Affatico a chiarirmi aspetti decisivi della vicenda Monte dei Paschi. Leggo di derivati o di pronti contro termine; lo stesso derivato di per sé dice nulla, se non sappiamo di quale strumento contrattuale è derivato. Si dice che il contratto è stato segregato, così anche nell’audizione di Grilli; ma giorni addietro ho letto che la controparte si era assicurata che il consiglio MPS ne fosse a conoscenza: il dato può essere importante ai fini della validità della contrattazione. Si deve attendere maggiori certezze per una valutazione riflettuta.
Peraltro la vicenda MPS per caratterizzare le nostre istituzioni ripropone un tema di portata generale, che si ripresenta ad ogni crisi, ad es. negli accadimenti che hanno più volte interessato la Telecom (fusione con Olivetti, uscita di Tronchetti Provera); ancora quando Profumo lasciò l’Unicredito; lo ritroviamo nella complessa storia Unipol, Ligresti, Mediobanca. Nelle istituzioni che affidano la gestione dell’economia al mercato la vigilanza sulla legalità delle condotte è innanzitutto, e soprattutto, nell’azionabilità civile delle pretese, su iniziativa di coloro che, ritenendosi lesi, propongono domanda al giudice civile: la vera autorità indipendente del mercato. Il rimedio privato è a disposizione di chi lamenta il torto, al fine di rimediare al danno che pretende avere subito; è una sanzione per chi dovesse essere condannato, ma nel contempo soddisfa l’interesse privato di chi diviene creditore; risponde ai canoni della giustizia commutativa, non della giustizia retributiva, come la sanzione amministrativa o penale. Attraverso le azioni civili diffuse, proposte dagli stessi interessati (soci, creditori ecc.), la mano invisibile del mercato organizza la vigilanza sulla legalità; le vigilanze amministrative divengono propriamente ausiliarie delle azioni civili; il penale è la risorsa estrema a protezione delle controparti dalle frodi difficilmente rilevabili dalle sole azioni private. Immaginiamo che nella vicenda Telecom si fossero fisiologicamente dispiegate le azioni civili nei riguardi dell’allora amministratore delegato; e così nella vicenda Unicredito o Ligresti. Immaginiamo che le azioni civili nei riguardi dei gestori del Monte dei Paschi avessero trovato il loro normale sviluppo secondo le pretese espresse dal mercato, come nell’esperienza Usa, con le azioni derivate, rafforzate dell’esperibilità delle azioni di classe. Quanti nodi si sarebbero già sciolti nella sede dei processi civili, prima di arrivare all’inestricabile matassa, all’impantanamento di oggi!
Invece da noi, con le privatizzazioni, gli enti pubblici economici sono stati sottratti alla formale tutela amministrativa senza, per altro verso, sviluppare il diritto privato e la giurisdizione civile allo scopo di rendere le istituzioni adeguate al mercato. Così la maggiore impresa resta sottratta alla disciplina amministrativa dell’ente pubblico; ma è anche praticamente sottratta alla disciplina privata. Anzi, con le recenti leggi si sono drasticamente ridotte le già insufficienti protezioni private: perfino l’impugnazione delle deliberazioni assembleari è stata drasticamente circoscritta; è resa difficile l’impugnazione del bilancio; i diritti dei soci sono ridotti a farsa: la convocazione su richiesta della minoranza e l’intervento giudiziario per ispezioni; la rilevabilità dei conflitti d’interessi è praticamente nulla, così da consentire, con lo sviluppo di gruppi e con gli accordi dei sindacati di voto, gestioni di vertice difficilmente sorvegliate dall’azionariato diffuso sul mercato; la difficoltà dell’azione giudiziaria vanifica la revisione contabile; ne restano inquinate le informazioni ed i bilanci; sono ridotti i poteri degli amministratori e comunque l’interesse ad esercitarli, essendo vanificate le loro responsabilità. Il governo della società è concentrato nell’amministratore delegato. Gli amministratori delegati, presidenti, amministratori, i soci di controllo, che spesso sono altre società od enti, come le fondazioni bancarie, rendendo le gestioni sempre più impersonali, autoreferenziali, affidate a persone la cui autorità sempre meno dipende dal mercato degli investitori. In buona sostanza la gestione della grande impresa rimane un affare lasciato all’etica personale degli attori. Ma l’etica è un sentimento individuale della persona; una responsabilità verso sé stessi; non è una norma di cui la società, i soci, il mercato si possano avvalere.
In queste condizioni i controlli amministrativi, senza condizionamento del mercato, si sviluppano in soffocante burocrazia, la cui funzionalità è piuttosto affidata all’etica che al diritto: Consob, Banca d’Italia, Vigilanze c.d. indipendenti ecc. Le autorità, senza il riparo della giurisdizione (civile ma anche amministrativa), producono una debordante normazione secondaria, ormai spesso senza riguardo al fondamento legale per l’insufficienza delle leggi a decidere i punti di principio; sviluppano nel rapporto con i vigilati persuasione morale secondo un andamento la cui correttezza è lasciata alla morale di ciascuno, per l’assenza di rilevazioni formali: la persuasione morale è intrinsecamente incompatibile con il mercato, se non contenuta dalla legalità che soltanto assicura la rapida giustiziabilità dei comportamenti. Nella vicenda del Monte dei Paschi chi ci può dire se l’operazione Antonveneta non fosse stimolata dall’orientamento alla italianità a lungo sostenuta del precedente Governatore Fazio, anche questo orientamento mai deciso in via formale da legge o altro indirizzo politico? Tra le numerose notizie di stampa si è anche detto che il Banco Santander sarebbe divenuto socio con il conferimento dell’Antonveneta; poi si decise per l’italianità del Monte e della banca. Come? Chi decise? Come operò la persuasione morale anche nelle individuazione dei gestori? E il prezzo? Se giustificato come rapporto di cambio nel caso di conferimento dell’Antonveneta era ancora giustificato per cassa? Oggi si dice che l’attuale dirigenza del Monte è un commissariamento di fatto: allora la persuasione morale è in grado di decidere le nomine; è già accaduto, quante volte? Chi ne risponde? Ed il prezzo di allora non è caduto sotto la persuasione morale. L’inesistenza pratica del mercato con le azioni civili lascia tutto opaco e poi all’intervento patologico, estremo, e spesso casuale, del penale.
La vigilanza del mercato affidata ai rimedi privati è il meccanismo corretto per separare il potere economico privato dai poteri politici, amministrativi, o comunque di autorità informali che genera l’esercizio dell’impresa, perché si costituisce diffusamente, sull’interesse patrimoniale privato di ciascuno a non subire la lesione, sviluppandosi come conflitto tra interessi privati, risolto dal giudice nel processo giurisdizionale. Mentre la vigilanza amministrativa, svincolata dall’impulso di parte, può scivolare in abusi, se non compiutamente regolata secondo procedure legali che ne fanno un’autorità burocratica, giustificata se ausiliaria delle difese private, non se sostitutiva della giurisdizione civile, come nei fatti da noi accade.
Oggi la questione non è rivedere i poteri della Consob, della B.d.I., del Ministero, come leggo in Riva (La Repubblica), poteri che sono già robusti. La questione è ben più complessa ed importante. È ricreare la vigilanza del mercato rifacendo l’ordinamento privato imperniato sull’autorità giudiziaria civile, attualmente soffocata per la carenza di mezzi, materiali e personali: si deve investire sulla giustizia civile, per risparmiare sulle vigilanze e sugli adempimenti richiesti dalla farraginosa normazione amministrativa. Non vi sono scorciatoie. L’alternativa è lo statalismo dell’economia mista, improponibile.