Marcovanbasten. Sì, scritto così, tutto attaccato. Per i tifosi del Milan Van Basten era, è e resterà sempre nella storia, in quella stanza speciale che apre le porte soltanto ai miti, a chi è stato più grande degli altri.
Ce ne sarebbero di cose da scrivere su di lui, che venerdì ha compiuto 50 anni. Ma più che la data del compleanno, 31 ottobre, il giorno che difficilmente si potrà dimenticare è quel tardo pomeriggio del 18 agosto 1995, quando nella sala trofei di Via Turati l’olandese si sedeva tra Galliani e Braida per dire, con un filo di voce: “Ho da dare una notizia corta: ho deciso di smettere di fare il calciatore”. 14 parole che furono come una pugnalata al cuore, così come quel saluto crudele sul prato di San Siro prima di un Milan-Juve del Trofeo Berlusconi. Camicia rosa, giacca di renna, una corsa appena accennata a braccia alzate verso la Sud. Clima surreale, mani che applaudivano e occhi che piangevano.
Erano già due anni che Van Basten aveva smesso di essere un calciatore, quattro operazioni alla caviglia mettevano in dubbio persino la possibilità di poter camminare normalmente. Troppo. Anche per lui. I numeri non servono (e non bastano) per capire quanto è stato grande, quelli si trovano facilmente su Wikipedia. Il “cigno” è stato molto di più: se si deve scegliere un solo aggettivo per descriverlo probabilmente il più azzeccatto è “elegante”, una grazia raffinata che non immagineresti mai da uno alto un metro e 90.
Se avete dieci minuti di tempo cercate e guardate una gallery con i suoi gol, roba da svenire. Gol di tutti i tipi: destro, sinistro, testa, punizioni (una delle poche quella a San Siro contro il Bari) e poi i rigori, quelli tirati “alla Van Basten”, quelli col saltello prima della rincorsa. E poi c’è il gol al Den Haag. De cosa??? Provate a scrivere su Youtube “Van basten rovesciata” e guardate un po’ che cosa trovate al primo posto. Da non credere. Lui lo considera il gol più bello della sua carriera, e forse non ha torto. Oddio, per la verità di perle ce ne sono parecchie altre, dal tiro al volo contro la Russia nella finale dell’Europeo ’88 alla sforbiciata contro il Goteborg in una fredda notte di Champions a San Siro (per la cronaca quella sera ne fece altri tre…), dal colpo di testa in tuffo al Bernabeu arpionando la palla a una spanna da terra alla doppietta nella finale di Barcellona contro la Steaua Bucarest.
Di lui ne hanno parlato sempre tutti bene: compagni e avversari, nessuno dirà mai qualcosa di negativo. Un esempio, un campione che il prematuro addio al calcio ha contribuito a rafforzarne il mito, in un misto tra il dispiacere infinito di non poterlo più vedere a San Siro e il ricordo indelebile delle emozioni che ha regalato da quella lontana estate del 1987. Arrivò da mezzo infortunato (era appena stato operato alla caviglia, triste presagio), i giornali ne parlarono appena (i titoli erano per Scifo, appena acquistato dall’Inter), per i tifosi era un mezzo sconosciuto. Berlusconi se ne innamorò vedendo i suoi gol all’Ajax in cassetta (allora si usava così), e disse “Andate a prenderlo”. Detto, fatto. Il costo: un miliardo e 750 milioni di lire, un affare clamoroso, altro che le “plusvalenze” di oggi. La prima stagione fu travagliata, tornò in primavera segnando un fondamentale gol vittoria contro l’Empoli, preludio del trionfo al San Paolo contro il Napoli di Maradona. Fu scudetto, l’inizio della storia del Milan di Sacchi.
La Curva Sud nel giorno del suo addio gli dedicò uno striscione che diceva: “San Siro senza di te è come un falco senza ali”. Non serve altro. Basta una sola parola: Marcovanbasten.