Un recente studio della Cassa Depositi e Prestiti (Gas Naturale, marzo 2013) traccia una accurata analisi dei grandi mutamenti in atto nello scenario energetico internazionale ed italiano e rilancia il progetto di creare in Italia un hub del gas per sud Europa. L’idea non e’ nuova, fu ipotizzata dalla Edison più di cinque anni fa, ed è ora tra i progetti qualificanti del documento di Strategia Energetica Nazionale (Sen) presentato dal Ministro Passera nell’autunno 2012.
Da tempo infatti, il mercato del gas cerca di dotarsi di strumenti flessibili per regolare l’equilibrio tra domanda e offerta e quindi per determinare il prezzo. Ma facciamo un passo indietro, agli albori dello sviluppo del mercato del gas. Le infrastrutture necessarie per portare gas dai mercati di produzione (essenzialmente Russia e Nord Africa) verso l’Europa venivano pianificate dagli enti petroliferi nazionali (in Italia dall’Eni) sulla base delle previsioni di incremento dei consumi di ciascun Paese. Previsioni che a quei tempi di crescita costante dei consumi e di mix energetico prevedibile venivano confermate con grande regolarità dagli effettivi dati di domanda del mercato. L’adozione di contratti take or pay con flessibilità molto ridotte (di solito 10%) era quindi giustificato e ragionevole, e la formula di prezzo legata all’andamento del petrolio l’unica praticabile, non essendoci praticamente un mercato spot del gas.
Oggi questo mondo è profondamente cambiato. Non esiste più la certezza di una crescita costante: dopo 50 anni, nel 2007 i consumi di metano sono bruscamente calati in seguito alla crisi economica, e non si prevede di ritornino al livello ante crisi che verso il 2020. Ed anche la prevedibilità del mix energetico ha subito un duri colpi: basti pensare alla cancellazione del programma nucleare italiano ed al boom delle rinnovabili.
In Italia dal 2007 ad oggi sono stati realizzati ben 12000 MW di impianti fotovoltaici, grazie ad una incentivazione particolarmente favorevole, che hanno ridotto la produzione dei cicli combinati proprio nelle ore di punta ( quelle più remunerative), contribuendo così ulteriormente alla riduzione della domanda di gas. Ed è cambiata anche la geopolitica dei paesi produttori. Con lo sviluppo delle tecniche di liquefazione nuovi paesi produttori come il Qatar sono entrati prepotentemente in scena, offrendo con le navi metaniere una alternativa alla rigidità intrinseca dei gasdotti. E più recentemente, con lo sviluppo delle tecniche di sfruttamento dello shale gas, gli Stati Uniti si sono trasfomati da importatore netto a Paese autosufficiente e, in prospettiva, ad esportatore netto.
Calo della domanda da un lato ed aumento dell’offerta dall’altro hanno provocato non pochi sconquassi sul mercato. Il prezzo del metano sino al 2007 era pressoché identico sugli hubs americano, inglese e giapponese pari a circa 6$ per Mbtu. Nel 2011 negli USA era sceso a $2 , in Gran Bretagna era rimasto intorno a $6, mentre in Giappone era salito a $ 12. In Italia il prezzo medio di mercato era tra quello inglese e quello giapponese. E’ evidente che un mercato così fatto va riorganizzato, per arrivare ad un prezzo della commodity uguale in tutto il mondo, fatto salvo il diverso costo del trasporto al consumatore finale.
In quest’ottica entrano in gioco gli hub: posti di scambio fisici, dove gas di diverse provenienze confluisce per essere poi smistato ai mercati di consumo. Hubs già esistono in Nord Europa, al servizio delle zone di produzione del Mar del Nord. Ma non esistono (Sud Europa) o sono poco liquidi (Est Europa) dove la produzione di gas è marginale rispetto al consumo ed il fabbisogno è soddisfatto in larga misura da gasdotti provenienti dalla Russia e dal Nord Africa. Un Hub in Sud Europa (e l’Italia sarebbe in posizione geografica ideale) ed uno in Est Europa (rendendo più liquido lo snodo esistente in Austria), in combinazione con quelli già operanti nei mercati del Nord, potrebbero costituire uno strumento formidabile di integrazione tra i vari mercati.
Naturalmente occorrerebbe che i tre poli fossero collegati tra di loro con un’adeguata capacità di trasporto sia sulla direttrice nord -sud (come oggi) che in senso opposto (il cosiddetto reverse flow), lasciata disponibile per permettere agli operatori di fare gli opportuni arbitraggi di prezzo e far convergere i mercati su di un unico parametro. Prezzo che finirebbe per condizionare quello dei contratti take or pay, sganciandoli gradualmente dal prezzo del petrolio.
E’ questo un progetto realistico o è un’idea confinata in un futuro non meglio precisato? Diciamo subito che i paesi produttori non vedono di buon occhio la creazione di hub che generino una “gas to gas competition” con i contratti di lungo termine. L’attuale situazione di eccedenza di offerta sui mercati ha portato a rinegoziare al ribasso i prezzi dei contratti a lungo termine, e qualsiasi provvedimento che aumenti ulteriormente la liquidità del mercato è mal visto dai paesi produttori. Peraltro i paesi consumatori avrebbero tutto da guadagnare a creare una ridondanza di offerta per far abbassare i prezzi. Ma per far ciò si dovrebbero creare piattaforme di importazione libere all’accesso di tutti gli operatori e non impegnate da contratti a lungo termine.
La SEN (Strategia Energetica Nazionale) prevede infatti la possibilità di realizzare un nuovo rigassificatore totalmente aperto all’accesso di terzi, e regolato attraverso la tariffa di trasporto. E’ a tutti chiaro che, nell’attuale situazione congiunturale italiana, un nuovo rigassificatore non si giustifica, in quanto ridondante rispetto ai fabbisogni nazionali per i prossimi 10 anni. La sua realizzazione dev’essere pertanto collegata alla creazione di un sistema di hubs europei interconnessi, per creare un grande maercato europeo. E deve essere accompagnata da una drastica revisione degli esistenti contratti take or pay, nel senso di un abbassamento degli obblighi di ritiro a carico degli importatori , per liberarli da impegni non sostenibili in un mercato sempre più liquido.
La mossa di ridurre gli impegni di take or pay potrebbe pero’ non e’ priva di pericoli per i paesi consumatori. Il gas potrebbe infatti essere dirottato permanentemente verso oriente ( la Cina diventerà vieppiù importatrice) generando a medio termine tensioni di sicurezza di approvvigionamento. Inoltre l’eventuale gas mancante, non più coperto da formule di prezzo, potrebbe raggiungere livelli punitivi. La strada per creare un hub del gas in Italia e’ quindi ancora lunga e complessa. Occorre scegliere tra i vari progetti italiani esistenti quale nuova struttura realizzare. Occorre collegare il nuovo terminale, una volta realizzato, con la rete di gasdotti e di hub europei, assicurando il reverse flow dall’Italia verso il nord Europa. Occorre sviluppare un mercato del gas fisico e dei futures a livello europeo. Occorre cambiare contestualmente la struttura dei contratti di medio termine esistenti, facendo attenzione a non cadere nella trappola dello shortage del gas.
Insomma, l’hub e’ un bel progetto, ma quanto lavoro c’è da fare da parte di tanti attori con interessi contrapposti! Senza un forte patrocinio da parte della Commissione Europea, che aggreghi gli interessi non sempre convergenti degli operatori e faccia fronte comune nei confronti dei Paesi produttori, difficilmente il mercato europeo del gas vedrà la luce. E senza mercato europeo, un nuovo rigassificatore localizzato in Italia rischia di aumentare gli stranded costs del nostro sistema energetico piuttosto che creare le condizioni di una maggiore competitività.