Il valore del risparmio nazionale cinese ha raggiunto la metà del Prodotto interno lordo. Nessun altro Paese al mondo mette da parte una ricchezza così vasta, e non è solo merito della filosofia di Confucio. Negli ultimi dieci anni, la crescita del risparmio ha superato sistematicamente quella degli investimenti – che già rappresentano una quota elevata in rapporto al Pil se paragonata al resto del mondo. Questo ha portato ad avanzi eccessivi nelle partite correnti della bilancia dei pagamenti e a una pressione sullo yuan che Washington non si fa mai mancare l’occasione di notare.
Sul fervente dibattito sui global imbalances, si inserisce una recente analisi della Banca d’Italia. Lo studio parte da una rivisitazione del modello del ciclo di vitale, secondo il quale l’uomo (oeconomicus) risparmia denaro durante la sua vita lavorativa per poi consumare la ricchezza accumulata nella seconda fase in cui non percepisce più reddito da lavoro. Lo studio di Riccardo Cristadoro e Daniela Marconi, entrambi ricercatori presso l’istituto di Via Nazionale, mostra come l’analisi aggregata del risparmio non sia in grado di cogliere le importanti differenze tra province ricche e povere e tra famiglie urbane e rurali.
Il primo passo che compiono è una razionalizzazione del modello di ciclo vitale (sulla scia del paper di Modigliani e Cao del 2004): le giovani generazioni, nella loro fase di risparmio, sono molto più ricche delle generazioni più anziane, che invece consumano e basta. E ciò è già di per sé una causa all’aumento, più consistente negli ultimi anni, del tasso di risparmio aggregato.
Ma soprattutto i due studiosi si concentrano sulle differenze tra campagna e città. Analizzando i dati regionalmente, si accorgono che i fattori demografici, alla base della teoria del ciclo vitale, svolgono un ruolo marginale nelle scelte di risparmio delle famiglie. Secondo dati recenti, infatti, l’aumento nel risparmio privato si è verificato principalmente tra le famiglie urbane, mentre nelle zone rurali la situazione è rimasta pressoché invariata.
Questo si spiega in diversi modi. Innanzitutto vi è una differenza di salari tra zone urbane e rurali di oltre 3 a 1 – e questa forbice continuerà ad espandersi con l’aumento dell’urbanizzazione. Inoltre negli ultimi 30 anni la Cina è andata incontro a grandi riforme nei sistemi previdenziali a seguito dell’apertura all’economia di mercato. Se prima i lavoratori delle città erano per lo più impiegati in imprese statali ed era quindi Pechino ad assicurare il loro sostentamento nell’età avanza, oggi, circa il 60% dei lavoratori nelle zone urbane sono impiegati presso aziende private – e devono quindi fare affidamento sui loro stessi mezzi per assicurarsi una pensione. Inoltre questi lavoratori sono per lo più emigrati dalle campagne dove è consuetudine e tradizione che i figli si prendano cura dei genitori quando questi raggiungono un’età avanzata – e quindi mandano costantemente parte del loro reddito verso le zone rurali. Se si aggiungono i vincoli di liquidità a cui sono sottoposti data la riluttanza delle banche a concedere crediti, risulta evidente perché i lavoratori delle città risparmiano di più.
Secondo Cristadori e Marconi, in questi ultimi anni si è raggiunto un livello di risparmio aggregato eccessivo che va riequilibrato. Le politiche proposte prevedono di aumentare l’uniformità sul territorio della fornitura di servizi sociali e previdenziali, la regolarizzazione dei migranti e una riforma del sistema finanziario che favorisca l’accesso al credito da parte delle famiglie.
Allegati: Bankitalia – Households savings in China.pdf