Hollywood è salva, Detroit non ancora. Non è successo spesso che a far tenere con il fiato sospeso Wall Street sia stato un conflitto di lavoro. Almeno finora perché la forza delle Unions, in ritirata dall’inizio degli anni Ottanta, rischia di essere quest’anno la grande novità dell’economia Usa. Dopo la vittoria dei teamsters, i camionisti di Ups, e dei piloti di American Airlines ed in attesa della “madre di tutte le battaglie”, la vertenza dell’auto, oggi a festeggiare sono gli autori di film e serie tv, ovvero gli 11 mila scrittori che assicurano la realizzazione di film e sceneggiati, dalla materia prima fino alla visione via streaming.
Vittoria degli scrittori dopo 5 mesi di sciopero a Hollywood
Domenica notte, dopo il solito finale drammatico delle grandi vertenze, i rappresentati del sindacato hanno approvato la bozza di contratto che da oggi sarà sottoposta agli iscritti. Così finirà una delle vertenze più dure della recente storia Usa: dal 2 maggio scorso, infatti, le penne di Hollywood hanno smesso di sfornare plot ed intrecci sentimentali piuttosto che un legal-thriller. Nel frattempo, il tentativo di mandare in onda in tv un talk show senza l’aiuto di testi dei ghost writers (esemplare il flop del pprogramma di Drew Barrymore) è andato miseramente fallito, anche per la vigilanza dei picchetti all’ingresso degli studios.
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I contraccolpi a Wall Street su Disney, Netflix e i colossi media
E così, dopo aver affidato la guida della vertenza agli uffici legali, i colossi dell’entertainment, hanno preso atto che gli autori, spalleggiati dal sindacato degli attori ancora in sciopero, facevano sul serio. Con gravi conseguenze per Wall Street oltre che per l’economia della California come del New Mexico (sede preferita per gli esterni, western in testa) o della stessa New York. Dall’inizio dello sciopero, infatti, in Borsa stanno perdendo colpi i titoli di Walt Disney e Netflix, i leader indiscussi dello streaming, ma anche quelli di Paramount e delle altre majors inseriti sotto lo scudo degli altri colossi media e tlc. In assenza di titoli nuovi da presentare al botteghino dopo i successi di Barbie e Oppenheimer, o di serie tv di richiamo internazionale, gli analisti hanno cominciato a sfornare sell per i grandi gruppi dell’entertainment.
Certo, lo sciopero ha consentito agli studios di svuotare i magazzini come prevedevano i “duri” decisi a non accettare le richieste “assurde” degli autori, determinati a loro volta ad ottenere accanto ai vantaggi salariali, garanzie sulle percentuali dei diritti provenienti dalle repliche in streaming (finora quasi inesistenti) e sul pericolo che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale potesse soppiantare il lavoro degli stessi autori.
Lo sciopero di scrittori e attori è costato 5 miliardi di dollari
Ma, dopo 146 giorni di sciopero ed un salasso di 45 milioni di dollari dalle casse del sindacato, la linea dura delle compagnie è stata abbandonata. Anche per i costi sopportati dal sistema. Secondo il Milken Institute cinque mesi di sciopero degli studios di Hollywood hanno provocato la perdita di 5 miliardi di dollari cui vanno aggiunti il prezzo pagato da altri Stati, primo fra tutti New York, altra capitale dei video. Sono più di 100 mila, ricorda il governatore del Golden State Gavyn Newman, i lavoratori bloccati dall’agitazione: cameramen, direttori di studio, truccatori, costumisti, tecnici delle luci, parrucchieri, fotografi di scena e tanti altri protagonisti dell’economia delle immagini.
Hollywood: scendono in campo i pezzi da 90 per chiudere la partita
Di qui la scelta dei Big Boss del sistema di scendere in campo in prima persona con l’obiettivo di raggiungere la firma entro ieri sera, alla vigilia all’inizio delle celebrazioni della festa ebraica dello Yom Kippur. E così attorno al tavolo della trattativa nell’ultima settimana si sono seduti assieme Bob Iger, redivivo capo assoluto di Disney, Dinna Langley di Nbc, Ted Sarandos di Netflix e David Zaslay di Discovery. Un poker di giganti, rafforzato da Carol Lombardini in rappresentanza degli altri studios di Hollywood. Sono stati loro a siglare un deal che, assicurano i sindacalisti degli autori, offre garanzie sui frutti dello streaming e cosifica l’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
Ma resta aperta la vertenza degli attori
Ciak, si torna a girare? No, non ancora. All’appello manca l’ultima intesa, la più rognosa. Dal 14 luglio, infatti sono in sciopero anche decine di migliaia di attori, stremati da paghe in calo (le sit comedy sono sempre meno generose e offrono contratti più brevi) e dall’incubo dell’Intelligenza Artificiale che già oggi consente di replicare la performance degli attori per sostituire comparse (e non solo). Ma per i grandi di Hollywood la priorità era l’accordo con gli autori. Ora, anche per la disponibilità a trattare sulle innovazioni tecnologiche, la strada potrebbe essere in discesa. E far così ripartire la più importante fabbrica dei sogni entro fine anno.
Dalla fabbrica dei sogni alla fabbrica della auto: battaglia finale a Detroit
Non è escluso che per quella data si possa chiudere la vertenza dell’auto, la madre di tutte le battaglie che segnano la rinascita del potere dei lavoratori. Domani, martedì, a Detroit approda il presidente Joe Biden che finora non è riuscito ad ottenere il sostegno del sindacato in vista delle presidenziali. Prima di rinnovare il sostegno ai democratici la Uaw (corteggiata anche da Trump) vuole un impegno specifico della Casa Bianca perché i sostegni all’auto elettrica vengano concessi solo alle aziende che garantiranno salari e trattamenti previdenziali concordati con il sindacato. Nel frattempo, però, la Uaw punta a rompere il fronte dei 3 Big: i nuovi scioperi colpiranno 38 impianti di Gm e Stellantis, con l’obiettivo di rendere molto difficile la fornitura alle reti di vendita. Viene invece risparmiata Ford, che si sarebbe dimostrata più disponibile. Ciak.