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Grecia, niente accordo: la Germania punta i piedi, scontro Eurogruppo-Fmi

La Grecia è ancora ostaggio dell’Eurogruppo. I ministri finanziari dell’Eurozona, riuniti la notte scorsa a Bruxelles, hanno rinviato per l’ennesima volta il via libera alla nuova tranche di aiuti in favore di Atene (circa 44 miliardi). Il negoziato è durato quasi 12 ore, fino alle 4.30 del mattino. Ma si è rivelato inutile. Nella speranza di arrivare finalmente a una soluzione, l’Eurogruppo è stato convocato nuovamente per lunedì prossimo, 26 novembre

Dura la reazione del premier greco, Antonis Samaras: “I nostri partner e il Fondo monetario internazionale hanno il dovere di arrivare a un’intesa. Non è solo il futuro del nostro Paese, ma la stabilità dell’intera zona euro a dipendere dal successo di questa trattativa nei prossimi giorni”.

La vera novità è che stavolta i creditori di Atene hanno esaurito gli alibi. Il mancato accordo dipende esclusivamente dai dissidi fra i membri dell’Eurozona e dalle divergenze fra Eurogruppo e Fmi. In particolare, il Fondo rifiuta la proposta europea di far slittare di due anni (fino al 2022) il termine per ricondurre il debito ellenico a “condizioni di sostenibilità”, ovvero sotto il 120% del Pil. Secondo le previsioni del governo Samaras, tuttavia, l’anno prossimo l’indebitamento s’impennerà fino al 190% del Pil, ben oltre la soglia prevista nel piano siglato da Ue e Fmi (solo pochi mesi fa si parlava del 149%, oggi è al 160%).  

I governi dell’Eurozona sono tendenzialmente d’accordo nel far slittare di due anni due anni (dal 2014 al 2016) il termine entro il quale la Grecia dovrà mettere in pratica le misure stabilite con i creditori. La proroga tuttavia creerebbe un ulteriore buco nel bilancio di circa 15 miliardi. Nuovi aiuti sono da escludere, dunque non rimane che ridurre il debito. Ma in che modo? Proprio su questo punto sono nati i contrasti più gravi.

Alcuni Paesi dell’Eurozona, con la Germania in prima fila, vogliono evitare a tutti i costi un’ulteriore svalutazione dei bond greci, soluzione che invece sarebbe gradita all’Fmi. Dopo la ristrutturazione a inizio anno della quota nei portafogli dei privati, si tratterebbe questa volta di intervenire sui titoli ellenici in mano agli investitori istituzionali (ovvero i governi). Ci sono però forti dubbi sulla legittimità dell’operazione in base alle norme stabilite dai trattati europei. 

Per queste ragioni Bruxelles preferirebbe sospendere per 10 anni gli interessi che Atene deve pagare sul primo prestito ricevuto (53 miliardi di euro). Si è parlato anche di ulteriori riduzioni degli interessi sui prestiti arrivati alla Grecia dal fondo salva-Stati Efsf. Ma su questo fronte è ancora una volta l’Fmi ad opporsi con la massima decisione. 

Altre possibili misure allo studio prevedono il riacquisto a prezzi fortemente scontati da parte del governo di Atene di una parte dei propri titoli di Stato già in circolazione, o il versamento nelle casse elleniche dei profitti ottenuti dalla Bce con l’acquisto dei bond greci a prezzi stracciati sul mercato secondario. 

Qualunque strada sceglieranno i creditori, l’unica certezza a questo punto è che la Grecia non ha più alcuna responsabilità. La settimana scorsa il Parlamento ellenico ha soddisfatto tutte le richieste della Troika (Ue, Bce e Fmi) approvando la legge di bilancio 2013, che prevede tagli per oltre 9 miliardi di euro, di cui 7,6 miliardi su salari e pensioni. Pochi giorni prima era stato varato anche il nuovo pacchetto di austerità per i prossimi due anni, composto da tagli di spesa per 13,5 miliardi di euro e da una riforma del mercato del lavoro.

Sempre la scorsa settimana, Atene è stata costretta a emettere 4 miliardi di nuovi bond per evitare il default immediato. Ma se lunedì da Bruxelles non arriveranno buone notizie, il rischio della bancarotta tornerà ben presto all’ordine del giorno.   

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