi, 8 del G20 e ben 17 dell’Unione europea, per lo più dell’Europa dell’Est e il Portogallo. Qualche anno fa aveva aderito pure l’Italia salvo poi uscire, mentre hanno detto sì pure alleato storici degli Usa come Panama e Nuova Zelanda, oltre che l’intera Africa e il Medio Oriente.

Brics all’attacco: la Cina sfida gli Usa in Sudamerica

In questo scenario, qualsiasi mossa sbagliata dell’asse euro-atlantico, quindi di Donald Trump, può ulteriormente spostare gli equilibri geopolitici verso Oriente: lo testimoniano anche la crescita e le ambizioni dei Brics, che da ex gruppo di cinque Paesi emergenti è ora diventato un club allargato e alternativo all’Occidente, che rappresenta il 40% del Pil globale e al quale già aderiscono Paesi come Iran e Arabia Saudita, mentre stanno per entrare Cuba, Turchia e Indonesia (che nel 2045 diventerà la quarta economia del mondo, dietro a Usa Cina e India). I Brics stanno persino per adottare una moneta comune per smarcarsi dalla dipendenza dal dollaro, e anche per questo il presidente americano ha annunciato ritorsioni. “Il risultato – ha commentato su Politico l’ex ambasciatore cileno in Cina Jorge Heine – è che la Cina ha prospettive di legami sempre più forti con il Sudamerica”. “Mentre le tensioni tra Washington e Bogotà ribollivano – ha scritto ancora Politico -, l’ambasciatore cinese in Colombia ha scritto su X che le relazioni bilaterali tra i due Paesi sono nel loro miglior momento in 45 anni”. L’intesa ha registrato un’accelerazione da quando il presidente è il socialista Gustavo Petro, eletto nel 2022, col risultato che gli Stati Uniti rimangono per ora di gran lunga la prima destinazione per l’export colombiano, per 18 miliardi di dollari di valore, ma adesso la Cina è la seconda con 2,5 miliardi, e il valore complessivo degli scambi tra i due Paesi supera i 20 miliardi di dollari.

Colombia: la Cina prende il controllo di energia e telecomunicazioni 

Pechino, come già si vede nel resto dell’America Latina (in Perù ha persino costruito un porto di sana pianta), non è un partner qualsiasi, bensì strategico. In particolare, in Colombia la Cina sta diventando una fonte sempre più diffusa di finanziamenti nei settori dell’energia, dell’estrazione mineraria, delle infrastrutture e delle telecomunicazioni. Pechino infatti sta colmando le lacune del sistema economico locale investendo in asset di interesse pubblico, soprattutto la rete tlc che in Colombia lascia scoperta buona parte del territorio. Ecco dunque che hanno trovato spazio aziende come Huawei e ZTE, anche sul 5G, e la Cina è ora il più grande fornitore di tecnologia nel Paese, con circa il 35% della quota di mercato secondo i dati di settembre 2023. Durante la visita di Petro in Cina lo scorso ottobre, quando era nell’aria la vittoria di Donald Trump, sono stati firmati nuovi accordi sullo scambio di scienza e tecnologia. Ma il gigante asiatico spazia su tanti fronti: l’acqua potabile è carente nella maggior parte della Colombia, in particolare nelle aree costiere e remote, e Pechino sta mettendo una pezza aiutando pure Bogotà a dotarsi di infrastrutture portuali degne del suo potenziale commerciale, oltre che di grandi opere come la tanto attesa metropolitana della capitale, la rete ferroviaria transamazzonica e il progetto autostradale Mar 2 ad Antiochia.

La Cina conquista il settore finanziario e minerario in Colombia

E ancora: la Cina, che sta pure conquistando il panorama finanziario con l’apertura di filiali bancarie e l’aumento delle riserve in yuan a disposizione dell’alleato, ha acquistato importanti progetti minerari ed energetici in tutto il Paese. La maggior parte di essi apparteneva a società locali e occidentali, come la Continental Gold di Buriticá, che Zijin Mining ha acquistato per 900 milioni di dollari nel 2019, o le numerose petrolifere canadesi rilevate per miliardi di dollari e sulle quali sono stati avviati progetti di combustibili fossili con la colombiana Ecopetrol. Il tutto con la prospettiva di una adesione formale alla Belt and Road Initiative e di un’influenza ancora maggiore, con buona pace di Trump e dell’Occidente. “Ciò che Trump ha fatto con la Colombia – ha detto a Politico Inu Manuk, esperta del Council on Foreign Relations – è un ottimo esempio di come gli Stati Uniti perderanno ulteriormente terreno in America Latina. Perché è un ottimo modo per la Cina per dire: ‘Ehi, vuoi finanziamenti? Ti aiuteremo noi, dato che non puoi fidarti degli Stati Uniti’.” Perdere la corsia preferenziale verso l’America Latina non è un fatto indolore: vi si estraggono quantità importanti di commodities alimentari e soprattutto la stragrande maggioranza dei minerali e delle materie prime “critiche” necessarie alla transizione energetica.

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