Ogni tre decenni, o più o meno una generazione, Hollywood subisce un sisma devastante. Il passaggio dal cinema muto al sonoro negli anni Venti. L’ascesa della televisione negli anni Cinquanta. Il boom del cavo degli anni Ottanta. Adesso succede di nuovo. La rivoluzione dello streaming, a lungo annunciata, è arrivava come un meteorite, per restare.
I servizi di streaming, naturalmente, metteranno a soqquadro l’equilibrio di Hollywood per anni. Netflix ne è il maggiore agente. Ha iniziato a trasmettere film e programmi TV in streaming sin dal 2007. All’inizio era un semplice servizio del giorno dopo. Oggi è cresciuto fino a diventare un behemoth: investe 12 miliardi di dollari in originals. Intrattiene più di 158 milioni di abbonati in tutto il mondo.
La primavera dello streaming
Negli USA, il paese leader nell’industria culturale, sono attivi 271 servizi video online: ce ne sono per tutti i gusti. Pongalo per le telenovelas, AeroCinema per i documentari aeronautici, Shudder per i film horror, Horse Lifestyle per i contenuti cari agli appassionati del mondo equino.
Mentre questo accadeva, le tre maggiori società di media della vecchia guardia – Disney, NBCUniversal e WarnerMedia – stavano alla finestra. I diritti di ritrasmissione che Netflix e i servizi di streaming gli versavano nelle casse sembravano appagarli. Dai tempi di Zuckor produzione e distribuzione erano state due industrie distinte e lo streaming sembrava non essere altro che un nuovo e interessante canale di distribuzione da affiancare alle sale e al cavo.
Per gli incumbent mettersi nello streaming significava iniziare una migrazione un territorio sconosciuto. Soprattutto si mettevano a rischio i miliardi di dollari di ricavi delle reti via cavo esistenti come USA, Disney Channel e TBS. Costruire piattaforme video tali da competere con Netflix e Amazon richiedeva inoltre entrare nel terreno dell’high tech, una terra disseminata di cadaveri eccellenti.
La tattica del cunctator
Per le organizzazioni tradizionali, padroneggiare la tecnologia come i nativi digitali della tecnologia richiedeva una nuova mentalità. Esigeva anche una curva di apprendimento ripida come i picchi dell’Huashan. Meglio aspettare. Anche Fabio Massimo attese a affrontare sul campo l’esercito tecnologico di Annibale.
Quando sarebbe diventato chiaro che proteggere il modello di business esistente sarebbe stato più pericoloso che iniziare la scalata del futuro, allora avrebbero agito. Ed è successo, e siamo solo all’inizio.
Disney Plus è arrivato. Costa quanto (6,99 dollari al mese) una sola vaschetta di popcorn offerta dalle sale cinematografiche delle grandi città. Permette a chiunque abbia una connessione internet a banda larga di accedere istantaneamente ai film Disney, Pixar, “Star Wars” e Marvel. Ci sono anche altre serie e film, le 30 stagioni dei “Simpsons” e 7.500 episodi di vecchi show televisivi a marchio Disney. “Siamo tutti d’accordo”, ha detto Robert A. Iger, amministratore delegato di Disney, all’evento di presentazione del servizio nell’aprile 2019.
Alla fine arrivano tutti
Il giorno dopo il lancio del servizio, Disney ha comunicato che più di 10 milioni di persone hanno già sottoscritto il servizio. Gli analisti confidavano di raggiungere a otto milioni entro la fine del 2019.
A maggio 2019, WarnerMedia introdurrà HBO Max (14,99 dollari al mese): 10mila ore di intrattenimento a portata di touch. Ci saranno le serie complete di “Friends” e “South Park”. Ci saranno centinaia di film di Warner Bros., tutto Batman, la biblioteca HBO, 50 anni di episodi di “Sesame Street” e documentari della CNN. “Siamo tutti d’accordo”, ha dichiarato John Stankey, amministratore delegato della WarnerMedia, in occasione del lancio di HBO Max il 29 ottobre 2019.
Peacock, un servizio di streaming NBC Universal attivo dalla primavera 2020, offrirà 15.000 ore di proiezioni. Le stagioni complete di “The Office” e “Frasier”, film prodotti da Universal come “The Fast and the Furious” e tantissimo altro. Peacock, a differenza di Disney Plus e HBO Max, avrà la pubblicità. NBCUniversal dovrebbe, a breve, svelare il piano tariffario.
Intanto in Silicon Valley
Mentre i tre più grandi gruppi dell’intrattenimento lanciano le loro piattaforme video, sta crescendo a dismisura la concorrenza che viene dalle aziende della Silicon Valley. Apple ha lanciato Apple TV Plus il 1 novembre 2019. Facebook e Snapchat sono decisi a diventare delle portaerei del video. Per non parlare di YouTube, che fa parte della famiglia di Alphabet.
Ad aggiungere confusione e adrenalina ci sono anche i nuovi format che lo streaming rende praticabili? Tra questi c’è Quibi, una start-up guidata da Meg Whitman e Jeffrey Katzenberg. Quibi offrirà steaming video di qualità in episodi da 10 minuti da consumare esclusivamente sul monitor di un telefonino o di un device mobili. Sono progettati per funzionare ergonomicamente sia in verticale che in orizzontale. Sono già in cantiere decine di episodi da aprile 2020.
Questo esercito di concorrenti sta sgretolando il modello di business consolidato di Hollywood.
Un cambio epocale nel modello hollywoodiano
Invece di affidarsi esclusivamente a terze parti (operatori via cavo, catene multiplex e altri distributori) per portare al pubblico i loro contenuti, gli studios hanno deciso, per la prima volta, di venderli direttamente ai consumatori. Infatti stanno dando alle sale cinematografiche meno film. Per esempio, WarnerMedia ha annunciato che “Superintelligence”, una commedia di Melissa McCarthy programmata per l’uscita nelle sale a dicembre 2019, debutterà nella primavera del 2020, direttamente su HBO Max.
Con gli originals che scavalcano i grandi schermi per debuttare sui piccoli schermi, la linea di demarcazione tra TV e cinema sta scomparendo. Qualcosa che suscita molti interrogativi e molte preoccupazioni, come quella espressa da Martin Scorsese.
Gli studios hanno impiegato sempre team esecutivi separati per supervisionare lo sviluppo e la produzione di film e di serie televisive. Questo approccio finirà senz’altro visto che la differenza tra i due media si sta annullando. C’è anche qualche a suggerire l’unificazione di Emmy e Oscar.
Il disorientamento dei consumatori
Questo cambiamento sta avvenendo così rapidamente, così velocemente e con una tale offerta che gli spettatori sono sopraffatti. Lo sono in modo pericoloso, dicono gli studios. C’è il paradosso per molti spettatori: il bundle della televisione via cavo inizia ad essere più gestibile dell’offerta dello streaming.
Una società di consulenza del Colorado, la Langston Company, ha presentato uno studio sul comportamento dei consumatori confermando il loro spaesamento per i repentini cambiamenti nella modalità di fruizione dei media. C’è la preoccupazione della frammentazione, della perdita di valore dell’investimento e la indisponibilità a gestire un numero incontrollato di account di streaming per accedere ai programmi preferiti.
In un libro bianco dell’agosto 2019, Fluent, una società di marketing digitale, ha sottolineato la crescente frustrazione dei consumatori nel vedere i contenuti che vorrebbero vedere distribuiti su differenti servizi di streaming, ognuno dei quali richiede un abbonamento.
L’agonia del cavo
Gli analisti prevedono, come prima conseguenza, che la marea di nuovi servizi di streaming porterà sempre più consumatori ad annullare gli abbonamenti ai tradizionali servizi via cavo. La televisione via cavo è la gallina alle uova d’oro dell’industria dell’intrattenimento, anche se milioni di clienti negli Stati Uniti hanno già reciso la corda. Un recente rapporto di Moffett Nathanson ha registrato che il declino degli abbonati al cavo, nel secondo trimestre del 1919, ha toccato il 5,4 per cento.
Per le aziende tradizionali come Disney e NBC Universal, ognuna delle quali gestisce vaste reti via cavo, ciò significa un tonfo nelle vendite pubblicitarie e condizioni più difficili da ottenere dai distributori. Tutti i segnali indicano che l’emorragia di abbonati non si arresterà. Così, ogni show televisivo importante è pensato per essere offerto, prima di tutto, sulla piattaforma di streaming. Alla TV via cavo restano le briciole.
I grandi canali via cavo come ESPN e Fox News ce la possono fare, ma i canali più piccoli e meno referenziati avranno molte difficoltà a rimanere nel business, dicono gli analisti. In America è già successo con Esquire, Pivot e Al Jazeera America. Altri staccheranno la spina a breve.
La guerra dei talenti
Alcuni dei più grandi cambiamenti riguardano, però, la competizione ad aggiudicarsi i migliori talenti del settore.
Netflix e altre imprese tecnologiche, tra cui Apple e Amazon, hanno dato la caccia agli sceneggiatori di studios e reti televisive consolidate, offrendogli dei compensi stellari. Kenya Barris (“black-ish”), Ryan Murphy (“American Horror Story”), Shonda Rhimes (“Grey’s Anatomy”) e David Benioff e D.B. Weiss (“Game of Thrones”) hanno tutti firmato con Netflix, seguendo l’esempio di star come Adam Sandler e David Letterman.
L’establishment di Hollywood ha iniziato, però, a rispondere alla sfida. Per tenere Greg Berlanti, il mago della TV dietro spettacoli come “The Flash” e “Riverdale”, la Warner Bros. ha tirato fuori un pacco di soldi. La stessa Warner ha concluso un accordo simile con J.J. Abrams a settembre 2019. Si tratta di compensi a persone, idee e script che non si sono mai visti ad Hollywood.
L’impennata dei costi di produzione
Netflix sta iniziando a subire la pressione. Ted Sarandos, il chief content officer dell’azienda, ha detto agli analisti, in una conference call di ottobre 2019, che la concorrenza spietata sta facendo salire alle stelle i costi per i contenuti di “élite”. Egli stima un 30% in più rispetto al 2018.
Sicuramente, lo streaming di denaro sta iniziando a impattare l’economia di Hollywood. C’è adesso una forte domanda per contenuti di nicchia come la televisione per bambini, Sceneggiatori di medio livello stanno guidando delle auto di lusso nuove di pacca. Denaro facile anche per fioristi, ristoratori, decoratori di set, autisti, parrucchieri, cacciatori di teste e altre figure di corredo.
L’ecosistema di Hollywood sta girando a tutto vapore. Per mantenere le loro linee di assemblaggio dei contenuti ad alta velocità (495 serie originali in onda nel 2018, con un aumento dell’85% rispetto al 2011) le aziende stanno spingendo i lavoratori verso un punto di rottura. Succede anche che se l’audience di una serie è più bassa delle aspettative, i servizi di streaming annullano la serie costringendo gli sceneggiatori a cambiare lavoro con una frequenza sconosciuta.
Le nuove condizioni contrattuali
C’è pure un cambiamento fondamentale nei contratti di lavoro vigenti. La Disney, ad esempio, ha adottato nuove condizioni contrattuali per i programmi televisivi. Secondo il vecchio modello, in vigore da decenni, l’autore di un contenuto riceveva un lauto anticipo. Ma la parte più interessante del provento proveniva dai diritti sui successivi guadagni della ritrasmissione. Disney, seguendo un modello reso popolare da Netflix, adesso offre anticipi più elevati ma poco o niente a posteriori. Altre aziende tradizionali stanno introducendo lo stesso principio. Questa politica gli permette di avere la massima flessibilità di distribuzione all’interno dei propri ecosistemi aziendali (broadcast, cavo, streaming).
Il cambiamento ha messo in allarme i membri della Writers Guild of America (VGA), che rappresenta circa 13.000 sceneggiatori. Si sta già parlando di un possibile sciopero. Il contratto della WGA con gli studios scade il 1° maggio 2020. I contratti degli studios con altri due sindacati hollywoodiani, SAG-AFTRA (attori) e la Directors Guild of America, scadono il 30 giugno 2020.
Courtney Kemp, creatrice del dramma di Starz “Power”, ha fatto una campagna sul tema dei contratti durante le elezioni, di settembre 2019, per rieleggere il consiglio di amministrazione West Coast della Gilda degli scrittori. La Kemp ha diffuso un comunicato stampa che recita così: “Le compagnie stanno cercando di liquidarci in anticipo, in modo da non condividere i profitti con noi e non doverci pagarci per il riutilizzo dei nostri contenuti così da nasconderci la verità sul loro valore effettivo. Saranno i padroni della nostra proprietà intellettuale in modo assoluto e per sempre. E questo è un problema che cui vale la pena di combattere”.
Le rivoluzioni non sono note per la loro tranquillità.
Le informazioni e le citazioni sono tratte dall’articolo di Brooks Barnes dal titolo The Streaming Era Has Finally Arrived. Everything Is About to Change, pubblicato sul New York Times del 18 novembre 2019.