Il sorpasso è (quasi) realtà. Huawei, gioiello hi tech cinese, è ad un passo da Ericsson, il leader mondiale dei telecom equipment. Anzi, per la verità, lo storico sorpasso è avvenuto lunedì quando da Shenzhen sono stati comunicati i dati del primo semestre del gruppo cinese: il giro di affari di Huawei è salito a 16,2 miliardi di dollari (+5,2%), in controtendenza rispetto al mercato. La settimana scorsa, invece, la svedese Ericsson aveva annunciato un giro d’affari di 15,2 miliardi di dollari, in calo rispetto all’anno prima e sotto i risultati del concorrente cinese cui però, per rendere omogeneo il confronto, vanno le vendite della divisione retail, come riconoscono gli stessi uomini del gruppo asiatico.
La sportività, del resto, è un aspetto quasi inedito della competizione tra i due big player, nonostante l’importanza della posta in gioco. “Quando si sono levate voci su una presunta inchiesta della Ue su presunti aiuti di Stato in nostro vantaggio, Ericsson si è dichiarata estranea e contraria all’iniziativa che non nasce dall’industria”, commenta Roberto Loiola, vice president Western Europe e chief operating officer Italia e Svizzera, in occasione del lancio a Milano dell’ultimo smartphone di casa Huawei: l’Ascend P1, 449 euro, un device sottilissimo ma dalla batteria quasi inesauribile (almeno 2 giorni di autonomia), schermo ed audio ad altissima definizione, ma prezzo assolutamente competitivo con la concorrenza. Perché anche negli smartphone Huawei è ormai salita nell’Olimpo, al terzo posto assoluto dietro Apple e Samsung. Insomma, Huawei si è ormai affernata come brand dalle tre teste: telecom equipment, consumer ed enterprise (servizi per le imprese). Ma la sfida come ci spiega Loiola, romano, 47 anni, una lunga carriera alle spalle in Telecom Italia prima, in Nokia (di cui è stato vice president per il sud Europa) poi, è appena all’inizio. E riguarda anche l’Italia.
Ingegner Loiola, la prima cosa che viene in mente con uno smartphone come questo in mano è che è bello disporre di una Ferrari. Ma purtroppo non c’è ancora l’autostrada…
“Il 2012, per l’Italia, è un anno di preparazione. Si sono fatte le aste per le frequenze, oggi gli operatori si stanno attrezzando. Per quanto ci riguarda, Huawei ha già realizzato 38 reti Lte ultraveloci, dal Giappone all’Australia al Canada. Ci sono già oltre 200 milioni di clienti 4G serviti dalle nostre reti Lte”.
E in Italia voi chi fornite?
“Noi supportiamo la preparazione di tre gestori su quattro. L’unico che non si serve da noi è quello di proprietà cinese”.
Il programma va avanti nei tempi previsti?
“L’impegno c’è, da parte di tutti. E’ importante che il programma si velocizzi, anche per dare una scossa all’economia. Ci sono difficoltà tecniche da superare, legate ad interferenze con il digitale terrestre, ma monete di insormontabile. Anche noi abbiamo contribuito con un trial test a Roma in collaborazione con il Ministero”.
E per le reti fisse?
“Noi collaboriamo sia con Telecom Italia che con Metroweb. Mi auguro che alla fine prenda corpo un grande progetto italiano”.
L’Italia è un mercato promettente?
“Attualmente è il terzo mercato in Europa per Huawei, preceduta da Spagna e Regno Unito, grazie al rapporto storico con Telefonica e Vodafone. Io mi auguro che l’Italia possa conquistare la prima posizione. C’è molto da fare in questo Paese sia con le aziende che con la Pubblica Amministrazione. Oltre che, ovviamente, con la clientela privata”.
Proviamo a raccontare Huawei in cifre?
“E’ un gruppo che occupa 140 mila dipendenti, il 44% impegnato in ricerca e sviluppo. E’ nato nel 1987 a Shenzhen, vicino Hong Kong, si è sviluppato in parallelo con l’università di Shenzhen, la Silicon Valley cinese dove ora il campus Huawei dà lavoro a 60 mila dipendenti. Dal Duemila l’azienda ha sconcentrato la sua strategia sulla cresita internazionale, al punto che oggi vende tra il 60 ed il 70 per cento dei suoi prodotti e servizi fuori dalla Greater China. A Shanghai lavorano 40 mila dipendenti, tutti in cloud. Non a caso a contenere le informazioni basta un piccolo data center. Per sottolineare la differenza, è stato lasciato uno spazio vuoto, assai più grande: è quanto ci sarebbe voluto per un data center tradizionale”.
Insomma, Huawei ha le caratteristiche innovatiove di una start up tradizionale, all’occidentale. O no?
“Per quanto riguarda la governance, da quella che è la mia esperienza, non vedo differenze rilevanti, salvo una grande propensione a costruire una squadra davvero internazionale, adeguata ad una cultura globale. Con un’importnate novità: la posizione di ceo viene assegnata a termine fra i top manager del board. In questo modo si condividono le decisioni e si riduce il margine di errore”.
Emerge il quadro di un’azienda dinamica ed aggressiva, fortemente radicata nel mondo asiatico.
“Ma con una forte apertura al mondo. Certo, siamo orgogliosi di aver creato per China Mobile il più importante data center on cloud del mondo. Ma ad Amsterdam abbiamo una sala per Telepresence, cioè videocomunicazione, tra le più avanzate del mondo. E presto replicheremo in Italia”.
Qual è la presenza nel Bel Paese?
“A fine anno arriveremo a 700 dipendenti. A Milano opererà l’Ip microwave, cioè lo sviluppo delle reti a microonde alternativo ai collegamenti di trasmissione tradizionali. La maggior parte però lavora nel commerciale e nell’attività after sales. Anche se uno cosa va detta”.
Cioè?
“I test sugli indici di guastabilità dei nostri prodotti sono addirittura imbarazzanti: i prodotti Huawei non si rompono mai”.
Intanto, però, vi arrivano i siluri dagli Usa e dalla Ue: azienda di spionaggio di Pechino, aiutata a penetrare nelle maglie dell’Occidente…
“Per quanto riguarda la cyber security, le accuse della UE ci sono state contestate finora solo tramite stampa. Huawei investe fortemente nelle tecnologie per la protezione dei dati dei clienti e dei partner. Per il resto, mi sento di dire che, in materia di protezione del mercato interno dalla concorrenza, gli Usa non sono secondi a nessuno”.