Henri Matisse, pittore d’avanguardia che poteva dipingere a imitazione della natura quanto più voleva. Infatti, così fece per quindici anni prima di decidere che arte e natura sono cose differenti. Sempre immerso nello studio dei mosaici bizantini e dei tappeti orientali fino a quando non gli balenò l’idea di tradurre il tutto in qualcosa di molto cromatico. Il suo disegno divenne un intrico di curve come nei Pesci Rossi, mentre nella La sposa indiana sembra una scacchiera, in tutti i casi il suo dipingere è sempre ben lontano dal valorizzare l’immagine preferendo piuttosto lo schema del colore.
Non fu facile quando nel 1905, a 35 anni, decise di inviare al Salon (l’esposizione nazionale di Parigi) il suo primo grande disegno decisamente non realistico. Il disegno, intitolato Donna con il cappello, scoppiò come una bomba negli ambienti artistici. Il pubblico lo giudicò un scarabocchio con patacche, prendendo in giro Matisse definendolo un ignorante, un pazzo, un caricaturista. Ma il quadro fu venduto lo stesso al mercante americano che prima lo definì un‘ orribile crosta e poi tornò e lo acquistò per 500 franchi. Soldi che erano ben utili al pittore che difficilmente sbarcava il lunario. Per anni i suoi genitori gli avevano mandato 100 franchi e un sacco di riso ogni mese.
Il mercante fece vedere l’opera alla sorella, la scrittrice Gertrude Stein, nel cui salotto parigino si davano convegno pittori e letterati d’avanguardia, ed è qui che il genio di Matisse venne riconosciuto, ed è sempre qui che conobbe Picasso ed altri illustri critici d’arte come Bernard Berenson e Roger Fry, oltre a ricchi e famosi collezionisti. Il successo gli diede ancora più coraggio per liberarsi dal concetto naturalistico e dalla pittura fotografica: creò Gioia di vivere, la composizione a colori quasi astratta di nudi in un paradiso terrestre. Quando nel 1906 questa opera fu esposta il pubblico di nuovo lo dileggiò, e il sostenitore più entusiasta di Matisse, Leo Stein, ne fu costernato, ma dopo aver rivisto diverse volte l’opera si convinse che era la più importante creazione dell’epoca, e l’acquistò.
Nonostante Matisse venisse ripreso dal suo stesso ambiente come un “delinquente” dell’arte e un apostolo del brutto, riusciva a mantenersi vendendo sempre più spesso le opere che produceva. Nel 1908 un russo gli comperò tutta la produzione dell’ultimo anno, e gli ordinò La danza insieme a molti altri dipinti. Secondo solo a Picasso rimase sempre lo stesso, semplice e modesto. La sua pittura diventò ancora più conservatrice. Era come l’arte dei persiani e dei bizantini, un’arte basata sul disegno, ma che piano piano si andava avvicinando un po’ di più alla realtà: i pesci rossi un po’ più simili a pesci rossi, i pomodori più pomodori e le donne ben fatte e attraenti. Amava la libertà dei suoi pensieri, non si era mai fatto imprigionare per denaro o per convenienze, sapeva bene che se non avesse dato retta al suo cuore avrebbe dipinto il grigio di una vita infelice. Un dicembre Matisse se ne andò sulla costa del Mediterraneo e qui si innamorò del sole della riviera al punto tale che decise di andarvi ad abitare, scelse uno studio con una grande finestra che dava sul mare…mentre gli uccelli cantavano sopra la sua testa. La sua ultima opera fu un’esperienza nuova, un’escursione nel campo dell’architettura che riprendeva una cappella moderna per una casa di cura per giovani ragazze, proprio nella vicina Vence. Disegnò ogni cosa, l’edificio dal tetto di tegole bianche, le finestre istoriate, i paramenti sacri, i candelieri, il crocifisso dell’altare, i 15 pannelli murali e le 14 stazioni della Via Crucis. Era felice, aveva creato il suo capolavoro. “Vorrei danzare tra antichi mosaici e tappeti orientali, vorrei osservare il colore del mondo e non la sua immagine riflessa. Vorrei poter tradurre i pensieri in realtà, vorrei poter dire che non c’è nulla di più bello della gioia di sentirsi liberi da ogni schiavitù psicologica e temporale.”