Alla fine di luglio si è concluso il X vertice dei Brics: in questi Paesi (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) risiede oltre il 40% della popolazione del pianeta, che produce un quarto del Pil globale. Il trend positivo delle economie di questi cinque Stati, nonostante i diversi ritmi di sviluppo, testimonia il rinascimento dell’Asia, che sta trainando gli altri Paesi emergenti. Le guerre commerciali dichiarate da Trump stanno prefigurando, inoltre, un’America che pare non appartenere più agli americani, per prospettive ad oggi ancora insondabili. Questi e molti altri eventi geopolitici, sempre più interconnessi, potrebbero tracimare in un’onda anomala in grado di spazzare via il monopolio dell’Occidente, disegnando una nuova configurazione della governance globale.
Le trasformazioni strutturali della scena mondiale
Il nuovo millennio comincia in Oriente il 20 dicembre 1999 quando il ritorno di Macao alla Cina segna, dopo cinquecento anni di colonialismo, la fine definitiva del dominio occidentale e l’inizio di un grande risorgimento dell’Asia che diventa una casella fondamentale dello scacchiere planetario, non più a compartimenti resi quasi stagni da immense distanze e barriere fisiche praticamente insormontabili.
Nel nuovo mondo interconnesso vengono esplicitate le prospettive di sviluppo delle quattro potenze che, emergendo rispetto alle altre, oscillanti tra tigri asiatiche e tigri di carta (P. Krugman 1994), entrano nel lessico dei rapporti internazionali nel 2001, ad opera dell’economista della Goldman Sachs, Jim O’Neill, come Bric (Brasile, Russia, India, Cina), ai quali si aggiunge, nel 2010, il Sud Africa.
L’attentato alle Torri Gemelle sancisce tragicamente il cambiamento degli equilibri mondiali, il cui centro nevralgico, passato dall’Europa agli Stati Uniti, unici reduci del mondo bipolare, finisce nel magma indifferenziato chiamato mondo multipolare. Le dinamiche create dal terrorismo di matrice islamica, variamente interpretato, irrompono frenando le logiche di interdipendenza che franano sui confini sempre più trasformati in barriere.
Da un punto di vista economico i Paesi ad alto reddito, scossi alle fondamenta dalla crisi finanziaria del 2007 e dalla successiva grande recessione, ancora invischiati nelle sabbie mobili di una ripresa difficile, condita di disoccupazione e populismo, riescono a fatica a mantenere la gestione della cabina di regia mentre si delinea la crescente influenza delle economie emergenti, alla ricerca di nuovi spazi per esercitare il proprio peso da una posizione paritaria, rivendicando la capacità di formulare nuove regole da diverse prospettive.
Gli scenari futuri
I dati raccolti dal Fmi nel 2018 confermano i positivi trend di sviluppo dei cinque protagonisti del vertice dei Brics: l’India con un tasso di crescita del Pil reale del 7.4%, la Cina del 6.6% (dato che assicurerebbe entro il 2030 il sorpasso dell’economia americana), la Russia del 1.7%, il Brasile del 2.3% e il Sudafrica del 1.5%. La sempre più stretta sinergia tra le economie del gruppo si esplicita in un generale impegno per il sud globale, nell’ottica di uno sviluppo più sostenibile, fondato su una costante lotta al protezionismo, al fine di prefigurare nuove modalità di configurazione del potere, soprattutto di fronte all’arretramento degli Usa, ripiegati verso i propri confini, blindati da una guerra commerciale fuori tempo.
Questa visione richiede la revisione della rappresentazione distorta dei Paesi emergenti e in via di sviluppo nelle strutture della governance globale, concretizzatasi nella proposta di allargare i Brics a tutti i mercati emergenti o in via di sviluppo, contenuta nella Dichiarazione Finale del IX Vertice, nell’ottica di una partnership continentale, in cui viene riconosciuto alla Cina il grande impegno assunto a sostegno dell’Africa e, di recente, a supporto anche di alcuni paesi del continente americano, nell’ambito del faraonico progetto “One Belt, One Road” al fine di forgiare un nuovo ed alternativo equilibrio politico e strategico, i cui esiti potrebbero nascondere incognite inquietanti.
La fine di un’epoca
La Dichiarazione di Johannesburg, a conclusione del X Vertice, conferma il nuovo ruolo dei Brics e di tutto il sud del mondo, che richiede a gran voce una crescita inclusiva, necessaria per una prosperità condivisa, inscindibile da un reale processo di pace, la cui percorribilità è legata alla creazione di una piattaforma comune in cui si prefigurino strade alternative, capaci di disinnescare le tensioni dilaganti su scala planetaria.
Questo mutamento epocale, che l’intellettuale di Singapore, Kishore Mahbubani, sosteneva incomprensibile per tutti coloro che non erano stati avvolti nel “cellophane del colonialismo”, lega i successi economici ancorandoli ad una forte volontà di rivalsa di civiltà millenarie, alle quali bruciano ancora umiliazioni e sfruttamento. Il cammino dei Paesi in via di sviluppo e di quelli emergenti, inaugurato nel 1956 a Bandung, ebbe un aruspice in Nelson Mandela, che, molti anni dopo, proclamava: “Il momento di colmare gli abissi che ci dividono è arrivato. Il tempo di costruire è il nostro tempo, tocca a noi”.
Riuscirà l’Occidente a riconoscere il retaggio storico e culturale di questi popoli, accogliendo i valori condivisi dai paesi emergenti come pietra angolare di una cooperazione multilaterale, paritaria, interdipendente e win win, cioè vantaggiosa per tutti? Solo da questa prospettiva l’Ovest destrutturato e dal cuore monetarizzato potrà ridare slancio ai propri ideali, incardinati nei diritti inalienabili dell’uomo, bianco, nero o giallo che sia, strappando definitivamente il “cellophane del colonialismo”.