Il curatore Luca Massimo Barbero da anni porta avanti un’appassionata ricerca sulla scena artistica del secondo dopoguerra, e l’esposizione appena aperta a Palazzo Venier dei Leoni è un capitolo importantissimo in questo suo percorso di indagine. “Il titolo di questa mostra, Imagine, parte dal riconoscere come il “formare un’immagine” sia un motivo ricorrente nell’arte italiana nel corso dell’intero decennio degli anni sessanta”, spiega Barbero, “e l’esposizione intende superare le cosiddette “ortodossie”, liberando le ricerche visive da ogni appartenenza a movimenti ed etichette e presentando, attraverso una “campionatura” intensa e particolare, ciò che si sviluppa in Italia intorno alla nascita e all’utilizzo della figura”.
Il percorso prende il via dall’emblematica opera di Kounellis Margherita di fuoco (1967) come se la mostra, simbolicamente, nascesse proprio dall’elemento del fuoco. Si procede per “inciampi e finte consequenzialità, ogni sala vuole essere sinteticamente emblematica di un aspetto della ricerca artistica dei protagonisti di questi anni”, afferma il curatore. Ad “aprire le danze” una sezione dedicata alle indagini di cancellazione e schermatura della realtà, con i Filtri e i Metalli di Lo Savio, i Monocromi di Schifano, gli Schermi di Mauri, in dialogo con le forti immagini velate tra il politico e l’araldico di Angeli. Si passa poi alla nascita di una nuova tipologia di immagine, che quasi per reazione alle correnti internazionali, guarda alla storia e soprattutto all’influenza quotidiana che l’arte ha nell’immaginario collettivo italiano. Con le opere della Fioroni (Particolare della nascita di Venere, 1965) e di Festa (Nostalgia dell’infinito (Obelisco), 1963, La grande Odalisca, 1964) queste immagini legate alla storia dell’arte diventano una nuova mitologia, e si fa forte l’eco di classicità. Di questa “metafisica del quotidiano” emblematiche due sale dedicate a Schifano che ruotano intorno all’ipnotico cardine visivo, rigorosamente in bianco e nero, del monumentale L’inverno attraverso il museo (1965), insieme ad alcune sorprendenti opere meno note, come Io non amo la natura (1964), e Central Park East (1964), che riflettono il rapporto dell’artista con il paesaggio nel momento della sua intensa esperienza newyorkese. Come reazione e confronto a un’immagine pittoricamente poetica, si entra nell’universo di Gnoli, alle cui particolarissime immagini lenticolari è dedicata un’intera sala, con lavori come Due Dormienti, (1966), Letto Bianco (1968). Centrale all’interno del percorso espositivo è poi un momento di convivenza tra immagine e mezzo fotografico, strumento sempre più presente nelle avanguardie di questi anni. Di qui si innesca una sorta di ambiguità, nonché libertà interpretativa, del concetto di immagine stessa intesa ora come immaginazione, pensiero e metafora rappresentativa di un’altra situazione. Il mondo del cinema e dei media di Rotella (Posso? 1963-65) e Schifano quasi si scontra con la profonda e “classicamente moderna” immagine concettuale di Paolini (Poussin che indica gli antichi come esempio fondamentale, 1968) o con gli oggetti, destinati ad avere parte attiva-performante, quali il Mappamondo (1966-1968) di Pistoletto. L’immagine diventa quindi oggetto e supera la semplice rappresentazione: così, nelle ultime sale, le opere di Pascali introducono un concetto sospeso tra il gioco e un nuovo bestiario contemporaneo, tanto ironico quanto drammatico (Decapitazione del rinoceronte 1966). Le immagini sospese dei plexiglass di Pistoletto del 1964 (Filo elettrico appeso al muro (Plexiglass), Scala doppia appoggiata al muro (Plexiglass) trasportano il visitatore in un nuovo spazio dell’opera, accentuando lo spaesamento metafisico più volte sottolineato da Barbero, e indagando il rapporto tra oggetto e figura. Con la ricchezza della metafora incarnata dalle creazioni di Kounellis (Rosa bianca 1967), si completa questa prima indagine intorno alle nuove possibilità interpretative dell’immagine.
Image: Ph. Matteo De Fina