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Grecia ed Europa: le risposte che attendiamo su banche, debito greco e ruolo del Vecchio continente

Ammesso e non concesso, che i colpi di scena siano davvero esauriti e che questo sia finalmente un week end a lieto fine sia per Atene che per l’intera Europa, si illude chi pensa che l’emergenza greca e la fragilità del Vecchio continente siano destinati ad andare in archivio.

Il piano Tsipras da 13 miliardi di tagli e maggiori tasse in 2 anni sembra aver aperto le porte all’accordo che la Grecia e i suoi creditori non hanno saputo raggiungere in 5 mesi di estenuanti trattative e che, se confermato, eviterà in extremis la bancarotta di Atene. Ma sul tappeto restano almeno tre problemi, uno più grande dell’altro.

L’Eurogruppo passerà oggi il piano greco ai raggi X ma le prime reazioni dei creditori accendono la speranza di un’intesa e mettono a nudo un paradosso che Veronica De Romanis aveva già segnalato in tempi non sospetti su FIRSTonline e cioè che, rifiutando il piano Juncker del 26 giugno per andare al referendum, Tsipras sarebbe stato costretto a presentare un piano di maggior austerità. Come è puntualmente avvenuto, con buona pace dei militanti e degli elettori di Syriza .Ma la politica, si sa, è l’arte del possibile e dell’impossibile e tutto è bene quel che finisce bene, se davvero si arriverà al sospirato accordo.

Anche nella migliore delle ipotesi possibili, i vertici europei di questo fine settimana, che cominciano e forse finiscono con l’Eurogruppo, lasciano comunque aperti problemi con cui, prima o poi, bisognerà tornare a fare i conti.

Il primo, opportunamente richiamato da Donato Masciandaro nell’editoriale di venerdì sul “Sole 24 Ore”, riporta in primo piano lo stato di salute banche greche. Dopo due settimane di chiusura degli sportelli per mancanza di liquidità e dopo due settimane di file impressionanti e altamente simboliche dei greci davanti ai bancomat, lunedì le banche greche riapriranno ma, anche se svanisce l’incubo della bancarotta, il loro stato patrimoniale è inquietante e richiederà una ricapitalizzazione che le metta in grado di tornare ad essere davvero un polmone vitale dell’economia greca e che forse meriterebbe una staffetta tra Bce e Fondo europeo per la stabilità (Esm) per la ricerca dei mezzi finanziari necessari.

La seconda questione chiama direttamente in causa il debito greco e la sua soluzione. E’ un problema complesso ma davanti al quale è inutile nascondere la testa sotto la sabbia. La Grecia non riuscirà mai a ripagare un debito pubblico come quello che ha accumulato negli anni ma Tsipras è il primo a rendersi conto che, al di là delle spericolate promesse elettorali, oggi non ci sono le condizioni politiche in Europa per chiederne la cancellazione o un robusto taglio. Se l’Europa facesse troppi sconti alla Grecia sul debito, insorgerebbe la Slovenia, e poi la Lituania e poi ancora il Portogallo e poi forse anche l’Italia. Il problema del debito greco è sul tappeto ma la sua completa soluzione non è per oggi.

Realisticamente lo stesso Tsipras ha proposto non la cancellazione o il taglio ma la ristrutturazione del debito greco e cioè un’ulteriore riduzione dei tassi, che sono già più bassi di quelli italiani, o – più opportunamente – un allungamento delle scadenze. E altrettanto realisticamente il falco tedesco Schaeuble ha ammesso che i margini sono stretti ma – ed questa non è novità da poco – che di ristrutturazione del debito greco si può discutere.

Ben venga dunque un accordo in extremis tra Grecia ed Europa che eviti il default e l’uscita di Atene dall’euro e forse dall’Europa e che scongiuri cataclismi sui mercati finanziari che, in presenza di una pace definitiva, sarebbero pronti a ripartire a razzo verso nuovi record, come hanno già fatto capire di voler fare. Ma c’è un terzo problema, che è il maggiore di tutti e che non potrà sicuramente essere risulto in questo bollente week end ed è quello che chiama in causa il ruolo stesso dell’Europa.

La penosa storia dei migranti e quella greca sono lì a dire che l’Unione europea perde pezzi ogni giorno e che così non si può andare avanti. Rassegnarsi a fare dell’Europa una semplice area di interscambio commerciale come vorrebbe la Gran Bretagna o osare un salto di qualità in direzione dell’unità politica dell’Europa? Questo è il dilemma della nostra epoca rispetto al quale non ci sono alternative e men che mai scorciatoie populistiche.

I quattro cavalieri del disfattismo – da Grillo a Salvini e da Brunetta a Fassina – possono starnazzare quanto vogliono sull’euro e sull’Europa ma senza Europa e senza moneta unica sarebbe peggio per tutti. E sarebbe ora di dire chiaro e forte che chi promette l’uscita dall’euro vorrebbe in realtà dimezzare in una notte il patrimonio e i redditi dei suoi concittadini.

Ma non è quella di oggi l’Europa che ci vuole: non serve solo più Europa e più unità politica europea ma serve un’altra Europa, un’Europa finalmente votata alla sviluppo nell’innovazione e guidata da una governance senza antiquate diarchie ma anche senza la dittatura e i veti delle minoranze. Chi non si muove in questa direzione apre solo le porte ai populismi e ai nazionalismi che anche in passato hanno solo seminato guerra.

E’ presto per dirlo ma se la tragedia greca sarà servita a spingere l’Europa a prendere finalmente coscienza dell’insostenibilità dei suoi errori e dei suoi limiti bisognerà riconoscere che ancora una volta “oportet ut scandala eveniant”

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