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Harris e la sua sfida anti-Trump, Powell e i tagli dei tassi, un governo a Parigi: tre segnali che piacciono ai mercati finanziari

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Ci sarà tempo per scrutare meglio la politica economica di Kamala Harris e non c’è dubbio che l’idea di abbassare il costo della vita con maggiori controlli amministrativi sui prezzi anziché con una maggiore concorrenza e con la piena indipendenza della Fed sulla politica monetaria fa arricciare il naso. Ma anche in politica vale il principio del “Primum vivere” e per l’America democratica e per il mondo intero la prima cosa che conta è arrestare le suggestioni populiste e destabilizzanti e impedire il ritorno alla Presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump. Non è affatto certo che la Harris vinca le elezioni presidenziali del 5 novembre ma bisogna riconoscere che in un solo mese ha ribaltato le aspettative e riaperto i giochi che prima del ritiro di Biden sembravano spianare la strada alla vittoria di Trump. Ecco perchè il risultato della Convention democratica di Chicago piace alle Borse che, anche per questa ragione, hanno concluso in rialzo una settimana in altalena.

Ma, ovviamente, c’è una seconda ragione che ha dato spinta ai mercati in uno dei venerdì più effervescenti di questi tempi ed è l’attesissimo intervento del Presidente della Fed, Jerome Powell, al tradizionale meeting dei banchieri centrali di Jackson Hole. Powell ha detto con chiarezza che la politica monetaria va aggiustata e che dunque i tassi scenderanno lasciandosi aperta la possibilità che i tre tagli previsti portino a una riduzione non dello 0,75% ma dell’1%. Ma Powell ha fatto di più e non ha minimamente accennato ai rischi di recessione, che tanto piacciono ai gufi di professione ma che non trovano la benché minima conferma nei dati congiunturali più aggiornati e anche nelle previsioni di molte, anche se non tutte, le banche d’affari.

Poi c’è la Francia, la terza ragione che incoraggia i mercati. Fino a prima delle Olimpiadi, che sono state per Parigi un grande successo, molti commentatori pensavano che la Francia fosse inevitabilmente condannata al declino, che il Presidente Emmanuel Macron avesse sbagliato tutto anticipando le elezioni politiche e che lo spettro dell’ingovernabilità si aggirasse per Parigi. I fatti stanno dimostrando il contrario. In politica è fondamentale avere lo sguardo lungo e capire in anticipo quali sono gli effetti che una mossa può avere. E’ quello che, nell’incomprensione dei più, ha fatto Macron: sciogliendo in anticipo l’Assemblea Nazionale e promuovendo l’alleanza repubblicana ha sbaragliato l’estrema destra di Marine Le Pen che dai ballottaggi del 7 luglio è uscita con le ossa rotta. Poi Macron ha meditato sui risultati delle elezioni e ha capito subito che l’unica maggioranza “ampia e stabile” è quella che si basa sull’accordo tra il centro macroniano, i repubblicani e buona parte del nuovo Fronte Popolare. E’ un’operazione complessa, soprattutto per le intemperanze massimaliste dell’ala estrema del Fronte Popolare, ma già martedì, con l’incarico al nuovo candidato premier, si capirà se la Francia vedrà finalmente la luce in fondo al tunnel e ritroverà la via della governabilità con un’impronta spiccatamente democratica ed europeista. Come i mercati si augurano.

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Categories: Politica