Anticipo del Tfr per matrimonio, divorzio o baby sitter, condizioni favorevoli per il part-time post maternità, congedi per formazione e per i padri lavoratori. Questi i punti fondamentali dell’accordo integrativo rispetto al contratto nazionale del commercio raggiunto da H&M con i sindacati Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil. L’intesa ha contenuti innovativi e riguarda i circa 5.500 lavoratori impiegati nei 150 punti vendita italiani del colosso dell’abbigliamento svedese e segna una svolta dopo la chiusura di alcuni negozi e la procedura di licenziamento collettivo avviata a livello nazionale nel maggio 2017. Non a caso, il primo punto dell’accordo prevede che l’azienda debba comunicare preventivamente ogni informazione su eventuali nuove aperture o chiusure e sui relativi impatti occupazionali.
I PUNTI FONDAMENTALI DELL’ACCORDO
Nel dettaglio, l’anticipo del Tfr sarà riconosciuto (a prescindere dall’anzianità aziendale) per la ristrutturazione o l’acquisto di mobili della prima casa, per l’acquisto dell’auto o del motorino, per la celebrazione del matrimonio o per le spese per il divorzio. Sale inoltre dall’1 al 3% la quota di lavoratori che potranno usufruire del congedo di formazione non retribuito. Le donne che rientrano dalla maternità potranno usufruire di un congedo non retribuito di tre mesi e avranno un accesso privilegiato al part time, che viene alzato dal 3 al 6%. Ai padri lavoratori viene concessa una giornata di congedo in più alla nascita del figlio. Infine, il testo parla anche di una distribuzione equa dei carichi nell’organizzazione dei turni di lavoro. L’accordo non prevede invece alcun premio economico.
LE POLEMICHE SUI SALARI NEL MONDO
Proprio il trattamento economico dei lavoratori è stato al centro dell’ultima polemica che ha investito H&M a livello mondiale.
Secondo una ricerca della Clean Clothes Campaign, molti lavoratori dipendenti da aziende che producono abiti per H&M vivono ancora in condizioni di povertà, nonostante le promesse dell’azienda di adottare entro il 2018 modelli in grado di consentire il pagamento di salari dignitosi. Rispetto alla soglia di reddito stimata per garantire una vita dignitosa, i dipendenti delle imprese fornitrici di H&M in India e Turchia guadagnano un terzo e in Cambogia meno della metà, mentre in Bulgaria in alcuni casi non si arriva al 10%. Dalla ricerca, inoltre, emerge che un terzo delle donne intervistate in India e due terzi in Cambogia – tutte impiegate nelle fabbriche classificate da H&M come “fornitori di platino” – sono svenute sul posto di lavoro a causa dei carichi di lavoro eccessivi. La catena di fornitura di H&M, secondo l’indagine, riguarda circa 850 mila lavoratori nel mondo. Il gruppo dell’abbigliamento ha visto ridursi l’utile 2017 a circa 1,56 miliardi di euro rispetto ai 2 miliardi del 2015 e a 1,8 miliardi del 2016.
La posizione di H&M sul problema sollevato dal report di Clean Clothes è che “i livelli salariali dovrebbero essere definiti e fissati dalle parti nel mercato del lavoro, attraverso negoziati equi tra datori di lavoro e rappresentanti dei lavoratori, non da marchi occidentali”, un punto sul qual concordano l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) delle Nazioni Unite e i sindacati. “Le affermazioni contenute nel rapporto secondo cui un certo numero di fabbriche di fornitori che producono per il gruppo H&M non pagano salari minimi non sono state confermate dai nostri audit globali e dai nostri programmi di valutazione che garantiscono che le fabbriche soddisfino i nostri requisiti minimi”, precisa infine il gruppo dell’abbigliamento che non indica tuttavia alcun numero che faccia comprendere quale sarebbe il livello salariale praticato dai propri fornitori nei Paesi oggetto dell’indagine.
(Aggiornato mercoledì 26 settembre alle 14:25)