Il genio consiste nel tratteggiar con poche pennellate o con un pugno di parole un concetto, un’idea, un sentimento che altrimenti sarebbe complicatissimo spiegare: Leopardi ne Il Sabato del Villaggio è riuscito a materializzare quasi visivamente l’attesa piena di gioia della “donzelletta che vien dalla campagna” per il giorno della festa; anche la corsa spensierata dei mercati degli ultimi sei mesi potrebbe esser raccontata in maniera molto efficace ricorrendo all’immagine del “lieto romore” dei fanciulli sulla piazza. Questo (il sabato) infatti “di sette è il più gradito giorno, pien di speme e di gioia”. E quanta speranza e gioia abbiamo visto nel vigoroso strappo all’insù dei mercati in gennaio, certi che il sabato durasse per sempre e quasi con la paura di non riuscir a partecipare adeguatamente alla grande festa (FOMO, fear of missing out).
La crescita è forte e sostenuta globalmente, le Banche Centrali possono finalmente iniziare a pregustarsi un periodo di normalizzazione (“il zappatore seco pensa al dì del suo riposo”), è arrivato Powell come garante di continuità di pensiero della Fed, le banche europee sono finalmente sistemate, capitalizzate come mai lo erano state in passato e iniziano a sperare di far addirittura un po’ di margini con curve più steep.
Sembra tornare finalmente anche un po’ di inflazione dopo un’attesa durata anni in cui lo spettro deflattivo continuava ad aleggiare sui mercati. Anche Trump, dopo un anno prigioniero di se stesso, è tornato ad impossessarsi della stanza dei bottoni e tra un tweet e un altro è riuscito a portare a casa il primo successo post elettorale con la tax reform.
Eppure, ora che finalmente sembrano essersi allineate tutte le stelle per un party senza fine, si ha la sensazione che qualcuno abbia staccato la spina proprio sul più bello.
Rimane inevitabilmente un po’ un senso di frustrazione e di disorientamento quasi da “hang over” destinato a rientrare rapidamente perché oggi è comunque domenica, fuori splende il sole e ci si può tranquillamente riposare un po’ e recuperare le energie: magari non sarà una domenica elettrizzante da caviale e champagne, ma una pur sempre dignitosa giornata da divano, pantofole, un buon libro e un bicchier di vino; forse un po’ meno bollicine del previsto, ma del resto
Diman tristezza e noia
Recheran l’ore, ed al travaglio usato Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Noi ovviamente non facciamo eccezione, e torniamo serenamente al “travaglio usato” consapevoli che la fase del ciclo è ancora favorevole e in grado di offrire opportunità al costo però di una volatilità crescente. Questo aumento della volatilità ci appare qualcosa di strutturale con cui dovremo confrontarci da qui in avanti e nasce ovviamente dal lento e graduale “disimpegno” delle principali Banche Centrali.
Seppur con tempistiche anche sensibilmente diverse, appare infatti chiaro che si va progressivamente ritirando la gigantesca rete di protezione stesa dalle Banche Centrali per permettere ai mercati e all’economia di ritrovare un equilibrio dopo la più profonda crisi finanziaria della storia finanziaria recente; inevitabilmente questo processo genera incertezza e timori in mercati che per la prima volta dopo un decennio hanno la percezione di esser lasciati a sé stessi.
Ad esasperare questo senso di inquietudine contribuisce una mutata struttura dei mercati in cui le banche d’investimento e gli Hedge Funds non rappresentano più i principali risk takers. Esiste poi anche un fattore anagrafico, per cui la stragrande maggioranza dei traders sui floor mondiali sono brillanti e geniali trentenni che non hanno però mai visto i tassi salire, che non hanno mai conosciuto i morsi dell’inflazione e che sono cresciuti professionalmente comprando ogni market dip; esiste un gap generazionale tra chi è responsabile delle allocazioni strategiche, che tipicamente ha tra i 40 e i 50 anni e ha vissuto e porta le cicatrici di almeno un paio di crisi finanziarie, e chi, invece, popola i trading floor oggi e le crisi finanziarie le ha viste soltanto al cinema.
Questo gap può generare reazioni schizofreniche tra chi più preoccupato gestisce le allocazioni top down e chi invece, con meno freni inibitori, si sporca quotidianamente le mani bottom up nelle trincee scavate dietro i terminali Bloomberg. In questa fase, appaiono avvantaggiate quelle strutture dove processi allocativi e gestionali siedono molto vicini tra loro rispetto a strutture magari più complesse dove la distanza tra chi alloca e chi implementa è ampia, con il rischio di un pericoloso bipolarismo.
Per le stesse ragioni ed esasperando il concetto, tutte le strutture “a pilota automatico”, create su modelli tarati e testati sul mercato degli ultimi 10 anni, rischiano di divenire un elemento di volatilità endogena anche a causa della loro fisiologica natura prociclica. A complicare il tutto abbiamo appena aggiunto negli Stati Uniti lo spinoso tema dei dazi e in casa nostra un risultato elettorale quantomeno complicato con un rebus di difficile soluzione.
Ma non possiamo dimenticarci che stiamo parlando di Banche Centrali in ritirata e di tassi in risalita proprio perché stiamo vivendo un momento di crescita forte e sincronizzata, quindi, al netto di tutti i caveat e complicazioni di cui sopra, il mercato può offrire sicuramente delle ottime opportunità anche e soprattutto in un contesto di gestione attiva e libera da schemi precostituiti; anzi, proprio in un momento di così forte incertezza e di grandi cambiamenti si generano inevitabilmente delle dislocazioni da cui una gestione dinamica può trarre beneficio.
Questo è altresì vero anche in un mondo obbligazionario che in prima battuta può apparire come il segmento più delicato in questa fase del ciclo economico. La “condicio sine qua non” per poter affrontare in maniera efficace ed efficiente la nuova sfida posta dai mercati è quella di cambiare l’approccio, in primis nel mondo obbligazionario, abbandonando l’idea del “parcheggio remunerato” e accettando la logica stringente dell’investimento guidata unicamente dalle analisi dell’equilibrio rischio rendimento, logica innegabilmente anestetizzata da lunghi anni di Quantitative Easing. Il risveglio dal torpore di un letargo durato anni può ovviamente risultare brusco e doloroso, ma visto che il processo appare inevitabile, allora tanto vale provare a governarlo e gestirlo in maniera efficace.
°°°°Rocco Bove è Head of Fixed Income di Kairos Partners