Cambio di rotta o correzione temporanea? Presto per dirlo, ma all’improvviso i mercati finanziari sotto la furia delle vendite e del ritorno di antiche paure, specie nell’eurozona. Ma il contagio minaccia l’intera economia globale.
A Milano l’indice FtseMib ha perso il 2,7%. Le Borse di Parigi e Francoforte sono scese rispettivamente del 2,1% e del 2,5%, Madrid -2,6%. La Borsa di Atene, epicentro del terremoto europeo, ha chiuso in ribasso del 3,8%.
Meno forte ma sensibile anche la discesa di Wall Street: l’indice Dow Jones è sceso dello 0,79%, lo S&P 500 dell’1,08% e il Nasdaq è scivolato dell’1,55%. Sul listino Apple ha perso il 2,1%. Deboli anche le Borse asiatiche, malgrado Tokyo abbia chiuso in terreno positivo (+0,06%).
IL DECENNALE TORNA A 1,8%, PERDE COLPI IL QE
A scatenare il Toro è stata la furia delle vendite sul mercato obbligazionario, che ha cancellato buona parte dei guadagni raggiunti dal 9 marzo, data dei primi acquisti del Qe. Le avvisaglie di tempesta sull’eurozona sono state anticipate dalla pressione sul pilastro più solido, il Bund. In sole quattro sedute il rendimento del decennale si è triplicato fino a quota 0,517%, sui livelli di inizio anno.
Ieri la diga di Btp e Bonos spagnoli ha ceduto di schianto di fronte alla pressione delle vendite.Il rendimento del Btp a 10 anni è salito nel pomeriggio a 1,79% contro 1,55% dell’apertura. Lo spread si è allargato a 127 (+20 punti base). Valori allineati a quelli dei Bonos spagnoli. Perdono colpi soprattutto le scadenze più lunghe: il Btp 30 è schizzato al 2,88%.
I rendimenti della Grecia segnalano di nuovo il rischio default: il titolo a due anni è tornato sopra il 20%. In tensione anche i T Bond Usa, risaliti ieri dall’1,92 al 2,20%.
IL GREGGIO AI MASSIMI DA DICEMBRE
Viene meno anche un altro pilastro della ripresa globale: il petrolio debole. Il greggio Wti ha chiuso la giornata oltre i 60 dollari al barile per la prima volta dallo scorso dicembre. Il contratto a luglio – il più scambiato – avanza del 2,49%, a quota 60,4 dollari al barile. Il Brent tratta a 67,5 dollari con un rialzo da inizio anno nell’ordine del 35%.
A sostenere le quotazioni sono vari fattori: continue tensioni in Yemen; in Libia le proteste hanno portato alla chiusura del porto di Zueitina, che ha la capacità di esportare 70.000 barili al giorno; Saudi Aramco, la compagnia petrolifera dell’Arabia Saudita, ha alzato i prezzi del petrolio venduto all’Europa e al Nord America (segno di una domanda forte con le raffinerie che tornano ad essere operative dopo la stagionale fase dedicata alla manutenzione). L’inversione di tendenza ha contagiato le altre commodities, in particolare rame e zinco.
GRECIA, IL DEFAULT E’ PIU’ VICINO
Tra le cause della frana figura la minaccia, ormai palpabile, del Grexit. La Commissione Europea ha rivisto al ribasso le stime per l’economia greca. Il Fondo Monetario, secondo il Financial Times, ha lanciato una sorta di ultimatum: o la questione verrà affrontata con un nuovo piano di aiuti ad Atene, necessari per affrontare il collasso, oppure l’Fmi si ritirerà per evitare perdite.
La minaccia è stata in parte smentita dal ministro delle Finanze della Germania, Wolfgang Schaeuble, che ha però rincarato la dose: le condizioni di liquidità della Grecia “sembrano diventare più strette e tutti gli scenari sono possibili”, ha affermato in conferenza stampa.
“L’Eurogruppo è unanime nel desiderio di aiutare la Grecia ma ciò dipende dalla Grecia”, ha aggiunto il ministro tedesco, che ha comunque riconosciuto che gli ultimi tavoli negoziali con Atene sono diventati più costruttivi. In serata, però, il governo ellenico ha fatto sapere che lo stallo nella trattativa dipende solo dai dissensi tra Fmi e Ue.
IL DEFICIT COMMERCIALE FRENA LA RIPRESA USA
Segnali sinistri arrivano anche dall’economia americana. A marzo la bilancia commerciale Usa ha registrato un deficit di 51 miliardi di dollari (+43%) su livelli che non si vedevano da sei anni, molto più delle aspettative degli economisti.
Il dato getta una luce inquietante sulla revisione della crescita del Pil del primo trimestre, già indicata in uno striminzito +0,2%. Il dato potrebbe essere corretto al ribasso di mezzo punto, secondo una parte degli analisti, anche se il settore servizi (i due terzi dell’economia Usa) è in fase di crescita.
Tiene anche il settore servizi in Cina, pur con una lieve contrazione segnalata dall’indice Pmi elaborato dalla banca Hsbc.
Ieri in mattinata la Commissione Ue ha rivisto le stime sulla zona euro alzando la previsione a 1,5% da 1,3% sul 2015, fino a 1,9% nel 2016. Il titolo del rapporto parla di una ripresa spinta da “vento in poppa”. Ma per l’Italia la crescita sarà solo “graduale”: +0,6% per quest’anno, +1,4% nel 2016.
BANCHE IN ROSSO, MA LA BAD BANK RIANIMA SIENA
Pochi titoli sono scampati alla frana collettiva. Tra questi spicca Monte Paschi che chiude con uno scintillante rialzo del 4,8% a 0,58150 euro. La spinta arriva dall’attesa, confortata dalle parole del premier Matteo Renzi, per il varo di una bad bank a partecipazione pubblica cui potrebbero essere conferiti 100 miliardi di euro di sofferenze lorde (30 miliardi circa il valore netto).
Al contrario, il resto del comparto ha subito un primo contraccolpo dalla discesa dei titoli di Stato, Unicredit perde il 3,7% e Intesa scende del 3,2%, male Ubi (-4,2%) e Pop.Milano (-3,9%). Giornata negativa anche per le Generali (-3,3%), retrocessa da Barclays a Equal Weight da Overweight. UnipolSai non se la passa meglio con una caduta del 4,8%
I risultati trimestrali proteggono dal ribasso Banca Generali che guadagna il 3,5% a 31,20 euro, dopo essersi spinta in mattinata sui nuovi massimi storici a 32,10 euro. Dopo i conti Citigroup ha deciso di ribadire il Buy, alzando il target price a 33,50 euro da 27,50 euro precedente.
SOTTO INCHIESTA I VERTICI DI EI TOWERS. FRANA MEDIASET
Pesante arretramento di Telecom Italia (-4,4%). Il presidente Giuseppe Recchi ha confermato che è stato sottoscritto un accordo con Fastweb per mettere a punto le migliori tecnologie per portare la velocità di rete a 100 megabit anche utilizzando la fibra ottica solo fino al cabinet, poi con il rame.
Frana anche Mediaset (-4,6%). La controllata Ei Towers è crollata invece del 2,7%, a 53,75 euro, con un minimo a 51,80 euro dopo la notizia delle perquisizioni in sede ad opera del gruppo valutario della Guardia di Finanza su disposizione della Procura di Milano. L’intero consiglio di amministrazione è indagato per aggiotaggio in relazione all’offerta su Ray Way (-2,2%).
GLI ANALISTI FREDDI SU LUXOTTICA
Ribassi diffusi anche nel lusso, a partire da Luxottica (-3,8% a 58,05 euro), tra le peggiori blue chip di ieri. Dopo la pubblicazione della trimestrale, sono arrivati i giudizi dei broker, per la maggior parte ispirati alla prudenza. Raymond James ha deciso di tagliare la raccomandazione a Market Perform da Outperform. Il target price è indicato a 53 euro.
Mediobanca rimane Neutral con un target price a 54 euro. Anche JP Morgan ribadisce il giudizio Neutral e alza il target a 52 euro da 50 euro. Kepler-Cheuvreux mantiene il Hold, ritocca il target a 55 euro da 50 euro. Giudizio Buy confermato, invece, da Nomura, che porta il prezzo obiettivo a 60 euro da 56,60 euro.
La stragrande maggioranza degli analisti (70% del consenso Bloomberg) considera la quotazione attuale congrua e ha una raccomandazione Neutrale. Solo il 16% consiglia ancora di comprare. Il target price medio è fissato ora a 57,2 euro, vicino alla quotazione di oggi.
Scendono anche Moncler (-3,1%) e Tod’s (-2,1%).
LE VENDITE DI AUTO PROTEGGONO FCA
Fiat Chrysler (-0,4%) ha limitato i danni grazie alla forte crescita delle vendite di auto in Italia ad aprile. Continua invece la ritirata di StM, che guida la discesa dei titoli industriali con un ribasso del 3,6%, seguita da Cnh Industrial (-2,9%) e Finmeccanica (-2,8%).